Demenza e Malattia di Parkinson
Alessandro Padovani¹, Laura Bonanni², Andrea Pilotto¹
1. Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia | 2, Clinica Neurologica, Università degli Studi di Chieti-Pescara
INTRODUZIONE
Sebbene la Malattia di Parkinson sia ritenuta una malattia essenzialmente caratterizzata da disturbi motori, è oggi ampiamente riconosciuto che essa può associarsi ad una compromissione delle abilità cognitive anche nelle fasi precoci. Tuttavia, nella maggior parte dei casi i disturbi cognitivi diventano generalmente più evidenti nelle fasi più avanzate, soprattutto nei soggetti più anziani. Complessivamente, i dati di prevalenza indicano che fino al 30% dei malati sviluppano un quadro di demenza, mentre circa il 35% mostra deficit cognitivi all’esordio della malattia e circa il 60% entro 4 anni dall’esordio e fino all’80% dopo 20 anni dall’esordio. (Aarsland D et al., Mov Disord. 2005; Williams-Gray CH et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2013; Santangelo G et al., Parkinsonism Relat Disord. 2015; Hely MA et al., Mov Disord. 2008).
CRITERI DIAGNOSTICI
Come riportato nella Tabella 1, sono stati recentemente definiti, oltre ai criteri diagnostici per la PDD (Emre M et al., Mov Disord. 2007), i criteri per la diagnosi di MCI in pazienti PD (PDMCI) (Litvan I et al., Mov Disord. 2012). Va detto che la diagnosi sia di demenza che di decadimento cognitivo non è sempre agevole dal momento che essa può essere complicata da numerosi fattori tra i quali gli stessi disturbi motori, i disturbi affettivi, la comorbilità somatica e gli eventi avversi secondari a trattamenti farmacologici. Per tale ragione, è necessaria una approfondita valutazione cognitiva, un completo esame neurologico e somatico, una attenta ricognizione dei trattamenti farmacologici e indagini strumentali appropriate. Infatti, come successivamente evidenziato, la comparsa di una demenza riconosce cause diverse e si associa ad alterazioni patologiche diverse. Particolarmente dibattuta e non risolta la questione della relazione e della diagnosi differenziale con la Demenza a Corpi di Lewy (DLB) con la quale la PDD condivide i disturbi cognitivi, comportamentali e disautonomici. Entrambe le condizioni sono correlate all’accumulo di alfa-sinucleina ed entrambe si associano ad un accumulo di grado variabile con l’accumulo di placche senile ed accumulo di amiloide nonché di una compromissione di neuroni dopaminergici e colinergici (Dubois B et al., Mov Disord. 2007). Ancora oggi, il criterio temporale è quello che maggiormente differenzia le due condizioni; nella PDD le alterazioni motorie dovrebbero precedere lo sviluppo di demenza per almeno 12 mesi mentre nella DLB le alterazioni dovrebbero essere contemporanee ovvero seguire la comparsa dei disturbi cognitivi. Le attuali linee guida tendono a conservare le regole dei 12 mesi (McKeith IG, J Alzheimers Dis. 2006) e tale distinzione è estesamente applicata a fini di ricerca. In pratica, la diagnosi di PDD dovrebbe applicarsi a tutti i casi nei quali la diagnosi di PD è seguita nel corso degli anni da una progressiva compromissione cognitiva fino a demenza mentre il termine DLB dovrebbe essere applicato nei casi nei quali la compromissione cognitiva è seguita nel tempo da una progressiva compromissione motoria. Ovviamente tale distinzione non tiene conto del fatto che spesso nei pazienti PD sono presenti disturbi cognitivi lievi (PDMCI) così come nei soggetti con prevalenti disturbi cognitivi i segni motori possono essere molto lievi. Peraltro, anche nei soggetti con Malattia di Alzheimer non raramente sono presenti disturbi “parkinsoniani” così come non raramente nei pazienti PD può svilupparsi una concomitante Malattia di Alzheimer.
FATTORI DI RISCHIO E FATTORI PREDITTIVI
Il principale fattore di rischio per la comparsa di demenza è rappresentato dall’età al momento della diagnosi di PD. Infatti, i pazienti più anziani e più gravi hanno un rischio maggiore di 12 volte rispetto a soggetti giovani con malattia di grado lieve (Levy G et al., Ann Neurol. 2002). In aggiunta alla disabilità motoria, vi sono evidenze che sono fattori di rischio una lunga durata di malattia, la presenza di segni neurologici atipici quali disturbi disautonomici, una presentazione clinica simmetrica e una non soddisfacente risposta alla terapia dopaminergica. Pazienti con RBD hanno una frequenza di demenza 6 volte superiore rispetto ai pazienti senza RBD (Marion MH et al., J Neurol. 2008).
