Depressione nella Malattia di Parkinson
Paolo Barone
Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Salerno
I sintomi dello spettro depressivo sono frequenti nella Malattia di Parkinson (MP) e impattano significativamente sulla qualità della vita e sulle disabilità (motorie ed emotive) del paziente (Kuhn W et al., J Neural Transm 1996; Weintraub D et al., J Am Ger Soc. 2004; Schrag A et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2000).
Nell’ambito della MP non esiste un profilo unico di sintomi depressivi. Nel complesso, i sentimenti di colpa e di fallimento sono sintomi meno comuni e il rischio di suicidio, nonostante sia frequente la presenza d’ideazione suicidiaria, è più basso rispetto alla popolazione generale (Kummer A et al., CNS Spectr. 2009).
I disturbi dell’umore nella MP includono (Marsh L et al., Mov Disord. 2006; Starkstein SE, Mov Disord. 2008):
• la depressione maggiore;
• la depressione minore;
• la distimia e la depressione subsindromica.
In quest’ultima categoria rientrano i sintomi depressivi sperimentati dai pazienti solo nelle fasi off (Chen JJ et al., Pharmacotherapy. 2013).
La diagnosi di disturbo dell’umore in corso di MP è particolarmente complessa dato che i sintomi cognitivi e fisici della malattia neurologica si sovrappongono a quelli della depressione: l’applicazione dei criteri del DSM per la diagnosi di depressione nella MP può generare “overdiagnosi” o “misdiagnosi” a causa della sovrapposizione di sintomi somatici e cognitivi della MP e dei sintomi somatici e cognitivi della depressione.
Un’ulteriore complessità nell’inquadramento della depressione nella MP è rappresentata dalla difficile quantificazione del contributo dell’apatia e dell’anedonia al quadro sindromico depressivo nel paziente parkinsoniano e della loro influenza sulla diagnosi di depressione.
Per quanto riguarda i criteri diagnostici per la depressione nel Parkinson, questi sono stati rivisti dal gruppo di lavoro costituito dal National Institute of Mental Health nel 2006 (Marsh L et al., Mov Disord. 2006). Le raccomandazioni conclusive del gruppo di lavoro sono state le seguenti:
1. la diagnosi di depressione nella Malattia di Parkinson dovrebbe essere fatta, in accordo con il DSM-4, con un approccio inclusivo, ovvero considerando tutti i sintomi come ascrivibili alla patologia depressiva, senza tener conto del possibile overlap con la MP o altre condizioni cliniche; la depressione subsindromica dovrebbe essere inclusa tra le diagnosi;
2. per ciascun paziente dovrebbe essere specificata la fase di valutazione (fasi on e fasi off);
3. per i pazienti cognitivamente compromessi dovrebbe essere previsto l’ausilio di un caregiver nel corso della valutazione dei sintomi depressivi;
4. l’apatia non dovrebbe essere considerata come sintomo “core” nella diagnosi di depressione minore o depressione subsindromica.
Il gruppo di lavoro ha concluso che le linee guida raccomandate per la diagnosi di depressione nella MP richiedono ulteriore valutazione e validazione. Allo stato attuale queste linee guida non sono state ancora riviste alla luce del DSM-5.
EPIDEMIOLOGIA
I disturbi depressivi sono molto comuni nella MP e possono precederne la diagnosi nel 30% dei pazienti (Santamaria J et al.,Neurology. 1986; Ishihara L et al., Acta Neurol Scand. 2006; Schrag A et al., Lancet Neurol. 2015).
In generale, i soggetti depressi, rispetto ai non depressi, hanno una probabilità circa 3,14 volte superiore di sviluppare la MP (Shen CC et al., Neurology. 2013). Le stime di prevalenza della depressione nella MP variano molto in letteratura a causa dell’eterogeneità delle popolazioni prese in considerazione e dei criteri usati per definire la depressione nella MP (es. criteri DSM-4, scale di valutazione clinica, ecc.). In una review sistematica di 36 studi sulla frequenza della depressione nella MP (Reijnders JS, Mov Disord. 2008), la prevalenza della depressione maggiore è risultata del 17%, della depressione minore del 22%, della distimia del 13% e della depressione clinicamente significativa del 35%. La prevalenza dei sintomi depressivi e della depressione maggiore in studi più recenti è riportata nella Tabella 1.
