Il tremore nella Malattia di Parkinson: caratteristiche cliniche e fisiopatologiche
Daniele Belvisi¹, Carolina Cutrona², Alfredo Berardelli¹²
1. IRCCS NEUROMED, Pozzilli, Isernia | 2. Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma
INTRODUZIONE
Il tremore è un’oscillazione ritmica di uno o più segmenti corporei intorno a una o più articolazioni. Il tremore, insieme alla bradicinesia e alla rigidità muscolare, rappresenta uno dei segni motori cardinali della Malattia di Parkinson (MP). Nel 1817 James Parkinson ha fornito la prima caratterizzazione clinica del tremore parkinsoniano descrivendo un tremore che si manifestava quando un segmento corporeo veniva mantenuto a riposo e scompariva con l’inizio del movimento volontario (tremore a riposo). In realtà, nella MP, è possibile osservare diversi tipi di tremore che possono combinarsi tra di loro configurando differenti sindromi tremorigene. Oltre al tremore a riposo, è possibile osservare un tremore d’azione che si manifesta durante il mantenimento di una postura (tremore posturale) o durante l’esecuzione di un movimento volontario (tremore intenzionale). Inoltre, è stato descritto che i pazienti affetti da MP con tremore a riposo possono presentare un tremore che scompare per alcuni secondi dopo il raggiungimento di una postura per poi ricomparire durante il mantenimento della postura stessa (tremore ri-emergente).
QUALI TREMORI È POSSIBILE OSSERVARE NELLA MP?
Nel 2018 il Consensus Statement on the classification of tremor (Bhatia et al., Mov Disord 2018) ha classificato il tremore parkinsoniano tra le forme di tremore che si associano ad altri segni neurologici preminenti e lo ha definito come un tremore a riposo che presenta una frequenza di 4-7 Hz. Secondo questa classificazione, può inoltre coesistere un tremore d’azione (posturale/cinetico) con frequenza uguale o diversa da quella del tremore a riposo.
Il tremore a riposo è considerato il classico tremore della MP. Secondo i diversi studi il tremore a riposo è presente nel 70% dei pazienti con MP all’esordio e durante il decorso della malattia colpisce il 75-100% dei pazienti affetti. È stato tuttavia recentemente riportato che il tremore a riposo isolato (cioè in assenza di altri tipi di tremore) è presente solo in una bassa percentuale (12-20%) di pazienti affetti da MP (Belvisi et al., Eur J Neurol 2018; Pasquini et al., Brain 2018). Il tremore a riposo ha una frequenza compresa tra 4 e 7 Hz e scompare con il movimento volontario. Generalmente è asimmetrico e più comunemente esordisce all’arto superiore con dei movimenti che riproducono l’atto di ‘contar moneta’, per poi diffondersi all’arto inferiore omolaterale. Potenzialmente può interessare anche altre sedi oltre agli arti, tra le quali il mento e la mandibola. Spesso nelle fasi avanzate della malattia il tremore a riposo è presente bilateralmente ma tende a conservare una certa asimmetria tra i due lati. Un recente studio ha dimostrato che l’unico fattore predittivo di diffusione del tremore a riposo a segmenti corporei inizialmente non interessati è l’età (Gigante et al., J Neurol Sci 2017). Secondo questo studio i pazienti con un’età d’esordio maggiore di 63 anni avevano una maggiore probabilità di diffusione del tremore.
Nella MP è possibile osservare anche un tremore d’azione distinto a sua volta in posturale e cinetico. Il primo è un tremore che insorge nel momento in cui il paziente cerca di mantenere una posizione contro gravità, il secondo si manifesta quando si esegue un movimento volontario. Sebbene il tremore d’azione possa interessare una rilevante percentuale di pazienti parkinsoniani (46-93%) nel 2015 gli MDS Clinical Diagnostic Criteria for Parkinson’s Disease (Postuma et al., Mov Disord 2015) hanno stabilito che la presenza di tremore posturale o cinetico isolato non è un criterio diagnostico per MP. Il tremore d’azione ha una frequenza di circa 9 Hz, che è quindi significativamente maggiore rispetto a quella del tremore a riposo nei pazienti affetti da MP. Numerosi studi clinici hanno suggerito che il tremore d’azione è causa di importante disabilità per i pazienti parkinsoniani poiché interferisce con il movimento volontario.