Per quanto riguarda i fattori di rischio vascolare, è stato riportato in uno studio trasversale che anche la malattia cardiaca è significativamente più frequente nei soggetti parkinsoniani con demenza (Pilotto A et al., J Alzheimers Dis. 2016), mentre uno studio longitudinale ha dimostrato che il declino cognitivo è correlato alla presenza di almeno due fattori di rischio vascolare e di alterazioni a carico della sostanza bianca (Malek N et al., Mov Disord. 2016) (Tabella 2).
Per quanto riguarda i fattori genetici, è stato riportato che in soggetti PD non dementi uno dei fattori predittivi per lo sviluppo di demenza è rappresentato dalla presenza di un allele APOE epsilon 4 (ApoE ε4) e che in questo caso il pattern cognitivo è simile a quello che normalmente di osserva nei pazienti affetti dalla Malattia di Alzheimer (Mata IF et al., JAMA Neurol. 2014). Tra gli altri, vi sono evidenze a favore di un rischio maggiore per un precoce esordio di demenza in pazienti portatori di mutazioni sul gene MAPT (Healy DG et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2004) e sul gene della glucocerebrosidasi (GBA). Infatti, un recente studio ha dimostrato che mutazioni sul gene GBA raggiungono il 3,5% dei pazienti PD e che vi è un rischio di circa 3-6 volte nei portatori rispetto ai non portatori per lo sviluppo di una demenza (Winder-Rhodes SE et al., Brain. 2013; Davis MY et al., JAMA Neurol. 2016). Infine, vi sono forti evidenze a favore di un maggiore rischio di demenza in soggetti portatori di una duplicazione/triplicazione del gene per alfa-sinucleina (Farrer M et al., Ann Neurol. 2004; Sironi F et al., Parkinsonism Relat Disord. 2010) mentre vi sarebbe un rischio inferiore nei soggetti PD portatori mutazioni sui geni LRRK2, su PINK1, DJ-1 e Parkina rispetto a soggetti con PD sporadico (Alcalay RN et al., JAMA Neurol. 2014).
CORRELATI CLINICI
Per quanto riguarda il profilo cognitivo, caratteristicamente nei pazienti PD con demenza è presente una sindrome disesecutiva nella quale predominano deficit di pianificazione, giudizio astratto e flessibilità mentale oltre che una precoce compromissione delle abilità attentive e delle funzioni visuo-spaziali; la memoria è comunemente compromessa in forma modesta mentre non sono frequentemente riportati deficit di linguaggio e delle abilità prassiche. Tra i disturbi del comportamento, frequente è l’apatia e la depressione così come nelle fasi più avanzate sono di crescente riscontro disturbi psicotico-allucinatori (Petrova M et al., Am J Alzheimers Dis Other Demen. 2012).
Negli ultimi anni vi è stato un interesse maggiore a definire lo stadio prodromico della demenza ovvero la fase del decadimento cognitivo lieve (MCI). In realtà, non tutti i casi di PD, nei quali si è documentata la presenza di MCI, questi sono evoluti in demenza. Tuttavia, è stato riportato con una certa consistenza che il sottotipo più frequente di MCI è rappresentato dalla forma “multi-dominio” associato a disturbi della memoria e delle funzioni visuo-spaziali e che questo, a differenza del sottotipo disesecutivo, si associa ad un rischio maggiore di sviluppo di demenza (Goldman JG et al., Mov Disord. 2013; Johnson DK et al., Alzheimer Dis Assoc Disord. 2016).
