Disturbi depressivi nell’adolescenza
Gabriele Masi, Chiara Pfanner, Arianna Villafranca, Pamela Fantozzi, Annalisa Tacchi, Emanuela Inguaggiato
IRCCS Stella Maris, Istituto per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Calambrone, Pisa
INTRODUZIONE
I disturbi depressivi sono una condizione clinica relativamente frequente in età adolescenziale che si manifesta con quadri sintomatologici e interferenza funzionale estremamente variabili. L’obiettivo del clinico è individuare la soglia tra il disturbo conclamato, di norma ad andamento fasico e a impatto significativo sull’adattamento globale con necessità di trattamenti mirati e continuativi, e i sintomi depressivi fisiologici legati al normale sviluppo, generalmente transitori e privi di significativa interferenza globale, che spesso richiedono solo brevi trattamenti di natura prevalentemente psicoeducativa. Nel mezzo si situano tutte quelle forme ad impatto funzionale variabile che possono associarsi a disturbi fisici o psichiatrici di varia natura e che necessitano di gestione e trattamento mirati.
Dati epidemiologici sulla popolazione generale in USA e in Europa indicano una prevalenza del quadro conclamato nel 4% negli adolescenti (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007). Una recente valutazione epidemiologica effettuata negli USA (Avenevoli S et al., J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2015) ha riscontrato una prevalenza lifetime e a 12 mesi rispettivamente dell’11% e del 7,5%, mentre del 3,0% e del 2,3% nelle forme gravi, con maggiore prevalenza nelle femmine. La maggior parte dei pazienti presentava importante comorbilità con altri disturbi mentali. Un elemento fondamentale, non solo per l’espressione sintomatologica ma anche per la prognosi e la scelta del trattamento, è rappresentato dallo specificatore “gravità” dei sintomi depressivi. Nel DSM-5 si parla di depressione lieve quando sono presenti solo alcuni sintomi e il funzionamento è solo in parte compromesso; moderata caratterizzata da più sintomi e maggiore compromissione funzionale; grave in cui son presenti la maggior parte dei sintomi, con interferenza ancor più significativa sull’adattamento globale del soggetto. I pazienti con le forme gravi manifestano netto incremento del rischio di suicidalità e compromissione funzionale fino a 5 volte superiore rispetto alle forme lievi o moderate (Avenevoli S et al., J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2015). Questi dati sottolineano l’importanza medico-sociale della depressione e la necessità di una sua precoce individuazione, in particolare per le forme più gravi.
FORME CLINICHE DI DEPRESSIONE
I sistemi classificativi categoriali (DSM-5 e l’ICD-10) distinguono chiaramente tra depressione unipolare e depressione bipolare.
In adolescenza il quadro sintomatologico del Disturbo Depressivo Maggiore (DDM) si avvicina all’espressività fenomenologica dell’adulto rendendosi più evidente il sentimento di tristezza, i contenuti depressivi, le crisi di pianto, l’anedonia, il ritiro sociale, la perdita di speranza. Le preoccupazioni possono focalizzarsi su ambiti specifici, soprattutto per le prestazioni scolastiche o l’aspetto fisico e il confronto con i coetanei. In questa fase diventano più intensi pensieri di morte, tentativi di suicidio (talvolta mascherati da condotte pericolose), uso di alcool o di sostanze e talvolta reazioni aggressive, fughe, comportamenti antisociali. L’espressività fenomenologica dei quadri depressivi adolescenziali varia a seconda della fascia di età e del fenotipo clinico.
Un fenotipo peculiare è la depressione atipica, caratterizzata dalla frequente inversione di alcuni pattern comportamentali e psicopatologici tipici (alternanza diurna inversa, iperfagia e ipersonnia) e dalla presenza di un nucleo psicopatologico con alta sensitività interpersonale e sensibilità al rifiuto. Questa distorsione cognitivo-affettiva induce spesso a comportamenti istrionici e dimostrativi, espressi in modo esplicito (su social network, diari) riguardanti minacce suicidarie o autolesive che spesso possono essere anche agiti. Considerando anche la frequente comorbilità con disturbi di ansia multipli, disturbi del controllo degli impulsi, disturbi dello spettro bipolare II, il misconoscimento diagnostico di questo fenotipo ne aumenta il rischio di letalità.
