Storia della scoperta delle basi neurobiologiche della Malattia di Parkinson
Giovanni Biggio
Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi di Cagliari; Istituto di Neuroscienze, CNR, Cagliari
La Malattia di Parkinson prende il nome dal medico James Parkinson che per primo ha descritto nel 1817 questa patologia principalmente caratterizzata da tremori, rigidità muscolare e acinesia, chiamandola “paralisi agitante“. Dalla definizione coniata da Parkinson alla scoperta dei meccanismi neurochimici che sono alla base di questa devastante patologia neurodegenerativa sono trascorsi circa 140 anni.
Le conoscenze sulle basi neurobiologiche della Malattia di Parkinson infatti hanno origine a metà degli anni cinquanta quando B. B. Brodie nei laboratori dei “National Institutes of Health“ di Bethesda (Maryland) decide di studiare il meccanismo neurochimico attraverso il quale la reserpina, una molecola psicotropa nota indurre nell’animale, un interessante comportamento caratterizzato da isolamento dai suoi simili, rigidità, leggeri tremori e totale assenza di interesse per ciò che succede nell’ambiente circostante e nell’uomo, a dosi opportune, una grave crisi depressiva indistinguibile da quella endogena.
B. B. Brodie attraverso i suoi esperimenti cerca di capire se la reserpina, molecola capace di indurre i sopraelencati effetti nell’animale e nell’uomo, era anche in grado di modificare nel cervello dei ratti il contenuto di serotonina, una monoamina scoperta pochi anni prima nell’intestino dal Prof. Vittorio Espamer, eminente farmacologo dell’Università La Sapienza di Roma.
La soddisfazione di B. B. Brodie e dei suoi allievi fu enorme quando scoprirono che una somministrazione intraperitoneale di reserpina azzerava, in poche ore, quasi totalmente i livelli di serotonina nel cervello del ratto. La delusione di questi scienziati fu però di gran lunga maggiore quando provarono a revertire gli effetti neurochimici (deplezione di serotonina) e quelli comportamentali (depressione, rigidità, tremori) indotti dalla reserpina somministrando agli animali il triptofano e/o il 5-idrossitriptofano, diretti precursori nella sintesi della serotonina. Infatti, mentre la somministrazione di questi precursori ripristinava quasi totalmente i livelli di serotonina nel cervello del ratto non altrettanto succedeva sui sintomi comportamentali; gli animali rimanevano rigidi, immobili e con tremore.
A questo punto nel laboratorio di B. B. Brodie successe qualcosa di interessante e cruciale; il Dr. Arvid Carlsson, giovane ricercatore svedese che faceva parte del gruppo di Brodie suggerì di misurare nel cervello degli animali reserpinizzati anche i livelli di noradrenalina, la cui metodica era stata messa a punto di recente dal gruppo di Brodie. Inspiegabilmente, il Dr. Brodie non diede l’autorizzazione per questa verifica e volle concentrare tutte le energie e risorse allo studio degli effetti della reserpina sulla serotonina.
Di lì a pochi mesi Arvid Carlsson terminato il suo periodo di apprendistato a Bethesda, rientrò in Svezia all’Università di Goteborg dove riprese i suoi studi sulla neurochimica del cervello e subito fece l’esperimento, che B. B. Brodie gli aveva negato, nei topi e nei conigli.
La gioia di Carlsson fu enorme quando scoprì che nei topi trattati con reserpina anche i livelli di noradrenalina erano quasi totalmente depletati, così come era avvenuto con la serotonina, poche ore dopo la somministrazione di reserpina. La gioia di Carlsson diventò estrema euforia quando dimostrò che la somministrazione di tirosina e soprattutto DL-Dopa (precursori della sintesi di noradrenalina) antagonizzava il deficit di attività motoria e il tremore dei topi. Il grande entusiasmo suscitato da questa scoperta fu però inizialmente, in parte, abbattuto dalla successiva delusione derivante dall’evidenza che lo stesso trattamento non ripristinava i livelli di noradrenalina come Carlsson e collaboratori si aspettavano.
