Depressione e malattie somatiche nell’anziano
F. Cocita, L. Vernuccio, L.J. Dominguez, F. Inzerillo, M. Barbagallo
U.O.C. di Geriatria e Lungodegenza, Dipartimento delle Patologie Emergenti e della Continuità Assistenziale
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Paolo Giaccone, Palermo
INTRODUZIONE E CENNI EPIDEMIOLOGICI
La depressione rappresenta un problema globale di salute pubblica, soprattutto nella popolazione anziana, sia per motivi epidemiologici per la sua elevata incidenza e frequenza in questa fascia di popolazione, sia per motivi sociali in quanto si associa frequentemente ad uno stato di disabilità sociale e funzionale e di perdita di autonomia ed autosufficienza per chi ne è affetto.
La prevalenza della condizione varia notevolmente non solo in base all’età ma anche in relazione al setting di rilevazione: sul territorio la prevalenza di depressione maggiore negli anziani è intorno all’1-3%, e sintomi depressivi si riscontrano in circa il 10-15% dei soggetti, mentre nei soggetti istituzionalizzati (strutture residenziali di lungo-assistenza, RSA, case protette) una depressione maggiore si riscontra in circa il 15% dei soggetti e sintomi depressivi in circa il 30-40% dei residenti anziani (Beekman AT, Br J Psychiatry 1999).
FATTORI PREDISPONENTI E CIRCOLI VIZIOSI TRA DEPRESSIONE E MALATTIE ORGANICHE
Nel soggetto anziano sono molti i fattori psicodinamici che possono contribuire allo sviluppo di un disturbo depressivo: la perdita di salute, dei propri affetti, del lavoro e della propria autonomia. La presenza di depressione a sua volta ha un impatto sia sulla salute peggiorando la mortalità e la comorbilità legata alla patologia di base, sia sulla capacità funzionale peggiorando la qualità di vita, aumentando il rischio di disabilità, di perdita di autonomia ed autosufficienza, causando ulteriore stress nel paziente e nella famiglia.
Molte malattie organiche si associano ad un disturbo depressivo maggiore o a sintomi depressivi. Anche se in passato pochi studi hanno attenzionato l’effetto della depressione sullo stato di salute generale dell’anziano, oggi è ampiamente riconosciuto lo stretto legame tra depressione e malattie somatiche. Diversi recenti studi hanno dimostrato come esista un rischio maggiore di sviluppare un disturbo depressivo nei soggetti (principalmente anziani) affetti da una o più patologie organiche acute e soprattutto croniche. Tra le più studiate ricordiamo patologie cardiovascolari (cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, ictus), le patologie endocrine e dismetaboliche (diabete mellito di tipo 2, ipotiroidismi, etc.), malattie neurologiche (Morbo di Parkinson e Malattia di Alzheimer), patologie neoplastiche, patologie osteoarticolari, patologie dell’apparato respiratorio etc. (Allen KP, Can Fam Physician 1981), (Tabella 1).
La presenza di dolore cronico, per lo più associato a processi degenerativi o neoplastici, e la disabilità conseguente, sono fra le cause più importanti di scadimento della qualità di vita e di insorgenza di uno stato depressivo. La relazione tra malattie e depressione è particolarmente rilevante per le patologie ad impatto diretto sulla disabilità (ictus, tumori, etc.). La perdita di capacità funzionale ha effetti peggiorativi sui sintomi depressivi, che a loro volta hanno effetti negativi sull’abilità funzionale, causando l’instaurarsi di un perverso circolo vizioso. Ad esempio la depressione che insorge dopo un ictus riconoscerebbe uno stato biologico nei primi mesi, mentre successivamente una componente aggravante e precipitante della condizione depressiva sarebbe legata allo stato di perdita funzionale conseguente all’ictus stesso. Malattie croniche invalidanti, riduzione della mobilità, e depressione sono anche strettamente collegate a solitudine ed isolamento sociale, con l’instaurarsi di un ulteriore circolo vizioso.
