Disturbi depressivi nel paziente epilettico
Filippo Sean Giorgi, Chiara Pizzanelli
UO Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa
INTRODUZIONE
La depressione rappresenta la più frequente comorbilità psichiatrica nei pazienti con epilessia con tassi di prevalenza compresi tra il 12 ed il 37% a seconda degli studi clinici (Fiest KM et al., Neurology 2013). Questa elevata variabilità dipende dall’eterogeneità dei disegni degli studi, dalle caratteristiche delle popolazioni, dal metodo utilizzato per diagnosticare la depressione. Altro fattore responsabile di variabilità è l’applicazione del termine depressione a diversi quadri depressivi, comprendendo, sotto quest’unica denominazione, disturbi psichiatrici diversi – come episodi depressivi maggiori o distimia – ma anche semplicemente sintomi depressivi semplici o associati ad altre patologie psichiatriche. L’eziologia della depressione nell’epilessia è stata argomento di controversie nel tempo con oscillazioni tra teorie psicosociali e teorie neurobiologiche. L’orientamento tradizionale considerava la depressione come secondaria ad una serie di fattori psicosociali correlati all’epilessia, come la disoccupazione, lo stress economico, l’isolamento sociale, lo stigma. Dati epidemiologici recenti, supportati dalla ricerca clinica e sperimentale, hanno invece suggerito l’esistenza di una relazione più complessa tra epilessia e depressione: in particolare non solo i soggetti con epilessia hanno un aumentato rischio di depressione, ma anche i soggetti con depressione hanno un aumentato rischio di sviluppare epilessia, come se alcuni meccanismi patogenetici operanti nella comorbilità psichiatrica giocassero un ruolo nell’epilettogenesi. Negli anni ’70 i neurologi inglesi Trimble e Reynolds identificarono le complicanze comportamentali e cognitive di alcuni farmaci antiepilettici (AEDS), in particolare della fenitoina e dei barbiturici; queste osservazioni guidarono studi più sistematici riguardanti gli effetti collaterali dei farmaci antiepilettici sulla sfera cognitiva e sull’umore e rappresentarono l’inizio di un filone di ricerca destinato ad ampliarsi notevolmente nel periodo 1990-2010, decadi durante le quali furono commercializzati numerosi farmaci antiepilettici, alcuni dei quali di elevata efficacia, ma con effetti collaterali significativi in ambito psichiatrico. A tale proposito, nel 2008 la Food and Drug Administration (FDA) pubblicò i risultati di un’analisi statistica riguardante la correlazione tra 11 farmaci antiepilettici e suicidalità, riportando un’aumentata suicidalità in pazienti epilettici che assumevano gli 11 farmaci. FDA impose inoltre alle ditte farmaceutiche di segnalare sulle schede tecniche dei loro farmaci specifiche avvertenze riguardanti il rischio di depressione e di comportamento suicidario (FDA, US Department of Health and Human Services. Statistical review and evaluation: antiepileptic drugs and suicidality, 2008). Benché tali dati siano stati accolti con grande scetticismo dai clinici e dalla comunità scientifica, che ne ha messo in dubbio la validità per limiti metodologici, la meta-analisi condotta da FDA ha avuto il merito certo di evidenziare il potenziale rischio di depressione e di suicidio nell’epilessia. Dal punto di vista epidemiologico, infatti, si stima che il suicidio rappresenti la causa dell’11,5% delle morti in epilessia, a fronte dell’1% nella popolazione generale. Pertanto, negli stessi anni, con lo scopo di stressare la necessità di disporre di strumenti di screening del suicidio e di monitoraggio clinico dei farmaci, si è costituito un consensus di esperti con il contributo di una Task Force ad hoc della Commissione sulla Neuropsicologia, nell’ambito dell’International League Against Epilepsy, l’organizzazione più prestigiosa che si occupa degli aspetti scientifici, educativi, assistenziali dell’epilessia a livello mondiale.
