Disturbi del movimento associati a trattamenti psichiatrici
Alessandro Rossi¹, Umberto Albert²
1. Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche (DISCAB), Università degli Studi dell’Aquila
2. Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie (DIBINEM), “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
Classicamente i disturbi del movimento (o sindromi extrapiramidali – EPS) sono associati al trattamento con farmaci antipsicotici, soprattutto di prima generazione (altrimenti detti neurolettici o antipsicotici tipici), anche se alcune recenti evidenze suggeriscono che alcuni antidepressivi, soprattutto serotoninergici, possono determinare sintomi extrapiramidali. Nei paragrafi seguenti analizzeremo prioritariamente la relazione tra antipsicotici e disturbi iatrogeni del movimento (EPS), cercando di delineare quali possano essere i meccanismi patogenetici che spiegano tali effetti collaterali e verificando se esistono differenze tra antipsicotici di prima e seconda generazione quanto a tassi di prevalenza dei singoli disturbi del movimento (o del rischio associato). La letteratura al riguardo è numerosa, motivo per cui faremo riferimento a studi recenti selezionati. Nella seconda parte dell’articolo esamineremo brevemente la relazione tra disturbi iatrogeni del movimento e antidepressivi.
ANTIPSICOTICI E DISTURBI DEL MOVIMENTO IATROGENI
Le prime molecole antipsicotiche vennero scoperte casualmente negli anni cinquanta quando un farmaco, che si supponeva essere un antistaminico, la clorpromazina, si dimostrò anche un potente antipsicotico in pazienti schizofrenici. L’efficacia clinica della clorpromazina e di altri composti simili, evidente in numerosi studi e soprattutto nella pratica clinica, stimolò la ricerca di altri prodotti con caratteristiche farmacologiche analoghe. Studiando composti con azione simile alla morfina è stato osservato che uno di essi, un butirrofenone derivato dalla norpetidina, oltre alle azioni analgesiche, rendeva gli animali quieti e passivi. Molti butirrofenoni furono sintetizzati modificando la parte norpetidinica, finché si ottenne l’aloperidolo, che non induceva più azioni simili alla morfina negli animali, ma solo quiete e passività, e che si rivelerà un antipsicotico fondamentale. A partire dalla scoperta dell’effetto neurolettico (in seguito denominato antipsicotico) dell’aloperidolo, numerosi altri composti sono stati sviluppati nel corso degli ultimi 60 anni.
In base al loro profilo recettoriale ed alla loro efficacia terapeutica, i farmaci antipsicotici vengono tradizionalmente suddivisi in due categorie: antipsicotici di prima generazione o tipici (ATPs) e antipsicotici di seconda generazione o atipici (ATPsA). Se l’attività di antagonismo dei recettori D2 della Dopamina (DA) è una caratteristica generale di tutti gli APs, gli ATPsA mostrano un legame però più debole, con una costante di dissociazione maggiore rispetto a quella della DA stessa.
ANTIPSICOTICI TIPICI (ATPs)
La caratteristica farmacologia principale degli ATPs è la loro capacità di bloccare i recettori D2 della DA. È stato dimostrato che tale azione è responsabile non solo dell’efficacia antipsicotica, ma anche della maggior parte dei loro effetti collaterali.
Le azioni terapeutiche degli ATPs sono dovute ad un blocco dei recettori D2 nella via dopaminergica mesolimbica, che media la loro capacità di ridurre o bloccare i sintomi positivi. A livello della via dopaminergica mesocorticale il blocco dei recettori D2 postsinaptici può determinare appiattimento emotivo e deficit cognitivi che simulano i sintomi negativi della schizofrenia. Tale quadro viene definito “sindrome deficitaria indotta da neurolettici”.
Il blocco dei recettori D2 della via dopaminergica nigrostriatale determina la comparsa di disturbi del movimento simili a quelli della Malattia di Parkinson, quali distonia acuta, acatisia, tremore a riposo, rabbit syndrome. Questi effetti collaterali vengono anche definiti sintomi extrapiramidali (EPS), in quanto la via nigrostriatale proietta verso i gangli della base appartenenti al sistema extrapiramidale. Se tali recettori sono cronicamente bloccati può manifestarsi un disturbo ipercinetico del movimento definito discinesia tardiva, caratterizzato da movimenti facciali incontrollati (protrusione della lingua, smorfie) e talvolta movimenti di scatto o torsione di altre parti del corpo. Si ritiene che tale disturbo sia legato a fenomeni di ipersensibilizzazione o di up-regulation dei recettori D2 nel tentativo di superare il blocco indotto dai farmaci. Questa condizione normalmente si sviluppa dopo parecchi anni di trattamento con ATPs e colpisce dal 15 al 20% delle persone trattate. Il rischio di sviluppare discinesia tardiva è più basso per coloro che assumono ATPsA. La discinesia tardiva può essere trattata con altri farmaci o riducendo, quando è possibile, il dosaggio dell’antipsicotico.
