Aspetti caratteristici delle sindromi extrapiramidali nell’anziano
Angelo Bianchetti¹, Mario Barbagallo²
1. Dipartimento di Medicina e Riabilitazione, Istituto Clinico “Sant’Anna”, Brescia | 2. U.O.C. di Geriatria e Lungodegenza, Dipartimento delle
Patologie Emergenti e della Continuità Assistenziale Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Paolo Giaccone, Palermo
INDICE
- Epidemiologia delle malattie extrapiramidali: sono una malattia dell’anziano?
- Malattia di Parkinson e parkinsonismi: aspetti clinici in relazione all’età
- Sintomi non motori della Malattia di Parkinson nell’anziano
- Malattia di Parkinson: specificità delle strategie assistenziali nell’anziano
La Malattia di Parkinson (MP) ed i parkinsonismi sono frequenti nel soggetto anziano e determinano la comparsa di complesse problematiche con manifestazioni cliniche che interessano sia il versante motorio che quello non motorio (cognitivo, psichico, comportamentale, neurovegetativo) ed un livello crescente di disabilità. Il fenomeno a cui si assiste è quello da un lato di un sempre maggior numero di soggetti anziani o molto anziani a cui viene posta una diagnosi di Malattia di Parkinson, talvolta con esordio atipico (spesso con sintomi non motori) e dall’altra ad un aumento della sopravvivenza dei soggetti con MP che, nelle età più avanzate, presentano i problemi tipici dei molto anziani e richiedono un approccio specifico (Prange S et al., Neurology 2019).
1) EPIDEMIOLOGIA DELLE MALATTIE EXTRAPIRAMIDALI: SONO UNA MALATTIA DELL’ANZIANO?
La prevalenza della Malattia di Parkinson in Europa è in crescita in tutti i paesi; nel 2016 si calcola che vi siano 6,1 milioni di soggetti colpiti, con un incremento di quasi 3 volte rispetto al 1990 (GBD 2016 Parkinson’s Disease Collaborators, Lancet Neurol. 2018). Questo aumento è dovuto solo in parte all’invecchiamento della popolazione; vi è un vero aumento della prevalenza della malattia soprattutto nelle età più avanzate. La Malattia di Parkinson è rara prima dei 50 anni e la prevalenza aumenta con l’età con un picco fra 85 e 89 anni (figura); nella classe d’età 60-69 anni la prevalenza stimata è di 621,4 casi per 100.000 abitanti, in quella 70-79 1.978,3 casi ed in quella 80-89 3.055 casi per 100.000 abitanti. La prevalenza standardizzata per l’età è 1,4 volte più alta negli uomini rispetto alle donne.
Gli studi riportano tassi di incidenza di Malattia di Parkinson fra 8 e 18 per 100.000 persone/anno, con un incremento con l’età. L’inizio della MP prima dei 50 anni di età è raro e l’incidenza aumenta in modo quasi esponenziale dopo i 60 anni (Reeve A et al., Ageing Res. Rev 2014).
È dimostrato che la Malattia di Parkinson determina un aumento del rischio di ricorrere al ricovero in RSA di circa 5 volte; studi condotti in case di riposo hanno mostrato una prevalenza della MP fra il 7 e il 10%, mentre la prevalenza delle varie forme di parkinsonismo (incluso le forme iatrogeniche) raggiunge il 20% della popolazione.
La tipologia dei pazienti con Malattia di Parkinson ricoverata in strutture lungodegenzali è caratterizzata da elevata prevalenza di deterioramento cognitivo (circa 70% dei casi), di severa disabilità (80% dei casi), con elevato uso di farmaci ad azione antipsicotica (15%) e relativamente basso uso di farmaci ad azione antiparkinsoniana (solo 44%) (Lapane KL et al., Pharmacotherapy 1999). In uno studio condotto in un dipartimento di emergenza e urgenza è stato osservato che le principali ragioni per cui i pazienti con Malattia di Parkinson si rivolgono all’ospedale riguarda malattie infettive (polmoniti e infezioni urinarie principalmente) (20%), cadute (14%), cardiopatie acute (14%), disturbi comportamentali (8%), riduzione della mobilità (8%), fratture (4%), complicanze chirurgiche (4%) e stroke (2%). La durata della degenza di questi pazienti è più elevata e il ricorso ad una istituzionalizzazione alla dimissione riguarda dal 37 al 52% dei pazienti (Sanyal J et al., Mov Disord. 2005). In reparti specialistici (neurologici) circa il 10% dei pazienti ricoverati ha una Malattia di Parkinson ed in questi casi le ragioni principali del ricovero sono le complicanze motorie o psichiatriche. Nei soggetti con Malattia di Parkinson si osserva una riduzione della spettanza di vita; il rischio di mortalità è tra 1,5 e 2,7 rispetto alla popolazione di riferimento. Lo sviluppo di demenza (una complicanza che colpisce da 25 al 40% dei soggetti) riduce in modo significativo la sopravvivenza.
2) MALATTIA DI PARKINSON E PARKINSONISMI: ASPETTI CLINICI IN RELAZIONE ALL’ETÀ
La Malattia di Parkinson è definita clinicamente dall’associazione di 3 sintomi motori: tremore, rigidità e bradicinesia, definiti segni motori cardinali. Accanto a questi elementi clinici classici ve ne sono altri, definiti “non motori” che sono frequenti, soprattutto nelle forme ad esordio tardivo o nei casi di lunga durata (Kalia LV et al, Lancet 2015).
L’esordio è insidioso, con una sintomatologia che comprende generalmente uno o più sintomi cardinali ma, particolarmente nel soggetto anziano, non è infrequente osservare un esordio con sintomi non motori (dolori muscolari, affaticamento, depressione ed apatia, sintomi vegetativi ad esempio) (Levy G, Arch. Neurol. 2007).
L’età di esordio della malattia si correla ad alcune caratteristiche cliniche peculiari: i pazienti con esordio in età avanzata hanno: a) una maggiore velocità di progressione dei sintomi motori; b) una minore frequenza di distonia sia all’esordio che durante il trattamento; c) una maggiore frequenza di compromissione cognitiva fino alla demenza; d) una ridotta frequenza di complicanze motorie a lungo termine. Il sintomo d’esordio più frequente nel soggetto anziano è il tremore; frequenti sono i disturbi dell’equilibrio con comparsa di cadute, anche i movimenti lenti, la rigidità e i disturbi dell’equilibrio sono frequenti, così come i dolori muscolari, l’ipomimia, la disfonia e i sintomi depressivi (Collier TJ et al., Mov. Disord. 2017).