Il più grave quadro di depressione in adolescenza è la depressione con sintomi psicotici caratterizzata da fenomeni dispercettivi come allucinazioni uditive (voci di biasimo o induzione al suicidio) o visive (immagini minacciose o denigratorie) e deliri olotimici più spesso a contenuto di colpa, vergogna, persecutori. In questi casi risulta fondamentale una corretta diagnosi differenziale con la schizofrenia ad esordio precoce o con altri disturbi psicotici gravi legati al neurosviluppo ai fini di una prognosi e di un trattamento specifico. La depressione con sintomi psicotici costituisce inoltre un importante fattore di rischio per lo sviluppo di un disturbo bipolare I; tale quadro implica gravità e rischio suicidario maggiori, più frequente switch maniacale spontaneo o indotto e necessità di trattamento con antipsicotici e timoregolatori.
Altro fenotipo clinico, nell’ambito unipolare, è il Disturbo Depressivo Persistente (15% dei casi) caratterizzato da umore stabilmente depresso o irritabile, decorso cronico per almeno un anno senza intervalli liberi superiori a due mesi. L’esordio è insidioso con sintomatologia meno grave rispetto al DDM ma cronica e pervasiva (durata media di malattia di due-tre anni) tale da interferire gravemente sulla personalità in formazione (Masi G et al., Psychopathology 2001). In adolescenza l’umore triste si associa a rabbia, irritabilità, bassa autostima, sintomi vegetativi, ritiro sociale, disturbi comportamentali o marcate difficoltà scolastiche e di concentrazione. Almeno la metà dei soggetti sperimenta un episodio più acuto, episodio depressivo maggiore, che si sovrappone al Disturbo Depressivo Persistente, derivandone una condizione clinica definita “Depressione Doppia” a maggiore gravità e compromissione funzionale (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007).
STORIA NATURALE E COMORBILITÀ
La durata media di un episodio depressivo è di alcuni mesi. Le percentuali di guarigione a un anno dall’esordio sono di circa il 75% e dopo due anni di circa il 90% (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007). La depressione è una malattia fasica e spesso può recidivare: studi di follow up a lungo termine riportano una ricorrenza del disturbo nel 40% dei soggetti entro due anni, e nel 70% entro cinque anni. Fattori in grado di aumentare il rischio di ricadute o cronicizzazione del quadro sono: negative condizioni socio-ambientali, esordio molto precoce, gravità dei precedenti episodi, scarsa compliance al trattamento, presenza di sintomi psicotici, comorbilità, familiarità psichiatrica, stato premorboso, basso QI (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007).
La continuità tra la depressione dell’età evolutiva e quella dell’adulto è ancora discussa. Il 50% degli adulti depressi riferisce l’esordio della sintomatologia prima dei 18 anni (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007); la ricorrenza di episodi persiste in età adulta in più del 50% dei soggetti.
La comorbilità nel DDM è molto elevata. I disturbi d’ansia (ansia di separazione, ansia generalizzata, fobia sociale, panico) e il disturbo ossessivo compulsivo sono presenti dal 30 al 60% degli adolescenti depressi; il loro esordio precoce e in associazione può indicare una possibile evoluzione in senso bipolare (Masi G et al., J Clin Psychiatry 2012). L’ADHD è riscontrabile in circa il 30% dei bambini e nel 15% degli adolescenti con depressione acuta o cronica. È oggetto di discussione se la dimensione impulsiva dell’ADHD possa incrementare il rischio suicidario di adolescenti depressi in particolare in fase acuta (Chronis-Tuscano A et al., Arch Gen Psychiatry 2010; Patros CH et al., J Clin Psychology 2013). Disturbi del comportamento come il disturbo oppositivo-provocatorio e della condotta sono presenti nel 20-30% degli adolescenti depressi e possono persistere anche dopo il miglioramento dei sintomi depressivi, condizionandone la prognosi e l’adattamento psicosociale, aumentando il rischio di uso di sostanze e di comportamenti impulsivi autolesivi, sotto forma di tentativi di suicidio o di decessi per condotte pericolose ed impulsive. Tra bambini e adolescenti con DDM circa 1/5 è a rischio di sviluppare un disturbo bipolare, in particolare nelle forme ad esordio più precoce (Geller B et al., Am J Psychiatry 2001). Altri fattori di rischio sono la familiarità per disturbo bipolare, la presenza di rallentamento psicomotorio, i sintomi psicotici e la comparsa di switch ipomaniacale iatrogena (Birmaher B et al., Am J Psychiatry 2009).
