Disturbi depressivi nel paziente con emicrania
Martina Cafalli, Filippo Baldacci, Sara Gori
UO Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa
INTRODUZIONE
Le cefalee sono disturbi neurologici molto frequenti nella popolazione generale, con un notevole impatto sulla qualità di vita dei pazienti. L’International Headache Society (IHS) classifica le cefalee in due principali gruppi: le cefalee primarie e le cefalee secondarie, cioè causate/associate ad altre condizioni morbose. L’emicrania ha una prevalenza stimata di circa il 13% nella popolazione generale, dato che arriva fino al 16-18% considerando la sola popolazione di sesso femminile. L’età di esordio è giovanile, solitamente entro la terza decade di vita. Clinicamente, l’emicrania, si caratterizza per attacchi ricorrenti di durata dalle 4 alle 72 ore, con dolore unilaterale di tipo pulsante, di intensità variabile da moderata a grave. Generalmente si associano sintomi neurovegetativi quali nausea e vomito, fastidio per luce e suoni (foto e fonofobia). Molto frequente è anche il fastidio per gli odori (osmofobia) sebbene al momento non sia stato ancora inserito tra i sintomi cardine nelle linee guida per la diagnosi (Baldacci F et al., Neurol Sci 2014). Durante l’attacco il paziente necessita di rimanere immobile, sdraiato o seduto, al buio e in silenzio, evitando ogni tipo di stress o sforzo psico-fisico. Nella variante con “aura” sintomi neurologici focali completamente reversibili, di tipo visivo (scotomi scintillanti), sensitivo (parestesie agli arti superiori) e del linguaggio, precedono la cefalea e recedono nell’arco di un’ora. In circa il 3% dei pazienti l’emicrania può andare progressivamente incrementando in termini di ricorrenza degli episodi, fino a divenire cronica, con frequenza pari o superiore a 15 giorni al mese e conseguente aumento della disabilità e dei costi diretti e indiretti riferibili alla patologia emicranica (giornate di lavoro perse, uso o abuso di farmaci per alleviare i sintomi e prevenire gli attacchi, accesso a strutture come Pronto Soccorso o Centri Cefalee, o a strutture mediche private).
Col termine comorbilità si intende l’associazione tra due diverse patologie in uno stesso individuo con probabilità maggiore rispetto a quella data solo dal caso e l’emicrania presenta una comorbilità con un gran numero di condizioni cliniche e psichiatriche. Molti studi hanno evidenziato che pazienti con emicrania hanno una probabilità aumentata fino a 4 volte rispetto alla popolazione sana di avere o sviluppare un disturbo psichiatrico. La comorbilità psichiatrica è un importante fattore di rischio di cronicizzazione dell’emicrania stessa (Breslau N et al., Neurology 2000).
Le principali comorbilità psichiatriche dell’emicrania sono la depressione maggiore e i disturbi d’ansia e di fatto in questi pazienti i sintomi depressivi raramente si presentano isolati, ma quasi sempre si associano a disturbi d’ansia (Baldacci F et al., Clinical Neurology and Neurosurgery 2015). Solitamente il disturbo ansioso precede l’insorgenza dell’emicrania, mentre la depressione ha esordio successivo alla comparsa della cefalea. Ciò detto, nel trattare della comorbilità tra emicrania e depressione è sempre opportuno ricordare che essa è “contaminata” dalla presenza di sintomi di tipo ansioso; risulta quindi più corretto considerare la comorbilità psichiatrica con la definizione complessiva di disturbi affettivi.
EPIDEMIOLOGIA E CLINICA
La depressione maggiore o depressione unipolare, è un disturbo dell’umore caratterizzato da sintomi come profonda tristezza presente per la maggior parte della giornata, perdita di interesse o piacere per le attività svolte, presenza di disturbi di sonno protratti (insonnia o, al contrario, ipersonnia), alterazioni dell’appetito (anoressia o iperfagia), pensieri a carattere negativo e pessimistico, tra cui pensieri ricorrenti di morte, interferenti con la normale capacità di pensiero e concentrazione. Proprio come l’emicrania, la depressione è maggiormente diffusa nel sesso femminile (prevalenza del 25% nelle donne contro il 12% negli uomini).