Con l’evoluzione della patologia i sintomi motori cardinali si aggravano; in particolare, la bradicinesia e la rigidità progrediscono rapidamente soprattutto nei primi 4-6 anni di malattia, mentre il tremore ha un andamento più eterogeneo: aumenta l’ampiezza, ma diminuisce la frequenza delle scosse e in fase avanzata può ridursi fino quasi a scomparire per il prevalere dell’ipertono.
Con l’evoluzione della patologia compaiono anche una serie di nuovi sintomi, definiti “assiali”, caratterizzati globalmente dalla scarsa responsività alla l-dopa. Essi segnano una pietra miliare nella progressione di malattia. Fra di essi, spicca soprattutto un progressivo deterioramento dei meccanismi riflessi di fissazione posturale, responsabile dell’instabilità posturale tipica della fase avanzata con frequenti cadute. Tale disturbo è evidenziabile mediante il pull test, prova in cui l’esaminatore si posiziona alle spalle del paziente e lo spinge bruscamente indietro, valutandone la capacità di mantenere la stazione eretta anche con piccoli movimenti di compenso.
La deambulazione avviene lentamente e a piccoli passi, con difficoltà specie nell’avvio della marcia (start hesitation) che può poi proseguire con una progressiva accelerazione (festinatio) dovuta a compromissione dei riflessi posturali. I cambi di direzione o i passaggi ristretti possono comportare un blocco del cammino (freezing) che il paziente può talvolta superare con stimoli sensoriali.
L’eloquio diviene talvolta incomprensibile per la sovrapposizione di una serie di alterazioni: voce ipofonica, disartria, progressiva accelerazione e ripetizione (palilalia) dell’output verbale. In fase ancora più avanzata compaiono anche disfagia e perdita di saliva da alterazione dei meccanismi motori automatici della deglutizione; come è intuibile, la comparsa di disfagia rappresenta un marker prognostico sfavorevole quoad vitam, con una sopravvivenza media residua stimata intorno ai 2 anni.
L’insieme di questi sintomi motori consente la stadiazione clinica della malattia, riassunta nei classici criteri clinico-funzionali di Hoehn e Yahr (Tabella 1).
3) SINTOMI NON MOTORI DELLA
MALATTIA DI PARKINSON NELL’ANZIANO
La Malattia di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso collegata a una progressiva degenerazione delle cellule cerebrali che producono la dopamina. Tuttavia è oggi chiaro che il processo degenerativo non coinvolge solo la dopamina contenuta nella sostanza nera mesencefalica e la trasmissione dopaminergica nigro-striatale, ma interessa molte altre aree del sistema nervoso extranigrali ed extra-mesencefaliche sia a livello corticale (circuito motorio cortico-striato-talamo-corticale) che in molti organi e tessuti al di fuori del SNC e interessa anche alcune aree a innervazione non dopaminergica.
James Parkinson aveva inizialmente individuato i sintomi motori caratteristici della malattia: tremore generalmente a riposo, bradicinesia e rigidità muscolare. Molti dei sintomi non motori della malattia erano già stati mirabilmente riconosciuti e descritti dallo stesso James Parkinson nel suo trattato classico della malattia che oggi porta il suo nome. Disturbi del sonno, disfunzioni gastrointestinali ed urologiche e stanchezza cronica erano tutti stati ben descritti da Parkinson. Quello che oggi è cambiato è il crescente riconoscimento della loro prevalenza e importanza nella diagnosi e nella cura della malattia. Numerosi studi hanno oggi chiarito che i sintomi non motori della Malattia di Parkinson quali la disfunzione autonomica, i disturbi del sonno, le anomalie sensoriali, i disturbi neuro-psichiatrici e cambiamenti del comportamento, e alcuni sintomi più difficili da categorizzare come l’astenia, siano molto più comuni di quanto prima ipotizzato, soprattutto nei soggetti più anziani (Schapira AHV et al., Nat Rev Neurosci. 2017). Fanno parte integrante della storia e del quadro clinico della malattia stessa. Si possono presentare in tutte le fasi della Malattia di Parkinson, sono spesso non riconosciuti e sottodiagnosticati e quindi rimangono non trattati pur essendo un fattore determinante della qualità della vita. Inoltre i sintomi non motori della Malattia di Parkinson si verificano non solo nella malattia avanzata, ma anche nelle fasi iniziali e alcuni sintomi quali deficit olfattivo, stipsi, costipazione, movimenti oculari rapidi (REM), astenia, insonnia e depressione anche se in genere diventano particolarmente rilevanti ed evidenti nelle fasi più avanzate di malattia possono precedere l’espressione dei sintomi classici motori anche di un decennio, per cui spesso lo stesso paziente non li mette in relazione con la malattia.
Recenti studi clinici suggeriscono che almeno un sintomo non motorio è presente in quasi il 100% dei pazienti anziani con Malattia di Parkinson. Poiché tuttavia alcuni disturbi non motori (ad esempio i disturbi del sonno o quelli urologici) possono verificarsi frequentemente anche in individui anziani senza Malattia di Parkinson come parte di patologie età-correlate bisogna essere cauti nell’attribuire tutti i sintomi non motori alla malattia. Tuttavia è evidente che i malati di Parkinson tendono ad avere un numero maggiore di sintomi non motori, rispetto ai non malati ed i sintomi tendono a essere più frequenti e più gravi. Alcuni studi hanno suggerito che fino al 60% di alcuni sintomi non motori della Malattia di Parkinson, come apatia, dolore, problemi nella sfera sessuale, incontinenza urinaria e disturbi del sonno, non vengono individuati dai medici. I sintomi vanno ricercati e richiesti specificamente dal medico, perché spesso i pazienti non li riferiscono o perché provano imbarazzo oppure perché non li ritengono collegati alla Malattia di Parkinson. Il mancato riconoscimento ha importanti implicazioni terapeutiche e sociali in quanto molti di questi sintomi non motori sono trattabili e, se lasciati non trattati, hanno un effetto molto negativo sulla qualità della vita. Inoltre, i sintomi non motori sono una frequente causa di ospedalizzazione e d’istituzionalizzazione, che può aumentare notevolmente il costo di cura dei pazienti con Malattia di Parkinson. In circa il 20% degli individui, i sintomi non motori possono rappresentare i sintomi di presentazione della malattia (Marinus J et al., Lancet Neurol. 2018). In assenza dei sintomi motori la diagnosi di Malattia di Parkinson è spesso ritardata e i pazienti sono sottoposti a una serie di esami, visite specialistiche e terapie inappropriate. Ad esempio il sintomo dolore può essere attribuito a cause ortopediche o reumatologiche, e non è raro per gli individui finalmente diagnosticati con il Parkinson siano stati prima trattati con una serie di farmaci anti-infiammatori e antidolorifici. Alcune volte i sintomi non motori possono comparire anni e addirittura decenni prima che compaiano i sintomi motori della malattia.