Oltre ai disturbi della sfera cognitiva, nei pazienti PD a rischio di sviluppare demenza è stata descritta una maggiore frequenza di disturbi neuropsichiatrici. I più comuni sono rappresentati dai disturbi psicotico-allucinatori, dall’apatia, dalla depressione, dall’ansia e dall’insonnia. Secondo uno studio trasversale condotto su ampia casistica, nel 90% dei pazienti PD con demenza è presente almeno uno dei disturbi menzionati (Aarsland D et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2007). Le allucinazioni sono per lo più di tipo visivo, spesso caratterizzate da figure ben formate di esseri umani o animali; l’introspezione e la critica sono generalmente conservate così come il coinvolgimento emotivo è spesso limitato, similmente a quanto si osserva nella demenza a Corpi di Lewy. I deliri sono meno frequenti e sono generalmente rappresentati da episodi di misidentificazione e di paramnesia reduplicativa (Pagonabarraga J et al., Mov Disord. 2008). Per quanto riguarda la apatia e la depressione, questi sono generalmente frequenti anche nei pazienti PD senza disturbi cognitivi o demenza e non vi sono evidenze che la loro presenza si associno ad un maggiore rischio di demenza (Aarsland D et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2007).
Così come descritto per i disturbi RBD, anche per i disturbi disautonomici vi sarebbe una relazione con un maggior rischio di sviluppo di demenza; infatti, la presenza di ipotensione ortostatica viene ritenuta correlata alla comparsa di disturbi cognitivi e sarebbe più frequente nei soggetti PDD (McDonald C et al., Mov Disord. 2016).
CORRELATI NEUROPATOLOGICI
Dal punto di vista neuropatologico, la demenza parkinsoniana è caratterizzata da una combinazione variabile di alterazioni diverse che includono la degenerazione tipo Corpi di Lewy, la perdita neuronale a carico di nuclei sottocorticali e l’accumulo corticale di placche senili tipiche della Malattia di Alzheimer (Emre M, Mov Disord. 2003). A tal riguardo, la comparsa di una demenza precoce e di un declino cognitivo più rapido è correlata con la presenza di Corpi di Lewy a livello corticale mentre la coesistenza di placche senili determinerebbe un decorso più sfavorevole (Horvath J et al., Parkinsonism Relat Disord. 2013; Schneider JA et al., Brain. 2012). La perdita neuronale a carico dei nuclei sottocorticali si associa ad alterazioni neurotrasmettitoriali che includono il sistema colinergico, dopaminergico, serotoninergico e noradrenergico. In particolare, la perdita di neuroni colinergici a carico del nucleo basale di Meynert è maggiore di quanto osservato nella Malattia di Alzheimer e viene ritenuta la principale causa alla base dei disturbi cognitivi della PDD (Liu AK et al., Acta Neuropathol. 2015). A sua volta, la perdita dei neuroni noradrenergici a carico del locus coeruleus è frequente nei pazienti con PDD e sarebbe correlata alla sindrome disesecutiva mentre la degenerazione dei neuroni serotoninergici del nucleo dorsale del rafe sarebbe correlata allo sviluppo di disturbi del tono dell’umore (Jellinger KA, Mol Chem Neuropathol. 1991).
NEUROIMMAGINI
Negli ultimi anni, lo studio mediante l’uso delle neuroimmagini ha permesso di individuare le aree cerebrali associate alla comparsa di demenza. In particolare, è stato riportato che nei pazienti PDD vi sarebbe una maggiore atrofia a carico della corteccia frontale, occipitale e parietale così come è stato dimostrato che una riduzione del volume del nucleo caudato si associa ad un maggior rischio di decadimento cognitivo (Apostolova LG et al., Mov Disord. 2010). Studi condotti mediante RMN strutturale e funzionale hanno evidenziato che nei soggetti PDD vi sarebbe una maggiore atrofia a carico dei lobi frontali e parietali mentre nella DLB prevale una atrofia a carico della corteccia occipitale (Borroni B et al., Parkinsonism Relat Disord. 2015; Duncan GW et al., Mov Disord. 2016). Studi mediante PET-FDG hanno confermato questo pattern evidenziando un maggiore ipometabolismo frontale e temporale nei PDD ed un maggiore ipometabolismo a carico del lobo occipitale (Pavese N et al., Parkinsonism Relat Disord. 2012). Più recentemente, secondo un recente studio condotto con PET-FDG, i pazienti PD a maggior rischio di sviluppo di demenza hanno mostrato alla baseline un pattern metabolico atipico, ovvero un’alterazione metabolica a carico della corteccia corticale occipitale e parieto-temporale (Pilotto A et al., Neurology. 2018). Inoltre, indagini PET unizzando traccianti colinergici hanno confermato la presenza di un deficit colinergico nella corteccia frontale e parieto-temporale (Hilker R et al., Neurology. 2005). Non del tutto chiarito è invece il ruolo dell’amiloide dal momento che studi con AmyloidPET hanno riportato accumuli di amiloide nel 20% dei casi PDD (non diversamente da quanto osservato nei soggetti PD non dementi) e nell’80% nei casi DLB (Maetzler W et al., Neuroimage. 2008; Edison P et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2008). Infatti, studi mirati a valutare la presenza dei livelli liquorali di Abeta e di proteina Tau hanno riportato una stretta relazione tra valori patologici di Aß42 e successivo sviluppo di declino cognitivo e di demenza (Stav AL et al., Parkinsonism Relat Disord. 2015; Bäckström DC et al., JAMA Neurol. 2015).