Il disturbo depressivo nei pazienti parkinsoniani, come del resto accade nella popolazione generale, è influenzato da multipli fattori di rischio multipli interagenti tra loro.
I fattori di rischio specifici per depressione nella Malattia di Parkinson includono: sintomi motori gravi, disabilità elevata relativa, stadio avanzato di malattia, lunga durata di malattia, elevati livelli equivalenti di levodopa, presenza di allucinazioni, deterioramento cognitivo, disturbi del sonno e disautonomia (Starkstein SE et al., Brain 1989; Dissanayaka NNW et al., J Affect Disord 2011; Becker C et al., Eur J Neurol 2011; Gallagher DA et al., Neurobiol Dis 2012; Riedel O et al., J Geriatr Psychiatry Neurol 2010).
Un recente studio cross-sectional (Leentjens AF et al., Neurology 2013), disegnato con l’obiettivo di costruire un modello di fattori di rischio della depressione nella MP, ha trovato 3 fattori specifici di malattia (maggiore durata di malattia, sintomi motori più gravi e uso di levodopa) e 5 fattori non specifici (sesso femminile, storia personale o familiare di depressione, elevato livello di disabilità e grado più avanzato di deterioramento cognitivo); sorprendentemente, i fattori non specifici sembrano avere un’associazione più forte con la depressione rispetto ai fattori specifici di malattia.
FISIOPATOLOGIA
Da un punto di vista fisiopatologico sono proposti essenzialmente due meccanismi, non mutualmente esclusivi, per la depressione nella MP:
1. depressione intesa come reattiva e aspecifica, in comorbilità con la MP: i pazienti sviluppano la condizione depressiva come reazione psichica alla malattia cronica;
2. depressione specifica: la depressione è secondaria ai meccanismi fisiopatologici propri della MP.
L’osservazione clinica che la depressione può svilupparsi in qualsiasi momento nel corso della MP e può addirittura precedere l’esordio dei sintomi motori, appare in contrasto con la prima ipotesi; inoltre, confrontando soggetti parkinsoniani con individui affetti da altre malattie croniche con simile grado di disabilità, i pazienti con MP mostrano sintomi depressivi più gravi (Ehmann TS et al., J Geriatr Psychiatry Neurol 1990).
Quindi, anche se i sintomi motori e non motori della MP, con il loro carico di disabilità, indiscutibilmente contribuiscano a un quadro depressivo, non ne possono essere considerati gli unici determinanti, suggerendo che meccanismi fisiopatologici intrinseci alla malattia sottendono lo sviluppo dei disturbi dell’umore; in particolare, una combinazione di alterazioni monoaminergiche (dopaminergiche, serotoninergiche e noradrenergiche) sarebbe alla base dello sviluppo della depressione nella MP (Brooks DJ, Piccini P., Biol Psychiatry 2006; Eskow Jaunarajs KL et al., Neurosci Biobehav Rev 2011).
Per quanto riguarda il sistema dopaminerigco, studi sul trasportatore della dopamina in pazienti parkinsoniani depressi (DaTSCAN) hanno prodotto risultati contrastanti: alcuni studi (Hesse S et al., Eur J Nucl Med Mol Imaging 2009; Weintraub D et al., J Nucl Med 2005), infatti, hanno dimostrato una riduzione del trasportatore dopaminergico striatale nei parkinsoniani depressi rispetto ai non depressi, suggerendo una maggiore degenerazione dopaminergica nei primi; altri studi (Felicio AC et al., Psychopharmacology (Berl) 2010; Ceravolo R et al., Eur J Neurol 2013), invece, hanno trovato un’associazione positiva tra sintomi depressivi e un aumento della disponibilità del trasportatore della dopamina. Queste contraddizioni sono probabilmente legate a incongruenze metodologiche degli studi stessi e/o all’eterogeneità della disfunzione dopaminergica striatale, che appare associata solo ad alcuni sintomi dello spettro depressivo. In ogni caso, al netto di queste discrepanze, i risultati supportano il ruolo centrale esercitato dai pathway dopaminergici nella comparsa della depressione nella MP.