La via dopaminergica tuberoinfundibolare controlla la secrezione di prolattina. Quando i recettori D2 di questa via sono bloccati può manifestarsi iperprolattinemia associata a galattorrea, amenorrea e disfunzioni sessuali.
Gli ATPs hanno altre importanti proprietà farmacologiche: antistaminiche, di blocco alfa-adrenergico e di blocco muscarinico-colinergico. I diversi antipsicotici si differenziano per la loro capacità di bloccare tali recettori, differendo nel profilo degli effetti collaterali, pur non differendo completamente nel profilo terapeutico. In genere i neurolettici di minore ‘potenza’ di blocco dopaminergico sono più sedativi, mentre quelli a maggior ‘potenza’ hanno una maggiore probabilità di causare effetti cardiovascolari. Il blocco dei recettori colinergici muscarinici induce tachicardia, stipsi, xerostomia, visione offuscata, fotofobia, scompenso del glaucoma ad angolo retto, ritenzione urinaria, disfunzioni sessuali, diminuzione della sudorazione, convulsioni, ipertermia, ottundimento cognitivo, confusione o delirium negli anziani o nei soggetti con deficit cognitivi persistenti. Gli ATPs che presentano proprietà anticolinergiche più deboli hanno una maggiore tendenza a produrre EPS. Questo fenomeno sembra essere legato al fatto che DA e acetilcolina hanno una relazione reciproca nella via nigrostriatale. La DA normalmente inibisce il rilascio di acetilcolina dai neuroni post-sinaptici nigrostriatali, bloccando così l’attività colinergica in quella sede. La rimozione di tale inibizione, mediata dai farmaci antipsicotici che bloccano i recettori D2, provoca un aumento dell’attività colinergica. Un modo per compensare tale iperattività è quello di bloccarla con un agente anticolinergico. I diversi effetti collaterali degli ATPs a livello del sistema nervoso centrale sono riportati in Tabella 1.
ANTIPSICOTICI ATIPICI (ATPsA)
Tutti gli ATPsA oltre al blocco dei recettori D2 della DA hanno proprietà farmacologiche antagoniste dei recettori 5-HT2A della serotonina. Tale classe di farmaci migliora i sintomi positivi con efficacia analoga a quella degli antipsicotici classici, ma è associata a minor incidenza di EPS (effetto classe, esistono poi differenze tra i singoli farmaci all’interno di ogni classe).
Sia a livello corticale che in molte sinapsi dell’area limbica e striatale i neuroni serotoninergici e dopaminergici sono associati funzionalmente e la serotonina attivando i recettori 5-HT2A localizzati su soma, dendriti o assoni di questi neuroni, inibisce la funzione dei neuroni dopaminergici. Gli ATPsA modificano la funzione dei neuroni serotoninergici con meccanismi diretti ed indiretti che coinvolgono la loro capacità di modulare anche la funzione dei neuroni GABAergici e glutammatergici. Tale attività ha un ruolo cruciale nel conferire a questi farmaci la capacità di migliorare il trofismo neuronale e la neurogenesi.
Il blocco dei recettori serotoninergici 5-HT2A a livello della corteccia frontale permetterebbe di migliorare una ridotta funzione dei neuroni dopaminergici della via mesocorticale così da ottenere un controllo dei sintomi negativi e cognitivi.
Gli input serotoninergici ai neuroni dopaminergici nigrostriatali nei gangli della base fanno in modo che l’attività dei neuroni dopaminergici sia inibita dalla serotonina attraverso un meccanismo 5-HT2 postsinaptico sulle terminazioni dopaminergiche presinaptiche. Pertanto, il blocco dei recettori D2 nella via nigrostriatale da parte degli ATPsA avviene contemporaneamente al blocco dei recettori 5-HT2 presenti in questa area, annullando l’effetto del blocco sui recettori D2. Questo effetto si traduce nella clinica in un minor tasso di disturbi del movimento iatrogeni associati agli antipsicotici.