Una condizione depressiva non è solo conseguenza di malattie somatiche ma a sua volta la presenza di depressione è un fattore di rischio per la comparsa di numerose malattie somatiche e rappresenta un elemento di prognosi negativa per la loro evoluzione, con influenza sulla sintomatologia (aggravamento sintomi, comparsa di nuovi sintomi vegetativi) e con implicazioni sul trattamento (riduzione dell’aderenza e della compliance alla terapia).
DEPRESSIONE ED OUTCOME DI SALUTE
La comorbilità di una patologia depressiva con altre malattie internistiche ha implicazioni non solo assistenziali, ma ha anche un impatto economico e nell’utilizzo dei servizi sanitari (aumento costi del ricorso ai medici, aumento del numero e della durata dei ricoveri, delle giornate di degenza e delle re-ospedalizzazioni) ed aumento della morbilità e della mortalità.
Nei soggetti depressi è stato riscontrato un notevole aumento dell’utilizzo dei servizi sanitari (ospedalizzazioni, visite ambulatoriali, Pronto Soccorso, spese per test diagnostici) (Simon G et al., Am J Psychiatry 1995). A parità di DRG medici i soggetti depressi hanno un notevole allungamento dei tempi di ricovero (10 gg vs. 25,6 gg) (Verbosky LA et al., J Clin Psychiatry 1993).
Nei pazienti affetti da una o più patologie croniche l’associazione con uno stato depressivo peggiora in modo drammatico gli outcome di salute rispetto ai soggetti con le medesime patologie, ma non depressi. La presenza di depressione nei pazienti affetti da malattie somatiche amplifica i sintomi somatici, riduce la motivazione a curarsi, peggiora la prognosi, incrementa la mortalità e la disabilità, il carico per i caregivers, i ricoveri ospedalieri ed il rischio di istituzionalizzazione. In uno studio osservazionale, condotto su un campione di 245.404 partecipanti di 60 paesi in tutto il mondo, è stata valutata la prevalenza della depressione sulla base dei criteri ICD-10 e la concomitante prevalenza di 4 malattie croniche quali: angina, artrite, asma e diabete. I risultati hanno dimostrato che la prevalenza di depressione come comorbilità era presente in una media tra il 9% e il 23% dei partecipanti, con una o più malattie croniche. Non solo la prevalenza di patologia depressiva era significativamente maggiore di quella della popolazione di riferimento in assenza di malattie croniche; ma i soggetti con una o più malattie croniche e con comorbilità depressiva avevano outcome nettamente peggiori di salute rispetto ai controlli non depressi (Moussavi S et al., Lancet 2007).
DEPRESSIONE, MALATTIE CARDIOVASCOLARI ED ICTUS
L’associazione tra depressione e patologie cardiovascolari (entrambi tra i disturbi più diffusi nel mondo occidentale), è particolarmente stretta. Il 16% dei pazienti valutati 7 giorni dopo un infarto del miocardio avevano sintomi attribuibili ad un episodio di depressione maggiore. La mortalità a 6 mesi nei pazienti con pregresso IMA è di circa 3,5 volte maggiore nei pazienti depressi vs. non depressi (5% vs. 17,5%) (Frasure-Smith N et al., Circulation 1995).