EPIDEMIOLOGIA E CLINICA
Nell’analisi della correlazione tra epilessia e depressione, al di là del riconoscere l’influenza di alcuni AEDS sulla sfera psichica e del considerare gli aspetti psicosociali connessi all’epilessia, come potenziali fattori eziologici di una depressione reattiva, in realtà, numerose evidenze epidemiologiche e cliniche accumulate negli ultimi 15 anni suggeriscono che la questione è ben più complessa.
Dalla consultazione del database inglese General Practice Reasearch, che raccoglie dati clinici longitudinali e in corso relativi a milioni di persone attraverso i report dei medici di base – ed è pertanto anche un ottimo strumento epidemiologico – emerge che l’incidenza della depressione è significativamente più alta nei tre anni che precedono una diagnosi di epilessia (Hesdorffer DC et al., Ann. Neurol. 2012).
Inoltre, alcuni studi di popolazione hanno indicato che le persone affette da un disordine depressivo hanno un rischio di sviluppare epilessia dalle 3 alle 7 volte maggiore rispetto alla popolazione generale (Hesdorffer DC et al., Ann. Neurol. 2006). Infine, a sostenere ancora che la depressione rappresenta un fattore di rischio di epilessia, una meta-analisi di trials controllati di fase II e fase III condotti tra il 1985 e il 2004 di confronto di farmaci antidepressivi verso placebo ha mostrato che i partecipanti randomizzati al farmaco antidepressivo erano “protetti” dall’epilessia (per farmaci diversi da clomipramina e bupropione, che hanno invece alto potenziale epilettogeno) con basso rischio di crisi; invece i pazienti randomizzati al placebo, cioè ancora depressi, avevano una probabilità di crisi 19 volte maggiore rispetto all’incidenza attesa nella popolazione generale (vedi infra).
Questi dati epidemiologici suggeriscono pertanto che la depressione possa rappresentare una fase premorbosa dell’epilessia e che alcuni pazienti con la depressione sarebbero quindi destinati a sviluppare più tardi l’epilessia come parte della storia naturale di un’unica malattia.
Altre evidenze a sostegno dell’ipotesi di una base neurobiologica comune tra epilessia e depressione sono studi che dimostrano come la presenza di depressione, oltre che disabilità neuropsichiatriche, siano associate a peggior prognosi nel controllo delle crisi in soggetti con epilessia di nuova diagnosi.
Nello stesso senso vanno i dati emersi dall’analisi di follow up dei centri di chirurgia dell’epilessia riguardanti gli outcome; ebbene, nei pazienti con epilessia temporale farmaco-resistente operati di lobectomia temporale anteriore, una lunga storia psichiatrica precedente si associa ad un peggior outcome dopo chirurgia; in molti di questi pazienti la rimozione del focus epilettogeno non è sufficiente ad arrestare le crisi.
Benché depressione ed epilessia del lobo temporale condividano gli stessi circuiti cerebrali, i meccanismi neurobiologici dello sviluppo di epilessia in pazienti con depressione non sono chiari e costituiscono l’oggetto di un’estesa ricerca sia clinica che di base.
FISIOPATOLOGIA
Un’interpretazione classica sulla comorbilità tra epilessia e depressione imputava all’effetto di AEDS (specie i più vecchi, fenitoina e fenobarbital) un calo significativo del tono dell’umore; tale teoria era ancor più enfatizzata alla luce di dati ottenuti negli ultimi decenni che mostrano un incremento del rischio di suicidio ascrivibile a pressoché tutti gli AEDS. Dati più recenti hanno poi suggerito che vi potesse essere qualche meccanismo neurobiologico in comune tra le due patologie: in particolare, il fatto che una storia di depressione severa fosse associata ad una peggiore prognosi in termini di risposta terapeutica, non solo ad AEDS, ma anche alla lobectomia temporale come trattamento chirurgico dell’epilessia, è un dato ben consolidato nella letteratura. Modelli sperimentali animali di epilessia del lobo temporale hanno mostrato segni ascrivibili a tratti depressivi in test comportamentali specifici, e l’opposto (un aumento della suscettibilità a crisi epilettiche, specie quelle indotte nel sistema limbico) è stato osservato in modelli sperimentali di depressione nei roditori.