Il rischio di depressione in pazienti emicranici è doppio rispetto alla popolazione non emicranica (Antonaci F et al., The Journal of Headache and Pain 2011). Pazienti con emicrania hanno prevalenza a un anno di depressione maggiore del 17,6%, molto più alta rispetto a quella della popolazione generale o a quella di pazienti con altre patologie croniche (7,8%). L’associazione tra emicrania e depressione maggiore è inoltre bidirezionale, come dimostrato da numerosi studi. Il rischio di insorgenza di attacchi emicranici in pazienti con depressione maggiore è fino a tre volte maggiore che nella popolazione sana, mentre il rischio di depressione in pazienti emicranici è aumentato fino a 5 volte (Breslau N et al., Neurology 2000).
La relazione tra le due condizioni non sembra, inoltre, variare significativamente considerando varie fasce d’età. È interessante osservare come sintomi di tipo depressivo possono essere riscontrati anche in pazienti emicranici che non soddisfano a pieno i criteri DSM-V per la diagnosi di depressione maggiore.
Analizzando i due tipi di emicrania, senza e con aura, risulta come l’associazione con depressione maggiore sia più forte nella forma con aura (Peterlin et al., Current Pain and Headache Reports 2009). Più nel dettaglio, donne con emicrania con aura hanno un rischio due volte maggiore di depressione rispetto a donne con emicrania senza aura; interessante sottolineare che tale differenza di rischio tra depressione e le due diverse forme di emicrania non è stata ad oggi riscontrata da alcuno studio sul sesso maschile.
Anche il rischio suicidario, sempre da considerare in pazienti con disturbo depressivo maggiore, è più alto tra i pazienti depressi che hanno anche una diagnosi di emicrania con aura rispetto a pazienti depressi senza disturbo cefalalgico o con diagnosi di emicrania senza aura (Breslau et al., Neurology 2000).
Pazienti con emicrania cronica, presentano un rischio depressivo fino a 4 volte maggiore rispetto agli emicranici episodici. Il rischio aumenta fino addirittura a 30 volte in pazienti emicranici cronici con attacchi severi ed estremamente disabilitanti (Tietjen GE et al., Neurology 2007).
FISIOPATOLOGIA
Alla patogenesi dell’emicrania concorrono fattori ambientali e genetici. Nei pazienti emicranici è presente una condizione di ipereccitabilità della corteccia cerebrale, quello che si usa definire “cervello emicranico”, su cui vanno ad agire fattori interni ed esterni che, con meccanismi ancora non del tutto noti, vanno a innescare una cascata di eventi quali modifica del calibro dei vasi meningei, rilascio nel circolo cerebrale di sostanze algogene, attivazione del sistema trigemino-vascolare e dei centri del dolore in senso pro-nocicettivo, con conseguente insorgenza della crisi emicranica.
Non sono ancora stati scoperti gli esatti meccanismi che rendono i pazienti emicranici più suscettibili allo sviluppo di depressione maggiore, anche se alcuni fattori di rischio alla base di tale associazione sono ben noti: sesso femminile, diagnosi di emicrania con aura in misura maggiore rispetto alla forma senza aura, lunga storia di malattia emicranica, elevata frequenza mensile di attacchi emicranici, sintomatologia allodinica, suscettibilità ad un elevato numero di fattori scatenanti l’emicrania, caratteristiche di personalità.
Vi sono evidenze di meccanismi patogenetici comuni che potrebbero spiegare la relazione tra emicrania e depressione e che sicuramente dovranno essere ulteriormente studiati e analizzati.