La grande delusione però fu di breve durata, infatti il Dr. Carlsson oltre ad essere un eccellente farmacologo aveva anche un’ottima conoscenza della chimica, soprattutto delle molecole coinvolte nella sintesi delle monoamine. Queste conoscenze lo convinsero a misurare nel nucleo caudato dei conigli reserpinizzati anche la dopamina, molecola conosciuta fino ad allora come diretto precursore nella sintesi della noradrenalina. L’intuizione di Carlsson fu straordinaria, la somministrazione di DL-Dopa aumentava i livelli cerebrali di dopamina depletati dalla reserpina, e allo stesso tempo ripristinava l’attività motoria degli animali reserpinizzati. Questi esperimenti di Carlsson dimostrarono che la dopamina non era solo il precursore della noradrenalina ma di per se un neurotrasmettitore molto importante nella regolazione dei movimenti in quanto la sua deplezione a livello dei nuclei caudato e putamen si traduceva in rigidità, tremori e acinesia, sintomi presenti nella Malattia di Parkinson.
I risultati pubblicati da Carlsson e collaboratori e presentati a vari congressi richiamarono l’attenzione di Oleh Hornykiewicz, neurologo ucraino naturalizzato austriaco che lavorava a Vienna nella famosa clinica del Prof. Von Economo, famoso luminare per gli studi sulla “Encefalite Letargica“. Hornykiewicz nella sua clinica seguiva molti pazienti con la Malattia di Parkinson e la sua attenzione fu facilmente richiamata dai risultati ottenuti a livello sperimentale dal gruppo degli scienziati svedesi nei loro studi sulla reserpina. Hornykiewicz non ci pensò due volte, appresa la metodica misurò, non appena gli fu possibile, il contenuto di questa monoamina nel nucleo caudato di alcuni suoi pazienti parkinsoniani deceduti confrontando il risultato con quello ottenuto nel nucleo caudato dei pazienti morti in seguito ad altre patologie o incidenti.
L’esito di questa ricerca fu strabiliante, nel nucleo caudato dei parkinsoniani Hornykiewicz non trovò dopamina, i livelli di questa monoamina erano talmente ridotti che la loro bassa concentrazione era al di sotto della sensibilità della metodica utilizzata.
Le scoperte di Carlsson e di Hornykiewicz hanno permesso di capire per la prima volta che la base neurochimica della Malattia di Parkinson era dovuta ad una mancanza di dopamina quale presumibile conseguenza della degenerazione dei neuroni dopaminergici. Infatti, la scoperta di A. Carlsson sugli effetti cerebrali della reserpina nei topi e nei conigli aveva permesso ad Hornykiewicz di scoprire che nella Malattia di Parkinson vi era una degenerazione dei neuroni che producono e liberano dopamina nel nucleo caudato e nel putamen dei mammiferi, uomo compreso.
Questa straordinaria e affascinante scoperta rappresenta una delle più strabilianti storie nell’ambito delle neuroscienze e negli anni successivi ha permesso di mettere a punto un trattamento rivoluzionario attraverso la somministrazione orale di D-L-Dopa che associata ad un inibitore delle decarbossilasi periferiche è diventata la terapia d’elezione capace di migliorare in modo significativo la qualità della vita di coloro che sviluppano questa devastante patologia neurodegenerativa.
Grazie a questa scoperta oggi sono state sviluppate molte altre molecole ad azione agonistica sui recettori della dopamina.
Il prof. A. Carlsson deceduto nel 2018 all’età di 95 anni ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti per questa ed altre scoperte sulla trasmissione dopaminergica e nel 2000 è stato insignito del premio Nobel per la medicina. Oleh Hornykiewicz a sua volta ha ricevuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale e viene ricordato come il neuroscienziato che per primo ha dimostrato che nel caudato dei pazienti con la Malattia di Parkinson vi è una massiva deplezione di dopamina. •
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