L’ipotesi su un meccanismo serotoninergico (il cui ruolo potenziale nella patogenesi della depressione è ben noto da anni, e ampliamente confermato dall’efficacia antidepressiva degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina – SSRI) alla base della comorbilità dei due disturbi è suggerito dai dati sugli effetti avversi di grossi trials clinici sull’utilizzo di SSRI in pz con depressione maggiore, in cui i pazienti trattati con placebo mostravano un rischio molto più alto di epilessia rispetto a quelli trattati con SSRI (Alper K et al., Biol. Psychiatry 2007). Studi sperimentali hanno sistematicamente dimostrato che lesioni dei nuclei serotoninergici abbassano la soglia a molti stimoli epilettogeni sperimentali, mentre l’aumento dei livelli extracellulari di 5HT tramite SSRI riduce l’insorgenza di crisi in molti modelli sperimentali (Mazarati A & Sankar R, Cold Spring Harb. Perspect. Med. 2016). Inoltre vi sono evidenze interessanti ottenute con PET per traccianti recettoriali serotonergici su pazienti, che sembrano supportare l’ipotesi serotonergica (vedi paragrafo successivo). Un’ipotesi molto affascinante che potrebbe legare depressione maggiore ed epilessia (specie quella del lobo temporale) chiama in causa un’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, dimostrata già decenni fa nei pazienti con depressione. Infatti, la somministrazione di corticosteroidi favorisce l’epilettogenesi in strutture limbiche in modelli animali, e, d’altro lato, modelli di epilessia limbica cronica mostrano un aumento dei livelli di corticosteroidi circolanti. Fra l’altro, i corticosteroidi circolanti sembrano avere, oltre a moltissimi altri effetti (inclusi quelli neurotossici, ad alto dosaggio), un ruolo significativo sull’espressione cerebrale di sottotipi specifici di recettori per la serotonina e ciò potrebbe rappresentare un punto di contatto tra i meccanismi sopra citati. In modelli sperimentali anche il Glutammato (ed alcuni suoi recettori e trasportatori sinaptici specifici) è stato considerato un potenziale meccanismo in comune sia all’epilessia che alla depressione, ma con meccanismi ancora in corso di definizione. Infine, ma non minore per importanza, anche la Noradrenalina (NA) è un neurotrasmettitore con un ruolo molto importante nella fisiopatologia della depressione (Itoi K & Sugimoto N, J. Neuroendocrinol. 2010). Anche se non vi sono ancora evidenze chiare sulla compromissione dei sistemi noradrenergici cerebrali in pazienti epilettici (soprattutto per le difficoltà tecniche di studiare tali sistemi in vivo nei pazienti) un importante ruolo della NA cerebrale è stato dimostrato in molti modelli sperimentali di epilessia. In particolare è stato dimostrato che in alcuni modelli di epilessia spontanea generalizzata esiste un’alterazione congenita di sistemi noradrenergici cerebrali, e che la lesione selettiva del Locus Coeruleus (principale nucleo noradrenergico cerebrale) o la somministrazione di antagonisti noradrenergici potenzia pressoché tutti i tipi di crisi epilettiche sperimentali (soprattutto quelle limbiche)(si veda una revisione in Giorgi F et al., Neurosci. Biobehav. Rev. 2004). L’efficacia anticonvulsivante di antidepressivi bloccanti il reuptake della NA, come pure il potente effetto anticonvulsivante della stimolazione del nervo vago, che agisce specificamente aumentando l’attività NA cerebrale confermano indirettamente tali evidenze nell’uomo.
Infine, anche la neuroinfiammazione potrebbe giocare un ruolo nella patogenesi di entrambi i disturbi: ad esempio è stato mostrato che il blocco di interleuchine specifiche coinvolte in meccanismi di neuroinfiammazione (in particolare la IL-1) sembrano avere effetti sia anticonvulsivanti (in modelli di epilessia del lobo temporale)(Vezzani A et al., Exp. Neurol. 2013) che antidepressivi (Kopschina Feltes P et al., J. Psychopharmacol., 2017).