L’emicrania e le altre cefalee primarie possono essere considerate disturbi riferibili a un insieme di strutture e vie corticali e sottocorticali, dette “pain matrix”, coinvolte nell’elaborazione dell’esperienza sensoriale e psicoaffettiva del dolore. Alcuni di questi centri (amigdala, corteccia cingolata anteriore e grigio periacqueduttale) sono coinvolti anche in disturbi depressivi e ansiosi, e tale osservazione può essere alla base dell’interazione reciproca tra emicrania, depressione e ansia (Baldacci F et al., Clinical Neurology and Neurosurgery 2015).
Alterazioni nei livelli di serotonina si riscontrano sia nei pazienti emicranici che in quelli con depressione maggiore, come dimostrato anche dall’efficacia antiemicranica di farmaci attivi sul sistema serotoninergico, quali triptani tra le terapie sintomatiche e inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) tra le terapie di profilassi. Anche il sistema dopaminergico ha un ruolo sia nell’emicrania che nella depressione, e pare che un particolare genotipo del recettore D2 per la dopamina sia implicato nello sviluppo della comorbilità tra i due disturbi (Amoozegar F, International Review of Psychiatry 2017). Importante anche il ruolo degli ormoni ovarici: determinati periodi della vita femminile, quali la pubertà, il periodo perimestruale, il post-partum e la premenopausa, aumentano la suscettibilità individuale a entrambi i disturbi. Ciò pare ascrivibile alla riduzione del livello di estrogeni, ormoni con azione modulatrice su neuropeptidi e neurotrasmettitori coinvolti sia nell’emicrania che nella depressione, primo fra tutti il sistema serotoninergico.
Al momento non è stato individuato nessun gene specifico alla base della comorbilità tra emicrania e depressione maggiore, anche se studi sono in corso su geni coinvolti nell’espressione del sistema dopaminergico e serotoninergico, sul metabolismo dei folati e fattori di crescita (Amoozegar F, International Review of Psychiatry 2017). Dal punto di vista genetico, l’emicrania con depressione maggiore in comorbilità è differente dall’emicrania senza comorbilità depressiva. In particolare, pazienti emicranici e depressi, risultano geneticamente più simili a pazienti con sola depressione maggiore rispetto a pazienti con sola emicrania (Lighthart L et al., Human Genetics 2014). Sebbene ulteriori studi in materia siano necessari, tale osservazione potrebbe indicare che in determinate popolazioni di pazienti con depressione maggiore, lo sviluppo della patologia emicranica sia conseguenza del disturbo psichiatrico.
Anche la depressione bipolare si associa frequentemente all’emicrania, soprattutto a quella con aura; pazienti con emicrania con aura presentano una frequenza doppia di disturbo dell’umore di tipo bipolare rispetto ai controlli non emicranici. Nei casi in cui è presente tale comorbilità il disturbo bipolare è frequentemente di tipo II, e si associa più spesso a sintomi depressivi atipici, con aumento del rischio di suicidio anche se la sintomatologia depressiva è ben controllata.
La prevalenza di distimia (12,1%), forma di depressione caratterizzata da sintomi più lievi ma più persistenti (durata pari o maggiore ai due anni) rispetto alla depressione maggiore, risulta anch’essa maggiore nei pazienti emicranici rispetto alla popolazione non cefalalgica (3,6%), sebbene ad oggi in letteratura siano presenti pochi dati sull’argomento (Torelli P, D’Amico D, Neurol Sci 2004).
TERAPIA
Il trattamento dell’emicrania prevede farmaci per il trattamento acuto degli attacchi e farmaci profilattici in caso di episodi cefalalgici ricorrenti con una frequenza superiore ai 3-4 giorni/mese.
Tra i farmaci sintomatici, oltre agli analgesici antinfiammatori e di combinazione con antiemetici, vi sono i triptani, agonisti sui recettori serotoninergici 5HT1D e 5HT1B, presenti diffusamente nel sistema trigemino-vascolare. L’attivazione di tali recettori da parte dei triptani provoca vasocostrizione a livello delle arterie, e inibizione del rilascio di mediatori, come il Calcitonin Gene Related Peptide (CGRP), coinvolti nell’inizio e nel mantenimento del dolore emicranico.