L’antagonismo 5-HT2A della serotonina può ridurre l’antagonismo D2 della DA nella via tuberoinfundibolare. Tra serotonina e DA esiste un rapporto antagonistico e reciproco nel controllo della secrezione di prolattina dalle cellule lattofore ipofisarie. La DA, infatti, inibisce il rilascio di prolattina stimolando i recettori D2, mentre la serotonina promuove il rilascio di prolattina stimolando i recettori 5-HT2A. Quando i recettori D2 sono bloccati da un antipsicotico classico, la DA non può inibire il rilascio di prolattina. Nel caso di antipsicotico atipico, invece, vi è una simultanea inibizione dei recettori 5-HT2A, così la serotonina non può stimolare il rilascio di prolattina. In Tabella 2 sono schematicamente riassunti i vantaggi degli antipsicotici atipici (o di seconda generazione) rispetto ai vari effetti collaterali determinati dall’interazione tra azione sulla serotonina e sulla dopamina.
Gli ATPsA oltre ad essere antagonisti dei sistemi serotoninergico e dopaminergico, presentano varie interazioni recettoriali che sono diverse nei vari farmaci e che contribuiscono a spiegare altri effetti collaterali (ad esempio la maggiore o minore sedazione, associata al blocco dei recettori H1).
Tra gli antipsicotici atipici si annoverano anche una classe di antipsicotici con meccanismo di agonismo parziale sul recettore D2 (aripiprazolo, cariprazina e brexpiprazolo, quest’ultimo non ancora in commercio in Italia). Gli agonisti parziali si pongono tra gli agonisti e gli antagonisti nello spettro di attività che una molecola farmacologica può produrre su un recettore. Gli agonisti puri si legano al recettore per propagare la neurotrasmissione ed indurre una risposta biologica. Un antagonista si lega al recettore bloccando l’attività del neurotrasmettitore endogeno e di un agonista esogeno, senza avere un’attività intrinseca. Gli agonisti parziali, rispetto agli agonisti completi, hanno una bassa attività intrinseca sul recettore e non produrranno la stessa intensità della risposta biologica determinata dall’agonista completo. Di conseguenza, essi possono agire sia come agonisti funzionali che come antagonisti funzionali in dipendenza dei livelli circostanti del ligando endogeno (il naturale neurotrasmettitore presente, agonista completo). In assenza di un agonista completo, un agonista parziale può mostrare un’attività agonistica funzionale, legandosi al recettore per produrre una risposta. Questa risposta, tuttavia, sarà meno intensa rispetto alla risposta dell’agonista totale in quanto l’agonista parziale ha una bassa attività intrinseca. In presenza di un agonista totale, un agonista parziale avrà un’attività funzionale antagonistica, in quanto esso si lega al recettore riducendo la risposta provocata dall’agonista totale. Gli agonisti parziali, quindi, offrono l’opportunità di trattare stati patologici che mostrano deficit nei livelli dei neurotrasmettitori o presentano livelli eccessivi di neurotrasmettitori.
L’aripiprazolo, derivato del quinolilone, è il capostipite di questa nuova classe di farmaci stabilizzanti del sistema dopaminergico, con attività di agonista parziale dei recettori D2 e 5-HT1A ed antagonista dei recettori 5-HT2A. Il vantaggio degli agonisti parziali dopaminergici risiede nella ridotta incidenza di effetti collaterali a livello delle vie nigrostriatali (disturbi del movimento) e tuberoinfundibulare (iperprolattinemia). Per quanto riguarda l’incidenza dei disturbi del movimento, recenti meta-analisi di studi a breve termine in effetti confermano la minor incidenza di EPS (per lo più distonie acute, parkinsonismo e discinesie tardive) (Leucht et al., Lancet 2013), mentre l’acatisia rimane un effetto di tipo extrapiramidale che si rileva con una certa frequenza (Rummel-Kluge et al., Schizophrenia Bulletin 2012; Meduri et al., J Affect Disord 2016).