Oltre alla dopamina, altre monoamine svolgerebbero un ruolo centrale nella patogenesi della depressione nella MP. In un recente studio con indagine PET (Politis M et al., Neurology 2010), condotto su pazienti parkinsoniani con sintomi depressivi, è stato osservato un aumento del legame del trasportatore della serotonina nelle strutture limbiche e nel nucleo caudale del rafe, suggerendo una riduzione della disponibilità di serotonina.
Analogamente, uno studio di ultrasonografia transcranica effettuato su pazienti parkinsoniani con sintomi depressivi antecedenti all’esordio dei sintomi motori ha evidenziato la riduzione dell’ecogenicità del nucleo del rafe dorsale (Walter U et al., Brain 2007).
Per quanto riguarda la disfunzione noradrenergica, un altro studio con indagine PET (Remy P et al., Brain 2005) effettuato su pazienti parkinsoniani depressi ha mostrato una riduzione dell’innervazione dopaminergica e noradrenergica nel locus coeruleus e nelle aree limbiche; tale reperto è stato confermato anche da uno studio anatomopatologico che ha dimostrato perdita neuronale e gliosi nel locus coeruleus (Frisina PG et al., Parkinsonism Relat Disord 2009).
In linea con questo modello di alterazione di pathway monaminergici che proiettano alla corteccia, diversi studi hanno mostrato alterazione del metabolismo o del flusso ematico nella corteccia frontale nei soggetti parkinsoniani depressi (Mayberg HS et al., Ann Neurol 1990; Ring HA et al., Br J Psychiatry 1994; Cardoso EF et al., Neuroimage 2009; Matsui H et al., Mov Disord 2006). Infine, uno studio molto recente di Risonanza Magnetica Funzionale a riposo (Luo C et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry 2014) ha rivelato una riduzione della connettività funzionale nel network prefrontale-limbico nei pazienti parkinsoniani affetti da depressione rispetto ai parkinsoniani non depressi.
STRUMENTI DI VALUTAZIONE
Nella pratica clinica, l’uso delle scale di valutazione può essere di aiuto nell’identificazione della depressione nei pazienti parkinsoniani ma non si sostituisce all’utilizzo dei criteri nella diagnosi. Le scale cliniche di valutazione della depressione validate nella MP si distinguono in eterosomministrate e autosomministrate. Le scale eterosomministrate includono la Hamilton Depression Rating Scale (HAM-D, 17- e 24-item), la Montgomery-Asberg Depression Rating Scale (MADRS), l’item sulla depressione dell’Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UPDRS); le scale autosomministrate comprendono la Beck Depression Inventory (BDI) e la Geriatric Depression Scale (GDS; 30- e 15-item) (Starkstein SE, Merello M, Mov Disord 2007; Hamilton M. et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry 1960; Montgomery SA, Åsberg M, Br J Psychiatry 1979; Leentjens AF et al., Int J Geriatr Psychiatry 2000; Leentjens AF et al., Mov Disord 2000; Naarding P et al., J Neuropsychiatry Clin Neurosci 2002; McDonald WM et al., Mov Disord 2006; Silberman CD et al., Arq Neuropsiquiatr 2006; Weintraub D et al., Am J Geriatr Psychiatry 2006; Yesavage JA et al., J Psychiatr Res 1983; Visser M et al., Mov Disord 2006; Ertan T et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry 2005; Thompson AW et al., Parkinsonism Relat Disord 2011).