I sintomi non motori più comuni sono descritti in Tabella 2. In questa sede esamineremo quelli di maggiore rilevanza epidemiologica e clinica per il soggetto anziano.
3.1) SINTOMI NEUROPSICHIATRICI
I sintomi cognitivi e neuropsichiatrici non motori della Malattia di Parkinson vanno dall’ansia, all’apatia, alla depressione sino alla demenza franca. La depressione è un importante sintomo neuropsichiatrico nella Malattia di Parkinson e può colpire fino al 45% dei pazienti con la malattia. La definizione della depressione nella Malattia di Parkinson è complessa e comprende caratteristiche che potrebbero indicare cambiamenti cognitivi precoci. È stata implicata la disfunzione di una combinazione di vie dopaminergiche, serotoninergiche e norepinefrinergiche del sistema limbico (Ray Chaudhuri K et al., Lancet Neurol. 2009).
Depressione: La depressione è la più frequente manifestazione neuropsichiatrica. La definizione clinica di depressione nei malati di Parkinson è complessa e include aspetti di pseudodemenza e va quindi differenziata da un inizio di declino cognitivo. Può presentarsi molti anni prima dei sintomi motori. La severità del quadro depressivo della malattia è correlato alla severità dei sintomi motori, allo stadio della malattia, alla presenza di disturbi cognitivi, di ansia, di sintomi psicotici. La diagnosi non sempre è semplice in quanto alcuni sintomi tipici della depressione quali la mancanza di espressione, apatia, disfunzione del sonno, perdita di appetito, perdita di peso, mancanza di energia e l’astenia fanno anche parte del quadro cinico della Malattia di Parkinson (Goodarzi et al., Neurology 2016). Vi sono stati diversi studi che hanno utilizzato la terapia dopaminergica inclusa la levodopa e i dopamino-agonisti, nel trattamento della depressione nei malati di Parkinson con discreti risultati. Il beneficio della terapia dopaminergica nei disturbi dell’umore e nell’apatia nella Malattia di Parkinson potrebbe essere in parte spiegato dal fatto che la levodopa viene assorbita e decarbossilata nei neuroni serotoninergici, che possono anche convertire la levodopa in dopamina. Inoltre possono essere utili alcuni antidepressivi che agiscono attraverso una via dopaminergica, come il buproprione o la sertralina, un SSRI, che ha anche un’azione legata all’inibizione del reuptake della dopamina.
Ansia: L’ansia ha una prevalenza elevata e spesso coesiste con la depressione e con le fluttuazioni motorie. I disturbi di ansia possono includere un disturbo d’ansia generalizzato o secondario a condizione mediche, attacchi di panico, fobie specifiche, fobia sociale, disturbo ossessivo compulsivo. Clinicamente l’ansia può essere un evento dopamino-dipendente come parte del “wearing off” (soprattutto per gli attacchi di panico) e può quindi in parte rispondere alla terapia dopaminergica o può essere indipendente dallo stato dopaminergico e non rispondere quindi alla terapia dopaminergica.
Apatia: L’apatia è sintomo specifico dei malati parkinsoniani e consiste in una perdita di motivazione, d’interesse e di voglia di svolgere attività. È presente nel 35-50% dei malati. Può essere presente in presenza o meno di una sindrome depressiva. Spesso si associa e può venire mascherata da una sindrome depressiva. L’apatia può coesistere anche con il disturbo d’ansia. Anche se una base dopaminergica è possibile, come nei disturbi d’ansia, l’apatia è in genere poco sensibile alla terapia dopaminergica (Bargiotas et al., J. Neurol. Sci. 2019).
Demenza: La demenza è una condizione che si associa frequentemente agli stadi avanzati della Malattia di Parkinson e può arrivare a colpire fino all’80% dei pazienti con malattia in stadio avanzato (Aarsland et al., Brain Pathol. 2010). Tuttavia, il declino cognitivo può essere presente sin dalle fasi precoci della malattia ma spesso passa inosservato in quanto quello che viene più notato dai pazienti è il disturbo del movimento. Può presentare come una sindrome disesecutiva frontale, e/o con deficits visuospaziali o della percezione. La demenza è un’importante causa di mortalità e di perdita d’indipendenza, contribuisce in modo significativo allo stress del paziente e del caregiver, e inoltre la sua presenza limita il trattamento ottimale dei sintomi motori nella Malattia di Parkinson. In una fase iniziale alcune componenti della disfunzione cognitiva possono essere migliorate dalla terapia dopaminergica. Tuttavia soprattutto nei pazienti negli stadi più avanzati la terapia dopaminergica può avere effetti negativi. Quando è presente un quadro di declino cognitivo è consigliabile cercare di semplificare il più possibile la terapia, cercando eventualmente di eliminare i farmaci aggiuntivi lasciando solo la levodopa per controllare i sintomi motori.
Disturbi Psicotici: Allucinazioni e Deliri: Le allucinazioni sono relativamente comuni e la frequenza varia dal 25% (studi in comunità) sino al 50% (studi in pazienti ospedalizzati). Sono più frequenti le allucinazioni visive (ben formate, spesso persone, animali e, meno frequentemente, oggetti inanimati). Si verificano generalmente in condizioni di scarsa illuminazione o alla fine della giornata. Le allucinazioni tattili/uditive sono meno frequenti. Sono potenzialmente collegate e/o esacerbate dalla terapia dopaminergica e i disturbi psicotici possono migliorare diminuendo i farmaci dopaminergici, oppure iniziando terapia specifica con farmaci antipsicotici. Bisogna tuttavia fare attenzione, in quanto alcuni farmaci antipsicotici possono peggiorare i segni del parkinsonismo (soprattutto quelli ad azione anticolinergica) (Barrett et al., 2017). I deliri sono meno frequenti delle allucinazioni, e colpiscono circa l’8-10% dei pazienti trattati. Si tratta di deliri paranoidei (di gelosia e di abbandono per lo più). Meno comuni deliri di grandezza, somatica, persecutori e religiosi.