DEPRESSIONE E SUICIDALITÀ
La conseguenza più devastante di un disturbo depressivo è rappresentata dai suicidi tentati o completati (Meltzer H et al., Office National Statistics 2001). Un comportamento suicidario è caratterizzato dalla volontà più o meno esplicita di darsi la morte. In tal senso dovrebbe essere distinto da quelle condotte autolesive (tagli, graffi, ecc.) che non hanno una diretta intenzionalità e finalità di uccidersi.
Il concetto di comportamento suicidario è diverso da quello di suicidalità, che comprende non solo i comportamenti suicidari ma anche l’ideazione. Tale aspetto si situa in un continuum che parte da ideazioni suicidarie sporadiche, reattive al contesto o attivate da più intense situazioni di stress non associate a progettualità autolesiva, per arrivare a ideazioni persistenti e pervasive con progettualità specifica e peggiore prognosi. A loro volta i tentativi di suicidio possono essere privi di implicazioni mediche (es. l’assunzione bassi dosaggi di farmaci), con implicazioni più o meno gravi o addirittura esitare in suicidio completato. Questi diversi livelli di suicidalità hanno diversa prevalenza nella popolazione generale: ideazioni suicidarie sporadiche fino al 10% degli adolescenti; suicide rate in Italia è circa 4 su 100.000. Esistono ampie differenze, in particolare nel suicide rate, a seconda delle aree geografiche, sia nei paesi europei (tassi molto maggiori nei paesi nordici) sia in Italia (maggiore incidenza al Nord). Altre condizioni psichiatriche che aumentano il rischio di suicidio, in particolare se in associazione, sono: disturbo bipolare, schizofrenia, disturbo schizoaffettivo, disturbo borderline di personalità, disturbo post-traumatico da stress. La migliore prevenzione del rischio suicidario è il riconoscimento precoce nel paziente dei fattori di rischio quali pregressi tentativi di suicidio, sintomi psicotici, depressione bipolare in fase mista, disturbo borderline di personalità, disturbo della condotta, familiarità per tentativi di suicidio, violenza o impulsività nel contesto familiare, uso di sostanze, calo scolastico (Brent DA et al., J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 1999).
TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO
La diagnosi di depressione implica un piano specifico di trattamento (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007). Quando i sintomi sono lievi, le risorse temperamentali del soggetto consentono di far fronte alla spinta depressiva, le condizioni ambientali sono favorevoli, ed è possibile un adeguato monitoraggio medico e psicologico, è legittima una strategia di attesa. Un breve intervento di sostegno empatico al soggetto ed alla famiglia può determinare in queste forme un chiaro miglioramento in almeno 1/5 dei casi, soprattutto se viene messo in atto in modo tempestivo, entro le prime settimane dall’esordio.
Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di interventi psicoterapeutici a diverso orientamento (cognitivo, psicodinamico, familiare) sia in fase acuta che nel mantenimento (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007). La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è il trattamento maggiormente indicato nella depressione infantile di grado lieve e moderato (Harrington R et al., Br J Psychiatry 1998). L’efficacia della psicoterapia individuale è stata validata da studi controllati (Brent DA et al., Arch Gen Psychiatry 1997; Mufson L et al., Arch Gen Psychiatry 2004) anche se una percentuale di soggetti tra il 35 ed il 50% non risponde in modo soddisfacente; il predittore negativo più importante di non risposta è la gravità del disturbo. Se la psicoterapia è il trattamento di assoluta elezione nelle forme lievi e può essere efficace nelle forme di moderata entità, la sua efficacia è inferiore nelle forme gravi o gravissime, almeno come unica forma di trattamento (TADS Team, JAMA 2004). Una valutazione di efficacia di un intervento psicoterapico dovrebbe essere effettuata almeno dopo tre mesi di trattamento. Nel caso di pazienti non risponder ad un intervento psicoeducativo e/o psicoterapico, dovrebbe essere preso in considerazione l’intervento farmacologico.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
L’efficacia del trattamento farmacologico della depressione in età evolutiva è ancora oggetto di studi (Masi G et al., Expert Opin Pharmacother. 2010) e scarse risultano al momento le conoscenze sul possibile effetto dei farmaci neurotropi sul sistema nervoso in fase di sviluppo. È tuttavia necessario considerare i rischi nel breve e nel lungo termine derivati dal mancato trattamento di un disturbo ad esordio precoce, potenzialmente cronico o recidivante, sul neurosviluppo e sull’adattamento globale.