Recentemente anche il Patients Health Questionnaire-9 (PHQ-9) si è mostrato un adeguato strumento di screening per la depressione nella MP (Kroenke K et al., J Gen Intern Med 2001; Chagas MH et al., Age Ageing 2013).
Un lavoro recente (Williams JR et al., Neurology 2012) ha confrontato la sensibilità di sei test autosomministrati (BDI-II, GDS-30, Center for Epidemiologic Studies Depression Rating Scale-Revised, Inventory of Depressive Symptoms Self Report IDS-SR, PHQ-9, part I of UPDRS) e tre test eterosomministrati (HAMD-17, Inventory of Depressive Symptomatology-Clinician-Rated, e MADRS) in rapporto alla diagnosi psichiatrica basata sui criteri del DSM-IV-TR. I risultati hanno dimostrato che sia le scale autosomministrate, in particolare la BDI-II, sia quelle eterosomministrate possiedono una elevata potenza psicometrica e sono utili per lo screening della depressione nella MP.
SINTOMI NON MOTORI
ASSOCIATI ALLA DEPRESSIONE
La depressione si associa frequentemente ai disturbi cognitivi nella MP. La relazione tra la depressione e le alterazioni cognitive presenta alcune controversie, tali da far ipotizzare tre possibili pattern di correlazione:
1) la depressione influenza la cognitività nei pazienti parkinsoniani, ovvero la depressione peggiorerebbe i sintomi cognitivi (Starkstein SE et al., Brain 1989; Mayeux R et al., Neurology 1981; Starkstein SE et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry 1990; Kuzis G et al., Arch Neurol 1997; Cubo E et al., Clin Neuropharmacol 2000; Anguenot A et al, J Neurol Sci 2002; Norman S et al., J Neuropsychiatry Clin Neurosci 2002; Uekermann J et al., Acta NeurolScand 2003; Stefanova E et al., J Neurol Sci 2006; Tröster AI et al., Neurology 1995; Tröster AI et al., Arch Neurol 1995);
2) depressione e cognitività sono indipendenti sebbene molti sintomi delle due condizioni si sovrappongano nella MP (Santamaria J et al., Neurology 1986; Beliauskas LA et al., J Clin Exp Neuropsychol 1989; Taylor AE et al., Brain 1986; Huber SJ et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry 1988; Silberman CD et al., Psychiatry Res 2007);
3) i disturbi cognitivi costituiscono il substrato della depressione; in questo caso la depressione si assocerebbe a un pattern di deterioramento cognitivo qualitativamente distinto.
La relazione tra disfunzioni frontali e depressione è complessa: i criteri diagnostici del DSM per la depressione maggiore includono tra i sintomi, oltre ai disturbi della concentrazione, anche l’apatia e l’anedonia, sintomi che, nella Malattia di Parkinson, risultano significativamente associati alle disfunzioni frontali. Santangelo e coll. (J Neurol 2009), infatti, hanno dimostrato che pazienti parkinsoniani depressi con elevati livelli di anedonia e/o apatia esibiscono alterazioni esecutive più gravi rispetto a pazienti con MP depressi ma senza apatia e/o anedonia. Questo dato supporta l’ipotesi che la combinazione di apatia, anedonia e disfunzioni del lobo frontale possano portare a sovrastimare la depressione nella MP.
GESTIONE
Le opzioni terapeutiche per i sintomi depressivi nel paziente parkinsoniano dovrebbero essere basate sulle peculiarità cliniche di ciascun paziente.
Il primo step dovrebbe essere la valutazione di tutti i farmaci già assunti dal paziente per identificare e, possibilmente, eliminare quelli che potrebbero peggiorare la sintomatologia affettiva; poi è fondamentale l’ottimizzazione del trattamento dopaminergico, visto che questa strategia è spesso efficace nelle depressioni sottosoglia (che includono i sintomi depressivi legati alla fase off ovvero le fluttuazioni non-motorie) e nella depressione lieve.