Disturbi Impulsivi: I disturbi del controllo degli impulsi (ICD) sono caratterizzati dall’incapacità di resistere al desiderio di agire al fine di procurarsi auto-gratificazione, tale da compromettere le relazioni con parenti e amici. Sono più frequenti negli uomini e nei pazienti più giovani. Sono causa di sofferenza per i parenti (ad es. ipersessualità, gioco d’azzardo, shopping compulsivo, fumo compulsivo, iperfagia).
Disturbi Compulsivi: I disturbi compulsivi sono una classe distinta di disturbi del controllo degli impulsi, caratterizzate da azioni ripetitive / atti stereotipati più frequenti nei pazienti con associati disturbi di ansia. Il “punding” è un particolare comportamento compulsivo caratterizzato da una forte attrazione per i compiti ripetitivi, meccanici, come ad es. montare e smontare elettrodomestici o altri apparecchi. Alcuni pazienti descrivono queste attività come calmanti e possono manifestare forte irritazione se interrotti. Può migliorare riducendo la terapia dopaminergica (Pfeiffer 2016).
Sindrome da disregolazione dopaminergica (DDS): È una sindrome di dipendenza da dopamina conseguente all’uso compulsivo dei farmaci dopaminergici, in pazienti che già ne assumono adeguate quantità terapeutiche. Questi pazienti nonostante un buon controllo dei sintomi motori tendono ad assumere ulteriori dosi di farmaci non necessarie. Si tratta in genere di pazienti con concomitanti disturbi depressivi e/o di ansia. Diventano irritabili se il farmaco non necessario non viene somministrato.
3.2) DISTURBI DEL SONNO
Sono estremamente frequenti interessando dal 60 fino la 95% dei malati. I problemi del sonno si associano a un’alterazione nell’architettura del sonno REM e del sonno non-REM. La dopamina ha un ruolo complesso nel ciclo sonno-veglia, e del sonno REM, e nei malati di Parkinson alcuni problemi legati al sonno potrebbero essere dopamino-sensibili, ed essere legati alla carenza o all’eccesso di dopamina (Schapira et al., Nat Rev Neurosci. 2017). I farmaci dopaminergici hanno effetti variabili sul sonno. A basse dosi, possono promuovere le onde lente e il sonno REM e inducono sonnolenza, mentre a dosi elevate, riducono le onde lente e il sonno REM e inducono la veglia.
Alcuni disturbi del sonno possono essere correlati ai sintomi motori della malattia quali ad esempio un’acinesia notturna, una distonia mattutina, a crampi dolorosi notturni, ai tremori e difficoltà a girarsi nel letto. Altri disturbi notturni possono anche essere legati ai sintomi psichiatrici, come le allucinazioni, incubi notturni, psicosi e attacchi di panico. Altri disturbi del sonno includono la sindrome delle gambe senza riposo (RLS), i movimenti periodici delle gambe (PLMS) e l’eccessiva sonnolenza diurna (EDS). Altri problemi comuni in questi pazienti che possono ulteriormente peggiorare la qualità del sonno sono la nicturia e la presenza di dolore.
Insonnia: Sia i disturbi dell’addormentamento sia la difficoltà a mantenere il sonno per un periodo sufficiente di tempo sono entrambi comuni nei malati di Parkinson. Mentre i disturbi dell’addormentamento sembrano maggiormente legati alla storia clinica della Malattia di Parkinson, la difficoltà a mantenere il sonno potrebbe essere dovuta ad una serie di problemi collegati alla malattia quali l’acinesia notturna e lo stato “off”, e ai sintomi non motori (ad esempio, nicturia, sindrome delle gambe senza riposo, movimenti periodici degli arti, inversione del ritmo sonno-veglia). Alcuni studi suggeriscono che la somministrazione di levodopa al momento di andare a letto potrebbero avere effetti benefici su alcuni di questi disturbi e sulla qualità del sonno.
L’eccessiva sonnolenza diurna è una caratteristica comune nei malati di Parkinson e in genere si associa ai prima descritti disturbi del sonno, ma può essere anche collegata a effetti collaterali della terapia ansiolitica e/o a comorbilità come ad esempio le apnee ostruttive del sonno (OSA). Le OSA non sono considerate una caratteristica intrinseca della Malattia di Parkinson ma la sua prevalenza nei malati parkinsoniani sembra superiore a quella della popolazione generale di pari età. La diagnosi deve essere sospettata se c’è storia di eccessivo russamento, eccessiva sonnolenza diurna e testimonianza di apnee e deve essere comunque confermata con la polisonnografia. Il trattamento come in tutti i pazienti con apnea ostruttiva del sonno, è con la CPAP (pressione continua positiva delle vie aeree).
Sindrome delle gambe senza riposo, movimenti periodici degli arti e acatisia: La sindrome delle gambe senza riposo è riferita dai pazienti come desiderio di muoversi accompagnato da sensazioni sgradevoli di fastidio agli arti e si verifica o peggiora durante il riposo notturno ed è alleviata dal movimento. I sintomi sono per lo più la sera/notte. I movimenti periodici degli arti durante il sonno si possono manifestare con una flessione dorsale del piede e alluce che possono andare avanti con flessione del ginocchio e dell’anca. I sintomi sono parzialmente o totalmente risolti dal movimento, come camminare o stiramento degli arti. Entrambi questi disturbi sono strettamente collegati alla malattia e sono parzialmente sensibili alla dopamina, e alla terapia dopaminergica che sono i farmaci di scelta per il trattamento iniziale di questi disturbi. La presenza di questi disturbi si associa frequentemente ai disturbi del sonno.
L’acatisia è un sintomo comune negli stadi avanzati della malattia con un fenotipo rigido acinetico e i sintomi possono sovrapporsi a quelli della sindrome delle gambe senza riposo. Nella sua genesi sono state implicate alterazioni nelle vie mesocorticali della dopamina. Non ci sono trials randomizzati e controllati sufficientemente ampi che confermino il beneficio dell’uso di agonisti della dopamina in questi disturbi.