A supportare la teoria che epilessia e depressione condividono gli stessi meccanismi neurobiologici vi sono molti dati ottenuti da studi di neuroimmagine.
Numerosi sono gli studi di neuroimmagine in pazienti con epilessia ed in pazienti con depressione, considerati separatamente, mentre relativamente scarsi sono quelli che hanno analizzato pazienti affetti da entrambe le condizioni patologiche.
L’imaging della depressione nella popolazione generale ha mostrato anomalie strutturali e/o funzionali in svariate regioni cerebrali, tra cui ippocampo, amigdala, corteccia orbito-frontale e cingolata anteriore, cioè aree cerebrali facenti parte dei circuiti dell’epilessia limbica.
Anche l’imaging dell’epilessia è piuttosto ricco. Per quanto riguarda gli aspetti morfologici-volumetrici cerebrali un enorme recentissimo studio condotto su scala mondiale su 2.149 soggetti con epilessia ha valutato anomalie strutturali-volumetriche mediante RM, distinguendo quattro tipi di epilessia: 1) le epilessie generalizzate idiopatiche, 2) e 3) le epilessie temporo-mesiali con sclerosi ippocampale destra o sinistra, 4) altri tipi di epilessia; le epilessie globalmente considerate hanno mostrato un ridotto volume del talamo destro e un ridotto spessore del giro precentrale bilaterale, mentre i sottogruppi delle epilessie temporo-mesiali hanno mostrato una profonda riduzione volumetrica nell’ippocampo ipsilaterale e un ridotto spessore in regioni corticali extra-ippocampali inclusi i giri precentrale e paracentrale (Whelan CD et al., Brain 2018). Questo poderoso studio ha il pregio di mettere ordine tra i molti studi volumetrici precedenti, che avevano già descritto alterazioni strutturali cerebrali in pazienti con epilessia, ma erano certamente più limitati dal punto di vista numerico e non sempre rigorosi nell’inquadramento diagnostico.
In soggetti con la comorbilità di epilessia temporale e sintomi depressivi, è stato misurato uno specifico assottigliamento corticale orbito-frontale sinistro, quale correlato anatomico della depressione nell’epilessia (Kanner AM et al., Epil. & Behav. 2012), ma questo dato resta da confermare.
I numerosi studi PET con fluoro-desossiglucosio (FDG) in pazienti con disordine depressivo maggiore hanno dimostrato un complesso pattern dismetabolico caratterizzato da ipometabolismo nella corteccia prefrontale dorso- e ventro-laterale, nel lobulo parietale inferiore, nelle cortecce cingolate dorsale anteriore e posteriore, e da ipermetabolismo in svariate strutture limbiche e paralimbiche, come la corteccia cingolata subgenuale, l’amigdala, l’ippocampo e l’insula. Esistono pochi studi PET in pazienti con comorbilità di epilessia e depressione; in questi pazienti sembra mantenersi il pattern ipometabolico a livello di corteccia frontale inferiore, entrambi i lobi temporali, corteccia orbito-fontale ipsilaterale al lobo temporale epilettogeno, mentre si perde il pattern ipermetabolico a livello limbico, probabilmente in relazione alla presenza di atrofia delle strutture limbiche nell’epilessia (Gilliam FG et al., Epilepsia 2004).
Il sistema serotonergico è stato estensivamente studiato in pazienti con depressione mediante traccianti PET della sintesi, dei trasportatori e dei recettori della serotonina (5-HT). Nell’epilessia e depressione gli studi PET del sistema serotonergico si sono concentrati sui recettori 5-HT1A in pazienti con epilessia temporale. Alcuni studi hanno mostrato un ridotto legame nel giro cingolato anteriore e nell’ippocampo ipsilaterale al lobo temporale epilettogeno in soggetti depressi e con epilessia temporale; altri studi hanno mostrato un ridotto legame nell’ippocampo, neocorteccia temporale, insula anteriore, cingolo anteriore, nuclei del rafe in pazienti epilettici con storia di depressione, ma questi dati non sono stati confermati in studi simili. La disomogeneità dei risultati può riflettere una variabilità di fattori tecnici o metodologici ma anche dipendere da fattori confondenti correlati all’epilessia, come la presenza di atrofia, le crisi, gli AEDS.