Gli inibitori selettivi della serotonina (SSRI), antidepressivi maggiormente indagati in studi controllati per il trattamento della depressione del bambino e dell’adolescente, agiscono sia bloccando la ricaptazione serotoninergica a livello presinaptico che modulando l’espressività di geni regolatori per proteine ad azione neurotrofica, tipo il BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor) che influenza la neurogenesi e la plasticità neurale (arborizzazione dendritica e sinaptogenesi) prevalentemente a livello del sistema limbico (Masi G et al., CNS Drugs 2011; Russo-Neustadt AA et al., Curr Pharm Des. 2005).
Gli studi evidenziano una moderata differenza di efficacia SSRIs vs placebo in età evolutiva anche perché in questa fascia di età la risposta al placebo è più elevata (Varigonda AL et al., J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2015). La fluoxetina è l’unico tra gli SSRI che si è dimostrato, in studi controllati, superiore al placebo nel ridurre i sintomi depressivi in bambini e adolescenti con un migliore rapporto rischi/benefici (Emslie GJ et al., Arch Gen Psychiatry 1997; Emslie GJ et al., J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2002; TADS Team, JAMA 2004; Whittington CJ et al., Lancet 2004). Tale farmaco ha in Italia e in Europa l’indicazione per soggetti di età superiore a 8 anni con depressione di entità moderata o grave che non abbiano risposto a un precedente intervento psicoterapeutico e rappresenta la prima scelta nel trattamento farmacologico della depressione dell’età evolutiva. La fluoxetina differisce dagli altri antidepressivi per un’emivita particolarmente lunga che consente un’unica somministrazione al giorno e riduce i rischi di sospensione se le assunzioni sono irregolari. Minori evidenze esistono per altri SSRI, quali sertralina, citalopram ed escitalopram, in genere utilizzati solo in caso di mancata risposta alla fluoxetina. Gli effetti indesiderati più frequenti degli SSRI, come nausea, vomito, cefalea, agitazione, irritabilità ed insonnia, generalmente precoci e transitori, non determinano sospensione del trattamento, mentre gli effetti sulla sfera sessuale (anorgasmia, ritardo di eiaculazione e calo di libido) vengono riferiti dagli adolescenti come persistenti e per questo sono scarsamente accettati. Solo il 10% dei pazienti, similmente al placebo, sospende il trattamento per effetti indesiderati. Sintomi ipomaniacali, talvolta erroneamente interpretati come remissione, possono verificarsi tra l’1 ed il 6% dei soggetti anche a distanza di tempo dall’inizio della terapia.
La venlafaxina, molecola a doppia azione serotoninergica e noradrenergica, ha presentato un’efficacia paragonabile agli SSRI in adolescenti che non avevano risposto ad un SSRI (Brent D et al., JAMA 2008). Dati recenti evidenziano un’efficacia superiore al placebo esclusivamente sugli adolescenti ma un contemporaneo aumento dell‘indice di suicidalità (7,7% vs 0,6%) (Emslie GJ et al., J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2007). Per questo motivo il farmaco, che non ha attualmente l’indicazione per l’età evolutiva, non dovrebbe essere somministrato come prima scelta, ed il suo uso andrebbe attentamente monitorato.
Non esistono invece evidenze di efficacia dei triciclici nella depressione in età evolutiva (Hazell P et al., The Cochrane Library 2003), anche se l’attendibilità di tale effetto è condizionata dalla scarsa qualità (es. bassa numerosità del campione) degli studi in proposito. L’alto profilo di effetti indesiderati, legati all’azione sui recettori colinergici (secchezza delle fauci, stipsi, visione indistinta, disturbo della memoria), alfa-adrenergici (sedazione, ipotensione ortostatica) e istaminergici (sedazione, aumento di appetito e di peso), la cardiotossicità dose-dipendente e la possibile letalità in overdose ne scoraggiano l’uso in questa fascia di età.
L’inizio della terapia antidepressiva deve avvenire con bassi dosaggi per minimizzare gli effetti iniziali di possibile attivazione comportamentale (agitazione, insonnia, irritabilità), con monitoraggio ogni 1-2 settimane per valutare l’emergenza di eventuali effetti collaterali o suicidalità (Birmaher B et al., Acad Child Adolesc Psychiatry 2007). La risposta clinica si ha in genere dopo 2-3 settimane, anche se a volte la risposta è più precoce. È comunque necessario attendere fino a 6-8 settimane per giudicare il paziente non responder. La percentuale di risposta delle forme moderate o gravi è intorno al 60%. In caso di non risposta devono essere rivalutate compliance, dosaggio, durata, effetti collaterali, ma anche condizioni psicosociali o familiari negative e comorbilità internistica. Alla remissione dei sintomi, dopo la fase acuta, è indicato proseguire la terapia per almeno 6-9 mesi, seguita da una graduale sospensione.