Il tremore ri-emergente si manifesta in pazienti che hanno tremore a riposo che scompare con il raggiungimento di una postura per poi apparire alcuni secondi dopo che la postura stessa viene mantenuta. La prevalenza del tremore ri-emergente è di circa il 25% secondo gli studi clinici (Belvisi et al., Parkinsonism Relat Disord 2017; Belvisi et al., Eur J Neurol 2018). Tuttavia, un recente studio neurofisiologico, effettuato con registrazioni elettromiografiche dei muscoli flessori ed estensori degli arti superiori, ha suggerito che l’80% dei pazienti con tremore posturale presenta in realtà un tremore ri-emergente (Dirkx et al., Neurology 2018). La discrepanza tra i dati clinici e quelli neurofisiologici potrebbe essere spiegata dalla maggior sensibilità di questi ultimi nel rilevare brevi fasi di assenza del tremore dopo l’assunzione della postura.
Sebbene il tremore ri-emergente si manifesti durante l’assunzione di una postura è stato suggerito che rappresenti in realtà una variante clinica del tremore a riposo. Questa ipotesi è basata sull’osservazione che il tremore ri-emergente è caratterizzato dalla stessa frequenza e lo stesso pattern asincrono di attivazione dei muscoli antagonisti del tremore a riposo. Recenti evidenze cliniche hanno confermato questa ipotesi poiché è stata osservata una correlazione significativa tra la gravità del tremore ri-emergente e del tremore a riposo ed è stato osservato che i due tipi di tremore presentano una simile risposta alla terapia dopaminergica (Belvisi et al., Parkinsonism Relat Disord 2017; Belvisi et al., Eur J Neurol 2018).
QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI CON TREMORE NELLA MP?
L’eterogeneità clinica che caratterizza i pazienti affetti da MP ha indotto i ricercatori ad identificare eventuali sottotipi clinici, cioè gruppi di pazienti accomunati da caratteristiche cliniche simili. Uno dei primi approcci classificativi dei sottotipi clinici si è basato sulla presenza del tremore. In base a questo approccio è stato identificato un sottotipo “tremorigeno” che è stato contrapposto a un sottotipo dominato dai sintomi assiali (instabilità posturale, disturbi della deambulazione), definito PIGD (postural instability and gait disability) o da quelli bradicinetico-rigidi. Questa classificazione ha permesso di osservare che i pazienti tremorigeni presentano caratteristiche di maggior benignità rispetto ai pazienti PIGD/bradicinetico-rigidi. Già Hoehn e Yahr nel 1967 evidenziarono un maggior rischio di morte e disabilità dopo 10 anni dall’esordio nei pazienti che non presentavano tremore al momento della diagnosi. Ulteriori studi hanno confermato queste osservazioni dimostrando che i pazienti PIGD hanno un peggioramento annuale della severità dei sintomi e un maggior rischio di deterioramento cognitivo rispetto ai pazienti con sottotipo tremorigeno. In studi post-mortem è stato, inoltre, dimostrato che pazienti con tremore progrediscono più lentamente verso la perdita di autonomia dal punto di vista motorio rispetto ai pazienti con fenotipo bradicinetico-rigido. In base a queste evidenze la presenza di tremore è stata considerata un marcatore di benignità nella MP. È importante, tuttavia, sottolineare che i pazienti con sottotipo tremorigeno non hanno una sopravvivenza maggiore rispetto ai pazienti non tremorigeni. Questo potrebbe voler dire che i pazienti con tremore progrediscono più lentamente nelle fasi iniziali di malattia ma poi perdono progressivamente questo vantaggio. Recenti studi hanno inoltre suggerito che i pazienti parkinsoniani tendono a presentare il tremore nelle fasi iniziali della malattia per poi presentare un quadro clinico dominato dai sintomi bradicinetico-rigidi. I due sottotipi, tremorigeno e PIGD/bradicinetico-rigido, potrebbero quindi rappresentare due fasi diverse della malattia piuttosto che due gruppi di pazienti diversi tra loro.
Recenti studi hanno suggerito che all’interno del fenotipo tremorigeno possano esistere diversi sottotipi legati alla presenza di diversi tipi di tremore. Due studi trasversali (Belvisi et al., Parkinsonism Relat Disord 2017; Belvisi et al., Eur J Neurol 2018) hanno indagato le caratteristiche motorie e non motorie dei pazienti con MP con vari di tipi di tremore, dimostrando che i pazienti con tremore a riposo con o senza tremore ri-emergente presentavano un minor grado di bradicinesia e sintomatologia assiale rispetto ai pazienti nei quali il tremore a riposo era associato al tremore d’azione. Tale differenza emergeva sia in presenza che in assenza della terapia dopaminergica. Al contrario, non si osservavano differenze per quanto riguardava la gravità dei sintomi non motori. È stato quindi ipotizzato che i pazienti con tremore a riposo associato o meno al tremore ri-emergente possano rappresentare un sottotipo motorio particolarmente benigno nella MP. Queste osservazioni sono state confermate da uno studio longitudinale condotto da Pasquini e collaboratori (Brain 2018) su 378 pazienti con MP in fase iniziale. I pazienti con tremore d’azione presentavano un maggior grado di rigidità e bradicinesia dei pazienti con tremore a riposo isolato, sia all’osservazione iniziale che dopo un follow-up di due anni. Queste osservazioni sostengono l’ipotesi che i diversi tipi di tremore nella MP sono legati a diversi sottotipi clinici che potrebbero riflettere la presenza di specifici meccanismi fisiopatologici.