Disturbi del sonno REM (RBD): Sono caratterizzati dalla presenza di sogni vividi o incubi. Questi incubi sono associati a movimenti paradossi durante il sonno REM, quando i muscoli sono solitamente atonici, per cui i pazienti presentano un sonno disturbato o agitato e sembrano attuare fisicamente i loro sogni. Si classificano in disturbi semplici (parlare, ridere, gridare, spasmi eccessivi di corpo e arti) e complessi (schiaffi, gesticolazioni, passare alla posizione seduta, strisciare, e in esecuzione), che possono essere a volte violenti e spesso causare lesioni al paziente e partner. Anche se la base fisiopatologica degli RBD è poco chiara, il disordine sembra essere associato con la degenerazione dei nuclei inferiori del tronco cerebrale quali il nucleo pedunculopontino e peri-ceruleo, che hanno collegamenti con l’area tegmentale ventrale dopaminergica del mesencefalo. Inoltre, la substantia nigra sembra anch’essa essere collegata ai circuiti del sonno REM e non-REM. La diagnosi è clinica, ma è utile la conferma alla polisonnografia che mostra un tono muscolare eccessivo del mento e scatti degli arti durante il sonno REM. L’uso della melatonina e del gabapentin può essere utile, mentre nei casi più severi si può fare ricorso a basse dosi di clonazepam.
3.3) SINTOMI DA ALTERAZIONE DELLA REGOLAZIONE AUTONOMICA
La disfunzione autonomica nella Malattia di Parkinson è comune e può interessare praticamente tutti gli aspetti della funzione autonomica. Può essere presente in qualsiasi fase della malattia e alcuni sintomi possono essere presenti anni prima della comparsa dei sintomi motori (Pfeiffer, 2016).
Sintomi Urologici: I disturbi vescicali sono più frequenti nelle fasi più avanzate di malattia. Le vie dopaminergiche hanno un effetto modulatorio sul riflesso della minzione. I recettori della dopamina agiscono sui recettori D1 e D2 a livello del ponte (centro della minzione); i recettori D1 striatali inibiscono il riflesso della minzione mentre i recettori D2 lo attivano. Un’iperattività del detrusore è comune nella Malattia di Parkinson; viene a mancare il riflesso d’inibizione della minzione a livello centrale che può essere causato da una combinazione di un’ipoattività dei recettori D1 e concomitante iperstimolazione dei recettori D2. La perdita dell’inibizione si traduce in iperattività del detrusore, che si traduce clinicamente nel disturbo della vescica iperattiva con urgenza urinaria, e conseguente incontinenza da urgenza. Quest’ultimo disturbo è più comune nei pazienti anziani con ipomobilità e/o con compromissione cognitiva.
Un altro disturbo comune è la ritenzione urinaria. I malati di Parkinson possono riferire difficoltà allo svuotamento della vescica, flusso lento, intermittente, che necessita sforzo, e una sensazione d’incompleto svuotamento fino alla ritenzione. Il disturbo può essere collegato sia a un’alterazione della contrattilità della vescica che a un’alterata funzione sfinteriale, causata dalla bradicinesia. Lo stato “on“ è di solito associato a minori difficoltà nello svuotamento, mentre lo stato “off” peggiora il sintomo, anche se i risultati del trattamento dopaminergico sono contrastanti. Studi contrastanti hanno mostrato che la levodopa può peggiorare o migliorare l’iperattività del detrusore e i sintomi da urgenza.
Un altro disturbo molto comune di cui si lamentano fino al 60% di pazienti, è la nicturia che può essere collegata a una serie di fattori: a una maggiore produzione di urina di notte, a una ridotta capacità della vescica a trattenere l’urina, sia alla bradicinesia/acinesia notturna. La nicturia è collegata ai disturbi del sonno di cui si è parlato in precedenza. Molti pazienti riferiscono numerose interruzioni di sonno con il bisogno di alzarsi e urinare non sapendo dire, se si svegliano prima e poi vanno in bagno, o se si svegliano per il bisogno di urinare.
Disfunzione Sessuale: La disfunzione sessuale è un disturbo comune nei pazienti con Malattia di Parkinson. I disturbi della sfera sessuale includono la disfunzione erettile, la perdita della libido, o l’ipersessualità.
Tutti questi sintomi potrebbero almeno in parte essere collegati alla degenerazione neuronale che colpisce i neuroni del sistema nervoso simpatico a livello centrale e le fibre postgangliari. Non ci sono trials clinici che abbiano studiato specificamente l’effetto di farmaci dopaminergici sulla disfunzione erettile o perdita della libido nella Malattia di Parkinson, mentre l’eccitazione sessuale e l’aumento della libido sono riconosciuti come effetti collaterali di tali farmaci. L’ipersessualità è stata segnalata anche dopo varie terapie dopaminergiche, inclusa la levodopa. Iniezioni di apomorfina e inibitori della fosfodiesterasi sono stati utilizzati per la disfunzione erettile in individui con e senza Malattia di Parkinson.
Ipotensione Ortostatica: L’ipotensione ortostatica (definita come il riscontro di una riduzione della pressione arteriosa sistolica superiore a 20 mmHg passando dalla posizione clinostatica a quella ortostatica) è l’aspetto più ampiamente conosciuto di disfunzione cardiovascolare nella Malattia di Parkinson. Può essere presente in quasi il 60% delle persone affette, anche se solo una minoranza di questi pazienti può essere sintomatica. Può essere presente solo una sindrome vertiginosa, e alcune volte la diagnosi viene fatta solo dopo una caduta o addirittura solo dopo una frattura. È una complicanza grave della Malattia di Parkinson che si associa a un aumento del rischio di cadute, di fratture, d’immobilizzazione e si associa a un aumento della mortalità. Da un punto di vista fisiopatologico è collegata a una alterazione del sistema vascolare simpatico con compromissione della vasocostrizione e ad alterazioni dei gangli della base. I farmaci dopaminergici (levodopa e agonisti dopaminergici) possono causare o aggravare l’ipotensione ortostatica. Può essere aggravata da terapie concomitanti (antipertensivi, diuretici, antidepressivi o antipsicotici, etc.). Altri possibili segni di disfunzione autonomica che possono coesistere con la ipotensione ortostatica sono la assenza della fisiologica riduzione della pressione notturna (pazienti non dipper) e/o la ipotensione post-prandiale.
Sudorazione: Ha una prevalenza elevata fino al 70%. Si manifesta con iperidrosi per lo più a testa, viso e tronco (in cui la risposta simpatica è diminuita) associata o meno a rossore al viso. Si verifica soprattutto nelle ore notturne ed è favorita dalla presenza di fenomeni di “wearing off”, discinesie, fluttuazioni motorie.