Le strategie terapeutiche di profilassi a disposizione per il trattamento dell’emicrania spaziano dall’utilizzo di integratori come magnesio, vitamine del gruppo B e fitoterapici, fino all’impiego di farmaci con provata efficacia, quali: propanololo, flunarizina, amitriptilina, topiramato e valproato. Nei pazienti con emicrania cronica è disponibile, infine, il trattamento con tossina botulinica. La scelta del farmaco più adatto si basa sulle caratteristiche cliniche del paziente, sulla presenza di patologie associate ed eventuali altre terapie. Il trattamento deve essere mantenuto per un periodo variabile, in base al tipo di molecola usata, da 3 a 8-12 mesi. Utile, oltre all’approccio farmacologico, il mantenimento di un equilibrato stile di vita con corretta igiene del sonno e alimentazione sana a intervalli regolari.
Il trattamento della depressione è multifattoriale, con modifiche dello stile di vita, psicoterapia e terapia farmacologica. Quest’ultimo approccio è indicato quando i sintomi sono particolarmente intensi e interferenti con la quotidianità del paziente.
Per quanto riguarda l’approccio terapeutico al paziente con emicrania e depressione in comorbilità, pur mancando studi randomizzati specifici e quindi linee guida ufficiali, la pratica clinica può indicare quali farmaci siano maggiormente indicati e quali invece da evitare. Alcuni antidepressivi possono efficacemente essere usati per la profilassi antiemicranica: l’amitriptilina 10-75 mg/die è particolarmente indicata in caso di emicrania con presenza di sintomi depressivi. In alternativa, ulteriori efficaci opzioni terapeutiche in pazienti emicranici con depressione risultano essere la venlafaxina 75-150 mg/die e l’acido valproico 500-1500 mg/die. Da evitare invece beta bloccanti, flunarizina e topiramato. In caso di inefficacia o di scarsa tollerabilità di una terapia comune per entrambi i disturbi, è opportuno trattare separatamente le due condizioni.
Tra gli approcci terapeutici emergenti, la stimolazione magnetica transcranica (TMS) è stata recentemente approvata negli Stati Uniti e in altri paesi per il trattamento di emicrania e depressione (Klein MM et al., Pain 2015).
A livello clinico, è molto discussa la necessità di uno screening per disturbo depressivo nei pazienti emicranici, in particolare resta da stabilire in che modo e su quali pazienti effettuarlo. Nella pratica è consigliabile investigare la presenza di sintomi depressivi in pazienti con progressione da un pattern emicranico episodico verso uno cronico e in pazienti con scarsa risposta alle comuni terapie sintomatiche e/o profilattiche. La prima valutazione sulla presenza o meno di sintomi depressivi in pazienti con emicrania si può basare sull’utilizzo di scale cliniche validate come ad esempio la Patient Health Questionnaire 9-items Scale (PHQ) e la Beck Depression Inventory, ma la diagnosi deve essere affidata a uno psichiatra esperto, al fine di delineare l’approccio diagnostico-terapeutico più indicato per il paziente.
Come detto in precedenza, in pazienti emicranici con comorbilità psichiatrica disturbi dell’umore e disturbi d’ansia, sono quasi sempre compresenti. La coesistenza di emicrania e disturbi psichiatrici, provoca la sensibilizzazione di strutture centrali coinvolte sia nella percezione del dolore che nell’elaborazione delle informazioni di tipo affettivo. Ciò non fa altro che creare un circolo vizioso con un ulteriore peggioramento della prognosi di entrambi i disturbi, con un impatto fortemente negativo sulla qualità di vita dei pazienti e riduzione della capacità lavorativa e socio-relazionale. Il mancato e tempestivo riconoscimento di disturbi psichiatrici in pazienti con emicrania è spesso causa di un inadeguato risultato terapeutico, sia sintomatico che di profilassi, che non di rado può portare alla cronicizzazione della cefalea.
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