FISIOPATOLOGIA DEL TREMORE NELLA MP
I meccanismi fisiopatologici che sottintendono il tremore nella MP sembrano differire da quelli implicati negli altri sintomi motori. Questa ipotesi è stata suggerita dall’osservazione che la progressione del tremore durante il decorso clinico è diversa da quella degli altri sintomi motori. Infatti, la gravità del tremore tende a diminuire durante la malattia, mentre bradicinesia e rigidità peggiorano al progredire della malattia. Inoltre, la gravità del tremore non correla con la gravità degli altri segni motori e spesso il tremore può coinvolgere il lato corporeo opposto a quello maggiormente colpito dalla sintomatologia bradicinetico-rigida. Questa forma di tremore viene definita wrong side tremor ed è presente nel 4% di pazienti con MP. Infine, il tremore presenta una risposta terapeutica minore ai farmaci dopaminergici rispetto agli altri segni motori. Ciò suggerisce che influenze non-dopaminergiche potrebbero essere implicate nella fisiopatologia del tremore parkinsoniano.
Studi effettuati all’inizio dello scorso secolo hanno dimostrato che la deafferentazione periferica, l’anestesia periferica dei muscoli coinvolti nel tremore e perturbazioni meccaniche degli arti tremorigeni avevano un effetto trascurabile sul tremore nei pazienti affetti da MP. Al contrario, meccanismi centrali che coinvolgono il circuito cortico-striato-talamo-corticale e il circuito cerebello-talamo-corticale sembrano essere implicati nella genesi del tremore a riposo nella MP.
Il circuito cortico-striato-talamo-corticale coinvolge i gangli della base, cioè striato (putamen e caudato), globo pallido, nucleo subtalamico e sostanza nera. La perdita dei neuroni dopaminergici che proiettano dalla parte compatta della sostanza nera allo striato è considerata l’hallmark neuropatologico della MP. Studi SPECT effettuati con [123I]FP-CIT hanno dimostrato una minore perdita dopaminergica nigro-striatale nei soggetti con tremore rispetto ai pazienti che presentavano un quadro clinico dominato dalla sintomatologia bradicinetico-rigida. Studi più recenti hanno tuttavia evidenziato che i pazienti con tremore vanno incontro più frequentemente dei pazienti bradicinetico-rigidi alla degenerazione dei neuroni dopaminergici che originano da un’altra area mesencefalica, cioè l’area retrorubrale. L’area retrorubrale è una struttura che dà origine al 10% dei neuroni dopaminergici del mesencefalo nei primati. La perdita delle proiezioni dopaminergiche che dall’area retrorubrale proiettano al globo pallido e al nucleo subtalamico potrebbe rappresentare l’origine del tremore a riposo la cui severità è stata correlata in studi post-mortem alla densità di fibre dopaminergiche pallidali e alla concentrazione di acido omovanillico, catabolita della dopamina, nel pallido.
Numerose evidenze neuro radiologiche e neurofisiologiche hanno inoltre suggerito che il circuito cerebello-talamo-corticale giochi un ruolo importante nella fisiopatologia del tremore parkinsoniano (Wu e Hallett, Brain 2013). Studi di magnetoelettroencefalografia hanno dimostrato la presenza di un’attività oscillatoria correlata al tremore nel cervelletto e nel talamo. Studi PET hanno evidenziato che i pazienti affetti da MP presentavano un aumentato metabolismo del circuito cerebello-talamo-corticale che correlava con la gravità del tremore. Inoltre, la stimolazione cerebrale profonda del nucleo intermedio ventrale del talamo, che riceve afferenze cerebellari, è considerata il target d’elezione per ridurre il tremore nei pazienti affetti da MP.