3.4) SINTOMI GASTROINTESTINALI
La stipsi e i disturbi gastrointestinali sono tra i sintomi non-motori più comuni della Malattia di Parkinson e diversi studi suggeriscono che siano collegati alla perdita dei neuroni dopaminergici sia a livello centrale sia a livello enterico e del colon (Seppi K et al., Mov Disord. 2019). Altri sintomi comuni includono la nausea, la precoce sensazione di pienezza e sazietà, fino alla possibilità della gastroparesi. È frequente la sensazione d’insoddisfacente svuotamento dell’alvo. Inoltre il prolungamento del transito di alimenti e farmaci nello stomaco può rallentare l’assorbimento intestinale di levodopa e ridurre l’efficacia del trattamento. Negli stadi più avanzati e nei pazienti immobilizzati è causa d’incontinenza fecale. L’apomorfina può correggere la disfunzione dei parametri manometrici a livello anorettale nei pazienti con Parkinson, suggerendo che le anomalie della defecazione e della funzione intestinale possano, almeno in parte, essere conseguenza della carenza di dopamina.
Scialorrea: La scialorrea è un aumento sproporzionato di saliva nella cavità orale e talvolta nella faringe secondaria alla perdita del controllo delle secrezioni. È un disturbo comune fino al 75% dei pazienti con Malattia di Parkinson, soprattutto negli stadi più avanzati della malattia. Può essere secondaria a disfagia.
3.5) DISTURBI SENSORIALI
Numerose anomalie sensoriali sono state descritte nei malati di Parkinson. La compromissione dell’olfatto è forse il più ampiamente riconosciuto, ma una serie di disturbi della vista e del pattern della sensibilità al dolore sono estremamente comuni (Zhu M et al., J Neurosci Res. 2016).
Dolore: La dopamina può modulare il dolore a diversi livelli all’interno del sistema nervoso, incluso il midollo spinale, talamo, i gangli della base, e la corteccia cingolata. Dolori cronici inspiegabili sono una componente importante dei sintomi non motori della Malattia di Parkinson. Il sintomo dolore può essere riferito da circa il 75% dei malati. Una buona percentuale di questi dolori può essere collegata alle fluttuazioni motorie e alle discinesie secondarie al trattamento dopaminergico. Il dolore nella Malattia di Parkinson può essere classificato in cinque categorie: dolore centrale o primario, dolore muscoloscheletrico, dolore radicolare o neuropatico, dolore collegato alla distonia, e disagio acatitico. Di questi, il dolore muscoloscheletrico è il più frequente, ed è descritto in quasi il 50% di individui che avvertono dolore, anche se questa è la categoria in cui probabilmente è più difficile distinguere il dolore collegato alla Malattia di Parkinson dal dolore da altre cause. Il dolore centrale insieme con il dolore da fluttuazione motoria e da discinesia sono tipicamente collegati alla Malattia da Parkinson, e vanno differenziati da altre forme di dolore secondari che possono essere presenti e che non vanno direttamente correlati alla malattia, anche se potrebbero esserci alcune sovrapposizioni tra diverse forme di dolore. È stato suggerito che l’origine del dolore centrale o primario nella Malattia di Parkinson possa essere legato alla disfunzione dei centri autonomici dopaminergico-dipendenti, che regolano la funzione autonoma e che hanno un’azione di controllo inibitorio sul dolore. I soggetti con dolore centrale hanno iperalgesia e assenza di assuefazione della risposta simpatica al dolore ripetitivo. Il dolore endogeno nel Parkinson si associa anche ad un aumento della sensibilità ad alcuni stimoli dolorosi (ad esempio al calore).
Disturbi della Vista: Disturbi nella discriminazione dei colori, offuscamento della vista e aumentata sensibilità al contrasto sono stati suggeriti come possibili markers precoci della Malattia di Parkinson. In clinica, è comune per i pazienti con Malattia di Parkinson abbiano comunicato al proprio oculista i problemi di vista e la visione offuscata, senza riuscire a trovare alcuna spiegazione per i loro sintomi visivi. Vi è evidenza che l’insufficienza dopaminergica nella Malattia di Parkinson sia causa dei disturbi della vista. L’innervazione intorno alla fovea è in gran parte dopaminergica e studi autoptici in pazienti parkinsoniani non trattati mostrano una significativa riduzione della concentrazione di dopamina retinica, dati confermati dall’elettroretinografia. I disturbi del sonno REM possono associarsi a disturbi nella discriminazione dei colori. I pazienti con Malattia di Parkinson segnalano un aumento della visione offuscata, nei periodi di “off“, ma ci sono pochi studi che hanno studiato l’effetto della terapia dopaminergica sui disturbi della vista.
Disturbi dell’Olfatto: Un disturbo olfattivo di gradazioni diverse è presente fino al 90% delle persone con Malattia di Parkinson, spesso già al momento della diagnosi. Tuttavia, circa il 70% dei malati può ignorare per lungo tempo di avere l’alterazione dell’odorato. L’ipoosmia sembra associarsi alla presenza di corpi di Lewy nel tratto olfattivo e nell’amigdala. È stato suggerito che un danno olfattivo più severo sia associato ad una maggiore severità di malattia e che la ipoosmia severa possa associarsi a sviluppo di demenza.
3.6) ALTRI DISTURBI NON MOTORI
Altri disturbi non motori relativamente frequenti nei malati di Parkinson includono l’ipomimia (mancanza di espressione emotiva), i disturbi del linguaggio (cambiamenti di tono, volume, velocità, prosodia, respirazione e pronuncia), l’astenia (fatigue) e la perdita di peso.
In particolare la sensazione di stanchezza, di spossatezza e facile di esaurimento fisico che caratterizzano la fatigue sono sempre più riconosciuti tra i sintomi tipici della Malattia di Parkinson. La fatigue viene spesso identificata dai pazienti come uno dei sintomi per loro più disabilitanti e con il maggiore impatto sulla loro qualità della vita. Poco è conosciuto sui meccanismi fisiopatologici alla base della fatigue e mancano efficaci terapie.