L’incidenza degli EPS associata all’impiego degli antipsicotici sembra legata al rapporto tra affinità D2/5-HT2A (maggiore affinità relativa per D2 rispetto a quella per 5-HT2A associata a maggior incidenza di EPS) (Martino et al., Can J Psychiatry 2016; Solmi et al., Therapeutics and Clinical Risk Management 2017). In generale, i farmaci di prima generazione sono associati a maggior incidenza di effetti extrapiramidali (Zhang et al., Int J Psychopharmacol 2013; O’Brien, Int J Geriatr Psychiatry 2016). Recenti meta-analisi hanno confermato che esistono tuttavia differenze significative tra i vari antipsicotici nell’incidenza di disturbi del movimento iatrogeni o nell’uso di farmaci anticolinergici, pur all’interno della classe degli antipsicotici atipici (Rummel-Kluge et al., Schizophrenia Bulletin 2012). La maggior incidenza di EPS è associata all’aloperidolo (OR versus placebo 4.76), seguita da un gruppo di antipsicotici che comprende risperidone, paliperidone, ziprasidone e lurasidone (con odds ratio significativi versus placebo, compresi tra 1.61 e 2.46), seguita da asenapina, amisulpride, e minor incidenza con aripiprazolo, quetiapina, olanzapina, e clozapina (Leucht et al., Lancet 2013). Per quanto riguarda la stima dei tassi di prevalenza dei singoli disturbi del movimento, una recente meta-analisi (Martino et al., Can J Psychiatry 2016) ha confermato che esistono significative differenze tra i singoli antipsicotici, che quindi non vanno considerati omogenei quanto a profilo di effetti collaterali in genere, e disturbi del movimento nel nostro specifico caso. I tassi di prevalenza associati variano per distonia acuta da 1.4% (con quetiapina) a 16.5% (con aloperidolo), per acatisia da 3.3% (con paliperidone) a 24.8% (con aloperidolo), per parkinsonismo da 2.4% (con asenapina) a 29.3% (con sulpiride), per tremore da 2.4% (con asenapina) a 28.2% (con sulpiride). Vale la pena sottolineare l’estrema variabilità dei tassi di prevalenza, a sottolineare nuovamente che quando si esamina la propensione della classe degli antipsicotici a determinare disturbi del movimento iatrogeni occorre prendere in considerazione il singolo composto piuttosto che la classe di appartenenza.
Dal punto di vista clinico occorre sottolineare che l’acatisia (incapacità a stare fermo o seduto, tipicamente manifestata con la cosiddetta “marcia sul posto”, che migliora con la riduzione del dosaggio dell’antipsicotico o con l’aggiunta di benzodiazepine) deve essere differenziata dalla pseudoacatisia, caratterizzata da agitazione psicomotoria che può derivare da effetto rebound farmacodinamico o farmacocinetico e migliora quindi con la reintroduzione del vecchio antipsicotico o con un incremento veloce del dosaggio del nuovo antipsicotico (Solmi et al., Therapeutics and Clinical Risk Management 2017).
ANTIDEPRESSIVI E DISTURBI DEL MOVIMENTO IATROGENI
Gli antidepressivi sono una delle classi di farmaci maggiormente prescritte, in quanto indicati non solo per il trattamento del Disturbo Depressivo Maggiore ma anche per molti Disturbi d’Ansia e per il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Tra i vari effetti collaterali dei farmaci di nuova generazione (SSRI, SNRI, ecc.), noti e relativamente frequenti, si riportano effetti collaterali di tipo sessuale, aumento di peso, ed effetti collaterali di tipo gastroenterico (nausea per lo più) (Carvalho et al., Psychother Psychosomatics 2016). Minore attenzione è stata data alla rilevazione di disturbi del movimento ad esordio associato alla terapia con antidepressivi.
Una recente revisione di tutti i casi di disturbi del movimento associati ad antidepressivi (Hawthorne & Caley, Annals of Pharmacotherapy 2015) ha identificato 86 case reports pubblicati su 91 pazienti che hanno riportato acatisia (17 casi), parkinsonismo (19 casi), distonie acute (27 casi), e discinesie (18 casi); alcuni pazienti hanno riportato più di un disturbo del movimento. Nella stragrande maggioranza dei casi il trattamento era con SSRI (80% dei casi). I farmaci maggiormente implicati sono citalopram/escitalopram, fluoxetina e sertralina. Nella maggior parte dei casi l’esordio del disturbo del movimento avveniva entro 30 giorni dall’inizio del trattamento o dall’incremento di dosaggio. Un recente nested case-control study (Guo et al., J Clin Psychopharmacol 2018) ha identificato 3.838 individui con de-novo disturbo del movimento associato all’impiego di antidepressivi, confrontati con 38.380 controlli; il RR di sviluppare EPS è maggiore per duloxetina (5.68 rispetto al non essere stati esposti ad antidepressivi), seguito da mirtazapina (3.78), citalopram (3.47) escitalopram (3.23), paroxetina (3.07), sertralina (2.57), venlafaxina (2.37), bupropione (2.31) e fluoxetina (2.03). Tutti gli antidepressivi di seconda generazione sono quindi associati con il rischio di sviluppare EPS, anche se il rischio relativo differisce tra farmaci.