Nel 2011, Helmich e collaboratori (Ann Neurol, 2011) hanno effettuato uno studio che combinava tecniche di risonanza magnetica funzionale e SPECT con registrazioni elettromiografiche del tremore con lo scopo di chiarire il ruolo del circuito cortico-striato-talamo-corticale e del circuito cerebello-talamo-corticale nella generazione del tremore parkinsoniano. Gli autori hanno osservato una transitoria attivazione dei gangli della base, in particolare a livello del globo pallido, in concomitanza con la comparsa del tremore e una più duratura attivazione del circuito cerebello-talamico che correlava con l’ampiezza del tremore. In base a questi risultati è stato elaborato un nuovo modello teorico fisiopatologico definito ‘dimmer-switch’. Secondo questo modello i nuclei della base agirebbero come interruttori che hanno la capacità di attivare e disattivare il tremore (switch); il circuito cerebello-talamo-corticale invece modulerebbe l’ampiezza del tremore come un modulatore dell’intensità luminosa (dimmer). La dopamina agirebbe non solo riducendo l’attività correlata alla comparsa del tremore nel globo pallido ma anche modificando l’attività del circuito cerebello-talamico durante il tremore stesso. Per identificare i meccanismi dopaminergici alla base di queste alterazioni gli autori hanno sottoposto i pazienti affetti da MP con e senza tremore a una SPECT con [123I]FP-CIT, osservando che la deplezione dopaminergica a livello pallidale e non striatale correlava con la gravità del tremore a riposo. Un recente studio di scintigrafia cerebrale effettuato con DATscan ha tuttavia escluso che la degenerazione dopaminergica pallidale possa essere correlata con la severità clinica del tremore (Lee et al., Parkinsonism Relat Disord 2018). È quindi verosimile che il tremore parkinsoniano possa originare da un complesso network cerebrale che include i gangli della base, il cervelletto e la corteccia motoria e che risente non solo di influenze dopaminergiche ma anche di influenze non dopaminergiche (vedi Figura) (Helmich et al., Movement Disorder 2018). In accordo con questa ipotesi, numerose evidenze hanno dimostrato che le vie serotoninergiche potrebbero avere un ruolo rilevante nella fisiopatologia del tremore parkinsoniano. In particolare, la via serotoninergica che origina dal nucleo del rafe magno sembra giocare un ruolo importante. È stato, infatti, dimostrato che la degenerazione del nucleo del rafe magno osservata nei pazienti parkinsoniani correlava con la gravità del tremore a riposo (Qamhawi et al., Brain 2015) e del tremore posturale (Loane et al., Neurology 2013). Più recentemente è stato osservato che i pazienti parkinsoniani nei quali la disfunzione serotoninergica prevaleva su quella dopaminergica presentavano una peggiore risposta terapeutica del tremore alla somministrazione di dopamina (Pasquini et al., Brain 2018). Il ruolo della serotonina nella fisiopatologia del tremore parkinsoniano dovrà essere comunque confermato da studi post-mortem. Numerosi studi hanno inoltre suggerito che un’iperattività delle vie noradrenergiche che originano dal locus coeruleus potrebbe contribuire alla fisiopatologia del tremore a riposo parkinsoniano (Helmich et al., Movement Disorder 2018).
È importante sottolineare che la maggior parte degli studi effettuati è stata focalizzata sulla fisiopatologia del tremore a riposo. Al contrario, le informazioni relative ai meccanismi fisiopatologici che sono alla base del tremore d’azione sono scarse e sembrano indicare che componenti non dopaminergiche, come quelle cerebellari (Ni et al., Ann Neurol 2010) e serotoninergiche (Loane et al., Neurology 2013) possano giocare un ruolo predominante. Per quanto riguarda la fisiopatologia del tremore ri-emergente è ipotizzabile che i generatori implicati nel tremore a riposo siano gli stessi che sono alla base della comparsa del tremore ri-emergente. Questo spiegherebbe le similitudini cliniche in termini di frequenza e pattern di attivazione muscolare dei due tremori. Tuttavia, nessuno studio ha finora indagato la fisiopatologia del tremore ri-emergente.
Figura: CIRCUITI COINVOLTI NELLA FISIOPATOLOGIA DEL TREMORE PARKINSONIANO
I gangli della base (verde) e il circuito cerebello-talamo-corticale (verde chiaro) sono le aree in cui è stata individuata attività
neuronale correlata al tremore. Entrambi i circuiti convergono nella corteccia motoria. La disfunzione (freccia tratteggiata)
delle vie dopaminergiche retrorubrale e serotoninergiche del rafe magno e l’iperattività (freccia continua) delle vie noradrenergiche
del LC intervengono nella fisiopatologia del tremore.
(Adattato da Helmich et al., Movement Disorder 2018)
In conclusione, il tremore rappresenta uno dei segni motori più caratteristici della MP. La presenza del tremore sembra essere legata a una maggior benignità clinica e prognostica. Questa benignità sembra essere maggiormente associata al tremore a riposo e al tremore ri-emergente piuttosto che al tremore d’azione. Futuri studi volti ad identificare gli specifici meccanismi fisiopatologici dei diversi tipi di tremore potranno chiarire se queste differenze cliniche riflettono l’attività di diversi circuiti cerebrali.
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