In conclusione i sintomi non motori sono oggi riconosciuti come una componente estremamente frequente ed importante della Malattia di Parkinson che possono comparire durante tutte le fasi della malattia, inclusa la fase premotoria. Oltre la loro importanza nel facilitare la diagnosi della Malattia di Parkinson, il fatto che molti sintomi non motori siano curabili, ne rende importante ricercare la loro presenza ed iniziare il corretto trattamento.
4) MALATTIA DI PARKINSON: SPECIFICITÀ DELLE STRATEGIE ASSISTENZIALI NELL’ANZIANO
I problemi assistenziali della malattia riguardano non solo la terapia medica e farmacologica ma anche e soprattutto le cure necessarie a prevenire e contrastare la progressiva disabilità che si accompagna alla storia naturale della malattia (Okun MS, JAMA 2017). L’obiettivo principale del trattamento della Malattia di Parkinson negli anziani è di mantenere il più a lungo possibile un buon livello di attività del paziente e ottimizzare la qualità della sua vita.
La terapia medica non si differenzia da quella delle altre età della vita, anche se in generale va segnalato che i pazienti anziani sembrano tollerare meglio la terapia con levodopa ed è meno probabile il verificarsi di effetti collaterali. Non tratteremo in questa sede la terapia farmacologica che è ampiamente trattata in altri articoli di questo fascicolo e ci concentreremo sull’assistenza del malato anziano con Malattia di Parkinson, in quanto è importante ricordare che assistere un paziente anziano affetto da questa malattia è assai complesso, anche in relazione alla complessità dei sintomi e della malattia stessa (LG, ISS 2013).
La perdita dell’autonomia prima e dell’autosufficienza poi fa si che i pazienti con Malattia di Parkinson soprattutto nelle fasi più avanzate della malattia abbiano bisogno di sorveglianza e assistenza continuativa. Nella maggior parte dei casi l’assistenza è fornita dai familiari. I bisogni assistenziali di pazienti con perdita della autosufficienza sono molteplici, non solo medici, ma vanno inizialmente dalla crescente difficoltà a portare avanti attività lavorative e sociali e successivamente all’aiuto per la cura della casa e nelle fasi più avanzate della disabilità per potere svolgere le attività basali della vita quotidiana (muoversi per casa, vestirsi, curare l’igiene personale, farsi la doccia e/o il bagno, tagliare la carne, etc).
È quindi indispensabile un supporto continuo, non soltanto materiale e fisico, ma anche psicologico. L’assistenza necessaria è progressivamente crescente, ma la famiglia e il paziente vanno preparati e supportati in ogni fase della malattia.
Il medico che cura un malato di Parkinson soprattutto se anziano non può solo occuparsi di prescrivere e/o modulare i farmaci (compito comunque importantissimo), ma deve avere un ruolo di trainer e di educatore del malato e dei familiari.
Nella fase iniziale l’obiettivo primario è salvaguardare l’autonomia del paziente che comincia ad avere difficoltà nei rapporti sociali e lavorativi, e tende a perdere di autostima. In questa fase il rischio di una sindrome depressiva anche severa e dell’isolamento è elevato. Il paziente va stimolato, educato a riprogrammare la giornata su tempi nuovi e più flessibili, sollecitato e informato sull’importanza a partecipare al processo riabilitativo (fondamentale per mantenere il più a lungo possibile l’autonomia). Compito del medico e del fisioterapista è anche quello di verificare la corretta esecuzione degli esercizi motori.
Quando le limitazioni funzionali aumentano e cominciano a compromettere oltre che l’autonomia anche l’autosufficienza del paziente, i bisogni assistenziali si accrescono notevolmente. Nella fase di cronicità in cui il paziente manifesta i sintomi clinici della malattia (motori e non motori) l’obiettivo dell’assistenza diventa quello di ritardare il più possibile l’invalidità del paziente.
Oltre alla terapia medica è importante il controllo di numerose problematiche che compaiono frequentemente e disturbano notevolmente la qualità della vita. La fisioterapia in questa fase è fondamentale per prevenire i rischi della progressiva tendenza all’ipomobilità, accentuata dall’astenia che si associa con altissima frequenza. È importante il supporto nutrizionale per evitare la perdita eccessiva di peso e massa muscolare e per la prevenzione della stipsi con cibi ricchi di scorie e liquidi e con cibi adeguati se compaiono i disturbi della deglutizione e la disfagia.
In fase avanzata in cui il paziente tende a una progressiva ipomobilità fino all’allettamento che va prevenuto e contrastato. Da un punto di vista assistenziale per i familiari (ma anche per il medico) questa è ovviamente la fase più complessa e difficile da affrontare. I parenti vanno educati e preparati. Attenzione va posta all’ambiente e all’eliminazione di eventuali ostacoli che possono impedire o rallentare ulteriormente il movimento. Piccoli cambiamenti nell’ambiente (eliminazione di tappeti, barriere architettoniche, piccole modifiche nel bagno) possono dare enormi benefici in termini di qualità di vita e di semplificazione nell’assistenza. In questa fase la terapia medica comincia a perdere di efficacia e può incrinarsi la fiducia nel medico. In questa fase possono iniziare a comparire i segni della sindrome d’immobilizzazione (che non può fare parte per motivi di spazio della trattazione di questo capitolo) cui si rimanda per una descrizione dettagliata: ipotrofia muscolare, osteoporosi, disturbi cardiovascolari e rischio di trombosi venosa profonda, riduzione delle difese immunitarie e rischio d’infezioni soprattutto polmonari e urinarie, broncopolmoniti, ulcere da pressione, etc. In questa fase l’exitus può avvenire per malattie intercorrenti. Nelle fasi più avanzate della malattia l’obiettivo dell’assistenza è evitare o ridurre le complicanze da immobilizzazione e stare vicino al paziente e ai familiari ascoltandoli, cercando di confortarlo il più possibile, e cercando di prepararli alla possibilità dell’exitus, che non deve coglierli impreparati. È fondamentale la prevenzione delle complicanze dell’immobilizzazione, prima fra tutte le lesioni da decubito educando chi assiste il malato a regolari cambiamenti posturali, all’utilizzo dei materassi antidecubito e a mantenere un’adeguata pulizia della cute. Altrettanto importante la prevenzione delle broncopolmoniti ab-ingestis spiegando l’importanza di non nutrire il paziente in posizione supina. La cura del cavo orale, l’eventuale aspirazione delle secrezioni nell’orofaringe, mantenere l’idratazione.