Per quanto riguarda il trattamento dopaminergico, studi open-label hanno dimostrato che sia il pramipexolo sia il ropinirolo esercitano un efficace effetto antidepressivo nei pazienti parkinsoniani (Rektorova I et al., Eur J Neurol 2003; Lemke MR et al., J Neuropsychiatry Clin Neurosci 2005; Barone P et al., J Neurol 2006; Rektorova I et al., Clin Neuropharmacol 2008). Un recente ampio studio di 12 settimane in doppio cieco, randomizzato vs placebo in pazienti parkinsoniani con sintomi depressivi (definito come uno score ≥ 5 alla 15-item GDS o a uno score ≥ 2 all’item della depressione nella parte 1 dell’UDPRS) ha confrontato pramipexolo (0,375-3 mg die, N=139) e placebo (N=148), dimostrando che il pramipexolo migliora i sintomi depressivi nella MP indipendentemente dall’effetto motorio (Barone P et al., Lancet Neurol 2010). Altri due studi (Pahwa R et al., Neurology 2007; Trenkwalder C et al., Mov Disord 2011) in doppio cieco, randomizzati vs placebo, hanno dimostrato l’effetto antidepressivo nella MP di ropinirolo a lento rilascio e rotigotina; in entrambi gli studi, tuttavia, i pazienti non erano stati selezionati sulla base della presenza di sintomi affettivi, rappresentando l’effetto sulla depressione solamente l’end-point secondario.
Le evidenze in letteratura sull’efficacia terapeutica degli antidepressivi nella MP sono ancora contrastanti e non del tutto definite: una review sistematica e una meta-analisi di dieci studi giunge alla conclusione che mancano forti evidenze a supporto dell’efficacia clinica degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (Selective serotonin reuptake inhibitor, SSRI) nei pazienti parkinsoniani depressi (Skapinakis P et al., BMC Neurol 2010); una review successiva sugli antidepressivi triciclici (Tricyclic antidepressant, TCA) (Seppi K et l., Mov Disord 2011) ha concluso che essi sono efficaci e utili nel trattamento della depressione in soggetti con MP ma che esibiscono anche uno spettro di tollerabilità peggiore con effetti collaterali piuttosto frequenti.
Recentemente un nuovo studio in doppio cieco, randomizzato vs placebo ha fornito un’evidenza di Classe I sull’efficacia della paroxetina e della venlafaxina (un inibitore del reuptake della serotonina e della noradrenalina, Serotonin and noradrenaline reuptake inhibitor, SNRI) nel trattamento della depressione nei pazienti con MP senza significativi effetti peggiorativi sui sintomi motori.
Gli studi in doppio cieco, controllati vs placebo sull’utilizzo degli antidepressivi nella MP sono riassunti in Tabella 2.
Gli interventi non farmacologici per la gestione della depressione nella MP includono la terapia cognitivo-comportamentale (CBT – cognitive behavioural treatment) e la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS – repetitive Transcranial Magnetic Stimulation).
Per quanto riguarda la terapia cognitivo-comportamentale, lo studio controllato-randomizzato con la numerosità campionaria maggiore (n=80) ha dimostrato miglioramento significativo dei sintomi depressivi nei pazienti trattati rispetto ai controlli (Dobkin RD et al., Am J Psychiatry 2011).
Per quanto concerne la rTMS, i risultati sono ancora di natura preliminare e potrebbero potenzialmente risentire dell’effetto della tecnica sui sintomi motori e cognitivi; uno studio in doppio cieco controllato verso placebo sulla stimolazione ripetitiva della corteccia prefrontale sinistra ha mostrato miglioramento significativo dei punteggi delle scale di valutazione dei sintomi depressivi nel gruppo dei pazienti trattati rispetto ai controlli (Pal E et al., Mov Disord 2010).
Due studi in doppio cieco, controllati verso placebo, confrontando gli effetti della rTMS sulla corteccia prefrontale dorsolaterale e della fluoxetina, hanno dimostrato una pari efficacia dei due interventi terapeutici nel migliorare i sintomi depressivi (Boggio PS et al., Mov Disord 2005; Fregni F et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry 2004).
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