Una possibile spiegazione è che l’aumento di serotonina, associato al meccanismo di blocco del reuptake della serotonina, vada a stimolare i recettori 5-HT2 situati su interneuroni GABAergici, con effetto finale di inibizione del rilascio di dopamina a livello striatale, e quindi sintomi extrapiramidali. Questo spiegherebbe l’associazione tra disturbi del movimento iatrogeni e farmaci antidepressivi SSRI o SNRI. L’azione della serotonina di modulazione dell’attività dopaminergica spiegherebbe anche, tra l’altro, alcuni casi descritti in letteratura di iperprolattinemia associata all’inizio di un trattamento antidepressivo (azione in tal caso di modulazione da parte della serotonina della funzionalità dopaminergica sulla via tuberoinfundibulare). Nel caso di una associazione tra antidepressivi e antipsicotici (24% dei casi descritti in letteratura avevano tale associazione), possono intervenire due fattori a spiegare la comparsa di disturbi del movimento: 1) dal punto di vista farmacodinamico, l’azione dell’antidepressivo sopra descritta si combina con l’effetto diretto dell’antipsicotico di blocco del recettore D2 postsinaptico, 2) dal punto di vista farmacocinetico, alcuni antidepressivi possono interagire con i sistemi citocromiali (ad esempio CYP2D6 o CYP1A2) determinando un incremento delle concentrazioni dell’antipsicotico il cui metabolismo è associato allo stesso sistema citocromiale (esempio interazione tra risperidone e farmaci inibitori del CYP2D6 quali fluoxetina e paroxetina, o interazione tra olanzapina e fluvoxamina, farmaco inibitore del CYP1A2). Le differenze tra singoli antidepressivi appartenenti alla stessa classe (esempio SSRI) possono essere ricondotte a specifiche differenze di affinità per sottotipi recettoriali (ad esempio fluoxetina antagonizza i 5-HT2A e 5-HT2C, sertralina blocca il ricaptatore della dopamina incrementandone la disponibilità nello spazio intersinaptico).
Nonostante disturbi del movimento iatrogeni siano piuttosto rari con antidepressivi (mancano dati derivanti da studi epidemiologici, ma il tasso è stimato in meno di 1 su 1000), è importante che i medici di medicina generale sappiano di tale potenziale evento avverso, soprattutto nel caso di pazienti di sesso femminile o in età avanzata (il parkinsonismo soprattutto è più frequente in tali categorie di pazienti) (Hawthorne & Caley, Annals of Pharmacotherapy 2015). L’impiego di farmaci in politerapia, inoltre, è associato ad un incremento del rischio di disturbi iatrogeni del movimento (Hirano, Therapeutic Innovation & Regulatory Science 2018).
In conclusione, i disturbi del movimento iatrogeni sono associati per lo più con l’impiego di farmaci antipsicotici, vasta classe di composti utilizzati ampiamente non solo per il trattamento della Schizofrenia ma sempre più (alcuni di essi) come stabilizzatori dell’umore nel trattamento del Disturbo Bipolare. Il fatto che tali farmaci siano prescritti a pazienti spesso in giovane età, e che il trattamento sia di lunga durata espone quindi i pazienti al rischio di sviluppo di tali effetti collaterali. Dal momento che esistono importanti differenze non solo tra antipsicotici di prima e seconda generazione, ma anche all’interno della stessa classe tra antipsicotici di seconda generazione, è opportuno che il clinico scelga opportunamente il singolo farmaco con il migliore profilo di efficacia/tollerabilità. Occorre infine segnalare la possibilità, sia pur remota, che anche gli antidepressivi possano determinare la comparsa di disturbi del movimento iatrogeni.
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