Globalmente, tuttavia, sulla base degli studi PET-FDG e 5-HT-1A, si tende a ritenere che i pazienti con epilessia temporale e depressione abbiano un’ipometabolismo FDG come i pazienti depressi e una combinazione di ridotta espressione dei recettori 5-HT1A/ridotta concentrazione extracellulare di 5-HT nelle regioni limbiche e del rafe.
Altri studi, idealmente combinando pazienti con epilessia e depressione e pazienti con epilessia non depressi, saranno utili nel definire più accuratamente le alterazioni dei circuiti di umore, emozioni, epilessia.
TERAPIA
Per molti anni è stato dato quasi per assodato che gli antidepressivi potessero abbassare la soglia epilettica e fossero quindi rischiosi nei pazienti con epilessia. In realtà, come già accennato, vi sono evidenze da trials clinici in pazienti affetti con depressione ed in cui veniva riportata l’incidenza di crisi comiziali tra i possibili effetti avversi, che molti antidepressivi abbiano di fatto un effetto anticonvulsivante. In particolare, un’analisi dettagliata degli studi randomizzati eseguiti su molti di questi farmaci (Alpers K et al., Biol. Psychiatry 2007), ha mostrato con chiarezza che farmaci SSRI e NSRI hanno un buon profilo di safety nei pazienti con epilessia ed anzi hanno potenzialmente addirittura un effetto anticonvulsivante, e solo per 4 degli antidepressivi valutati vi è un potenziale effetto proconvulsivante. Questi ultimi sono la clomipramina, il bupropione, amoxapina e maprotilina, e di essi di fatto solo la clomipramina è ancora utilizzata in modo significativo in Italia. In ogni caso i dati succitati confermano la necessità di usare con molta cautela gli antidepressivi triciclici nei pazienti con epilessia. Gli studi effettuati specificamente in popolazioni di pazienti epilettici sono invece pochi, su pochi pazienti e con disegno aperto, e quindi, seppur confermando le stesse impressioni degli studi succitati, non hanno ancora un’adeguata solidità scientifica.
Anche riguardo agli effetti psichiatrici di AEDS, vi è un’ampia letteratura. Tutti i dati sono ovviamente concordi nel mostrare una maggiore suscettibilità ad effetti avversi psichiatrici in pazienti con un quadro di depressione preesistente. Abbiamo già accennato al potenziale rischio di aumento di suicidalità, e alla correlazione tra utilizzo dei vecchissimi barbiturici e accentuazione di quadri depressivi. In generale, sembra che anche il topiramato, il vigabatrin (e verosimilmente la zonisamide) possano accentuare sintomi depressivi (Mula M & Sanders JV, Drug Safety 2007). Una particolare enfasi dovrebbe essere inoltre riservata ai dati post-marketing degli ultimi anni sugli effetti avversi psichiatrici del levetiracetam, considerato per il resto un farmaco dotato di notevole maneggevolezza per la scarsa interazione farmacocinetica con altri farmaci. Sembra che il levetiracetam sia non raramente complicato da un incremento dell’irritabilità ed aggressività, e che tali disturbi si inscrivano non di rado in un aumento/slatentizzazione di quadri depressivi. Invece, i farmaci con meccanismo di blocco attività-dipendente dei canali del sodio, quali la carbamazepina e l’oxcarbazepina (e, in minor misura, anche la vecchia difenilidantoina) sembrano avere un profilo più favorevole sull’umore. L’acido valproico, come intuitivo, è particolarmente indicato nei pazienti con epilessia e comorbilità per disturbo bipolare.
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