GESTIONE DEI DISTURBI COGNITIVI IN CORSO DI MALATTIA DI PARKINSON
Prima di considerare il trattamento farmacologico, devono essere esclusi o trattati in modo appropriato le patologie sistemiche, la depressione e gli eventuali effetti collaterali da farmaco. In particolare, dovrebbero essere sospesi i farmaci con proprietà anticolinergiche (cioè i farmaci per controllare il controllo della vescica iperattiva), gli antidepressivi triciclici (ma anche alcuni antidepressivi serotoninergici come la paroxetina) e le benzodiazepine.
Per il trattamento dei disturbi cognitivi, è indicata la somministrazione di Inibitori di colinesterasi (ChE-I). Un recente studio controllato con placebo ha infatti mostrato il beneficio della rivastigmina in PD-MCI sulle abilità cognitive e una tendenza al miglioramento su una valutazione globale della cognitività, sullo stato di salute correlato alla malattia e sulla gravità dell’ansia (Mamikonyan E et al., Mov Disord. 2015). Gli effetti benefici sembravano durare per almeno 6 mesi (Emre M et al., N Engl J Med. 2004), con benefici consistenti su tutti gli aspetti dell’attenzione (Wesnes KA et al., Neurology. 2005). Una recente meta-analisi che includeva studi con ChE-Is o memantina in PDD ha concluso che entrambi i trattamenti sono associati ad un effetto positivo sulla valutazione globale mentre il trattamento con ChE-Is migliora significativamente la funzione cognitiva, i sintomi comportamentali e attività della vita quotidiana (Wang HF et al., J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2015). Tuttavia, alcuni studi condotti su soggetti PDD e DLB hanno evidenziato effetti favorevoli in entrambi i gruppi seppure maggiori nei pazienti DLB (Aarsland D et al. Lancet Neurol. 2009; Emre M et al., Lancet Neurol. 2010). Ancora da valutare è il beneficio di terapie attualmente in fase di sperimentazione per la Malattia di Alzheimer così come di trattamenti multinutraceutici o antiossidanti recentemente proposti per il trattamento dell’MCI (vedi Fortisyn e Omotaurina). Ancora dibattuta invece è l’eventuale ruolo disease-modifying da parte di farmaci attualmente in uso nella Malattia di Parkinson come gli inibitori MAO-B (Frakey LL et al., J Neuropsychiatry Clin Neurosci. 2017).
CONCLUSIONI
Numerosi sono ancora gli aspetti controversi relativi al rapporto tra Malattia di Parkinson e Demenza. Sebbene siano stati identificati numerosi fattori di rischio e fattori predittivi, tuttora non è chiara la eziopatogenesi e i meccanismi che determinano la comparsa di un progressivo decadimento cognitivo. Uno dei problemi clinici principali riguarda la identificazione dei disturbi cognitivi e il loro ruolo predittivo così come la diagnosi precoce dei pazienti a rischio. Sicuramente non è ancora del tutto risolta la controversia relativa alla differenziazione tra Demenza Parkinsoniana e Demenza a Corpi Diffusi di Lewy. Infatti, numerosi sono i dati a favore di una reale distinzione sebbene dati neuropatologici e dati di neuroimmagine sembrano favorire piuttosto una maggiore unitarietà. Peraltro, rimane ancora aperta la questione del ruolo delle alterazioni a carico della beta-amiloide. Sicuramente alcune risposte potranno venire da studi longitudinali mediante l’utilizzo di indagini liquorali e di tecniche neurofisiologiche (Babiloni C et al., J Alzheimers Dis. 2018) unitamente ad indagini PET, in attesa di avere marcatori specifici per le alterazioni del metabolismo dell’alfa-sinucleina.
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