- Prange S, Danaila T, Laurencin C, Caire C, Metereau E, Merle H, Broussolle E, Maucort-Boulch D, Thobois S. Age and time course of long-term motor and nonmotor complications in Parkinson disease. Neurology. 2019 Jan 8;92(2):e148-e160. doi: 10.1212/WNL.0000000000006737. Epub 2018 Dec 12. PubMed PMID: 30541866.
- GBD 2016 Parkinson’s Disease Collaborators. Global, regional, and national burden of Parkinson’s disease, 1990-2016: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2016. Lancet Neurol. 2018 Nov;17(11):939-953. doi: 10.1016/S1474-4422(18)30295-3. Epub 2018 Oct 1. PubMed PMID: 30287051; PubMed Central PMCID: PMC6191528.
- Reeve A, Simcox E, Turnbull D. Ageing and Parkinson’s disease: why is advancing age the biggest risk factor? Ageing Res Rev. 2014 Mar;14:19-30. doi: 10.1016/j.arr.2014.01.004. Epub 2014 Feb 3. Review. PubMed PMID: 24503004; PubMed Central PMCID: PMC3989046.
- Lapane KL, Fernandez HH, Friedman JH. Prevalence, clinical characteristics,and pharmacologic treatment of Parkinson’s disease in residents in long-term care facilities. SAGE Study Group. Pharmacotherapy. 1999 Nov;19(11):1321-7. PubMed PMID: 10555938.
- Woodford H, Walker R. Emergency hospital admissions in idiopathic Parkinson’s disease. Mov Disord. 2005 Sep;20(9):1104-8. PubMed PMID: 15884038.
- Kalia LV, Lang AE. Parkinson’s disease. Lancet. 2015 Aug 29;386(9996):896-912.vdoi: 10.1016/S0140-6736(14)61393-3. Epub 2015 Apr 19. Review. PubMed PMID:v25904081.
- Levy G. The relationship of Parkinson disease with aging. Arch Neurol. 2007 Sep;64(9):1242-6. Review. PubMed PMID: 17846263.
- Collier TJ, Kanaan NM, Kordower JH. Aging and Parkinson’s disease: Different sides of the same coin? Mov Disord. 2017 Jul;32(7):983-990. doi: 10.1002/mds.27037. Epub 2017 May 18. Review. PubMed PMID: 28520211; PubMed Central PMCID: PMC5844262.
- Schapira AHV, Chaudhuri KR, Jenner P. Non-motor features of Parkinson disease. Nat Rev Neurosci. 2017 Jul;18(7):435-450. doi: 10.1038/nrn.2017.62. Epub 2017 Jun 8. Review. Erratum in: Nat Rev Neurosci. 2017 Aug;18(8):509. PubMed PMID: 28592904.
- Marinus J, Zhu K, Marras C, Aarsland D, van Hilten JJ. Risk factors for non-motor symptoms in Parkinson’s disease. Lancet Neurol. 2018 Jun;17(6):559-568. doi: 10.1016/S1474-4422(18)30127-3. Epub 2018 Apr 23. Review. PubMed PMID: 29699914.
- Chaudhuri KR, Schapira AH. Non-motor symptoms of Parkinson’s disease: dopaminergic pathophysiology and treatment. Lancet Neurol. 2009 May;8(5):464-74. doi: 10.1016/S1474-4422(09)70068-7. Review. PubMed PMID: 19375664.
- Goodarzi Z, Mrklas KJ, Roberts DJ, Jette N, Pringsheim T, Holroyd-Leduc J. Detecting depression in Parkinson disease: A systematic review and meta-analysis. Neurology. 2016 Jul 26;87(4):426-37. doi: 10.1212/WNL.0000000000002898. Epub 2016 Jun 29. Review. PubMed PMID: 27358339; PubMed Central PMCID: PMC4977107.
- Bargiotas P, Ntafouli M, Lachenmayer ML, Krack P, Schüpbach WMM, Bassetti CLA. Apathy in Parkinson’s disease with REM sleep behavior disorder. J Neurol Sci. 2019 Apr 15;399:194-198. doi: 10.1016/j.jns.2019.02.028. Epub 2019 Feb 20. PubMed PMID: 30826716.
- Aarsland D, Kurz MW. The epidemiology of dementia associated with Parkinson’s disease. Brain Pathol. 2010 May;20(3):633-9. doi: 10.1111/j.1750-3639.2009.00369.x. Review. PubMed PMID: 20522088.
- Barrett MJ, Smolkin ME, Flanigan JL, Shah BB, Harrison MB, Sperling SA. Characteristics, correlates, and assessment of psychosis in Parkinson disease without dementia. Parkinsonism Relat Disord. 2017 Oct;43:56-60. doi: 10.1016/j.parkreldis.2017.07.011. Epub 2017 Jul 15. PubMed PMID: 28735797.
- Pfeiffer RF. Non-motor symptoms in Parkinson’s disease. Parkinsonism Relat Disord. 2016 Jan;22 Suppl 1:S119-22. doi: 10.1016/j.parkreldis.2015.09.004. Epub 2015 Sep 3. Review. PubMed PMID: 26372623.
- Seppi K, Ray Chaudhuri K, Coelho M, Fox SH, Katzenschlager R, Perez Lloret S, Weintraub D, Sampaio C; and the collaborators of the Parkinson’s Disease Update on Non-Motor Symptoms Study Group on behalf of the Movement Disorders Society Evidence-Based Medicine Committee. Update on treatments for nonmotor symptoms of Parkinson’s disease-an evidence-based medicine review. Mov Disord. 2019 Feb;34(2):180-198. doi: 10.1002/mds.27602. Epub 2019 Jan 17. Review. Erratum in: Mov Disord. 2019 May;34(5):765. PubMed PMID: 30653247.
- Zhu M, Li M, Ye D, Jiang W, Lei T, Shu K. Sensory symptoms in Parkinson’s disease: Clinical features, pathophysiology, and treatment. J Neurosci Res. 2016 Aug;94(8):685-92. doi: 10.1002/jnr.23729. Epub 2016 Mar 6. Review. PubMed PMID: 26948282.
- Okun MS. Management of Parkinson Disease in 2017: Personalized Approaches for Patient-Specific Needs. JAMA. 2017 Sep 5;318(9):791-792. doi: 10.1001/jama.2017.7914. PubMed PMID: 28828469.
- Sistema nazionale per le linee guida dell’Istituto superiore di sanità (SNLG-ISS). Diagnosi e terapia della malattia di Parkinson. Revisione dell’agosto 2013