RISCHIO SUICIDARIO E ANTIDEPRESSIVI
La depressione è un importante fattore di rischio suicidario ed il trattamento dovrebbe funzionare come fattore protettivo. Per contro, studi epidemiologici ed osservazionali riportano una correlazione inversa tra uso di SSRI e prevalenza di suicidio nella comunità (Gibbons RD et al., Arch Gen Psychiatry 2005; Gibbons RD et al., Am J Psychiatry 2006; Isacsson G et al., Acta Psychiatr Scand. 2005). Secondo recenti metanalisi (Hammad TA et al., Arch Gen Psychiatry 2006; Olfson M et al., Arch Gen Psychiatry 2003; Stone M et al., BMJ 2009) in soggetti adolescenti trattati con antidepressivi il tasso di suicidi completati risulterebbe pari a zero mentre viene riferito un indice di “suicidalità” pari al 4% (vs 2% del placebo).
La FDA e la EMA hanno espresso l’opportunità di cautela nella somministrazione e monitoraggio dei farmaci antidepressivi in età evolutiva inserendo in scheda tecnica una specifica avvertenza (black box) sul rischio suicidario. Tale effetto avverso deve indurre un attento monitoraggio durante l’uso di antidepressivi in adolescenza, in particolare nelle prime fasi del trattamento (TADS Team, JAMA 2004), senza però rinunciare ad un corretto intervento terapeutico nei soggetti depressi e quindi ad alto rischio suicidario. In questi pazienti la strategia più efficace è la combinazione di psicoterapia con trattamento farmacologico come evidenziato nello studio TADS (TADS Team, JAMA 2004), uno studio promosso dal National Institute of Health in USA che ha confrontato il trattamento psicoterapeutico cognitivo-comportamentale (CBT) e farmacoterapico (fluoxetina) in alternativa ed in associazione, con il placebo in adolescenti con diagnosi di disturbo depressivo maggiore moderato o grave. La terapia combinata fluoxetina+CBT è risultata superiore ai trattamenti singolarmente, la fluoxetina è risultata superiore alla CBT, mentre la CBT non è risultata superiore al placebo. Nel sottogruppo con depressione grave o gravissima, il trattamento combinato non si è differenziato dal trattamento con fluoxetina e la CBT si è mostrata equivalente al placebo. Il gruppo con massimo miglioramento con suicidalità è risultato quello che riceveva una terapia combinata farmaco+psicoterapia.
Tali dati appaiono ulteriormente confermati nello studio TASA (Brent DA et al., J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2009) su adolescenti che avevano effettuato un tentativo di suicidio nelle ultime 12 settimane e che continuavano a presentare un DDM. Il trattamento combinato CBT+farmaco (un SSRI e/o Sali di Litio) induce a 24 settimane un significativo miglioramento nel 70% dei casi e una remissione nel 50%, riducendo le percentuali di ricovero a livelli pari ai soggetti depressi senza rischio suicidario. I sali di litio risulterebbero tra i farmaci con maggiore evidenza di efficacia nella prevenzione del rischio suicidario nei disturbi dell’umore sia unipolari che bipolari (Cipriani A et al., BMJ 2013).
CONCLUSIONI
La depressione in adolescenza è una patologia non rara. Ha un decorso ricorrente con vari gradi di interferenza e spesso può causare grave sofferenza soggettiva e marcata compromissione funzionale nel breve e nel lungo termine. Le forme stabili e clinicamente significative richiedono un trattamento. Gli interventi psicoeducativi, psicosociali, psicoterapeutici e familiari rappresentano la scelta terapeutica nelle forme di gravità lieve o moderata. In caso di forme resistenti a questi trattamenti, e soprattutto nelle forme gravi, la farmacoterapia può rappresentare un’importante opzione terapeutica. L’ideazione suicidaria ed i tentativi di suicidio rappresentano un’eventualità non rara in adolescenti con depressione. In questi casi l’intervento farmacologico deve essere più strettamente monitorato ed in ogni caso associato ad un intervento psicoterapeutico
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