I pazienti che sviluppano depressione dopo un infarto hanno, rispetto ai controlli infartuati non depressi, un rischio maggiore di re-infarto e soprattutto hanno un rischio da 2 a 2,5 volte maggiore di mortalità cardiovascolare sia nel breve che nel lungo periodo, indipendentemente dagli altri fattori di rischio (Dickens CM et al., Br J Psychiatry 2006). Le ragioni di questo stretto legame fra depressione, patologie cardiovascolari e mortalità sono numerose: sono stati chiamati in causa diversi meccanismi, sia fattori biologici (infiammazione, alterazioni della coagulazione, riduzione della serotonina), che sociali (peggiore stile di vita nei soggetti depressi – numero maggiore di fumatori, maggiore consumo di alcool, scarsa attività fisica, obesità), che psicologici (atteggiamento del paziente rispetto alla malattia – scarsa compliance al trattamento, scarsa o nulla consapevolezza del proprio stato di salute). Questo stretto legame non può essere semplicisticamente spiegato in una semplice coesistenza delle due patologie nello stesso individuo ma ha anche risvolti assistenziali e terapeutici. È stata suggerita l’importanza di associare all’approccio terapeutico farmacologico, un intervento sui fattori psicosociali che predicono l’esistenza di uno stato depressivo, quali la scarsa autonomia funzionale quotidiana, la carenza di supporto sociale e la solitudine, tutti eventi peggiorativi dello stato di salute (Townend BS et al., J Clin Neurosci 2007).
Una importante correlazione è stata ritrovata, anche, tra malattia cerebrovascolare e depressione. In uno studio osservazionale su 125 soggetti si è analizzata la prevalenza del disturbo d’umore post-ictus (MPDS) in una popolazione campione di soggetti che avevano avuto un ictus cerebrale. In questo studio venivano studiati pazienti sopravvissuti a ictus ospedalieri in base a criteri che includevano dati demografici, comorbilità, sottotipo di ictus, disabilità pre-ictus post-ictus e declino cognitivo; i pazienti sono stati valutati al tempo zero cioè entro 2-5 giorni dall’evento acuto, a 1-4 mesi e a lungo termine e si è osservato che la prevalenza di disturbo d’umore post-ictus aumenta nelle prime settimane dopo l’evento nonostante un miglioramento della disabilità e la presenza di depressione si associa significativamente ad un aumento della mortalità (Townend BS et al., J Clin Neurosci 2007). Poiché le due principali cause di morte nel mondo, che si prevede rimarranno stabilmente ai primi posti nelle proiezioni per il 2030, sono costituite proprio dalle patologie cardiovascolari e dall’ictus (Mathers CD et al., PLoS Med 2006), appare evidente l’importanza della valutazione di uno stato depressivo in tali condizioni e di iniziare precocemente un eventuale trattamento antidepressivo che possa migliorare l’outcome in tali pazienti.
DEPRESSIONE E DIABETE
Un’altra patologia somatica che si associa frequentemente ad un disturbo depressivo è il diabete mellito. La insorgenza di uno stato depressivo si associa dal momento della diagnosi di diabete, spesso non solo ad un peggioramento nella cura della malattia metabolica ma anche ad una ridotta capacità ad affrontare problemi di routine della vita quotidiana (come le relazioni sociali e familiari, le questioni lavorative e finanziarie). I soggetti affetti da diabete mellito sono a maggior rischio di depressione, di ansia e di disturbi alimentari. Il disturbo depressivo nel diabete compromette l’aderenza al trattamento, peggiora il controllo metabolico e quindi aumenta il rischio di gravi complicanze a breve e lungo termine come cecità, piede diabetico, ictus, declino cognitivo, diminuzione della qualità della vita e morte prematura (Ducat L et al., JAMA 2014). Uno studio osservazionale, condotto su una popolazione campione di 16.000 individui sia affetti da diabete che sani, ha evidenziato che nella popolazione di persone diabetiche la prevalenza di depressione era del 13,8%, invece saliva a ben il 44,6% se si analizzava la presenza di disagio psichico non specifico correlato al diabete (Nicolucci A et al., DAWN2 Study Group. Diabet Med 2013). Nel paziente diabetico la depressione è causa di una compromissione significativa della qualità di vita, soprattutto nell’aspetto socio-relazionale; ma il disagio psichico si riflette anche sull’autogestione della malattia, che richiede uno stabile equilibrio comportamentale da parte del paziente e della famiglia. È possibile quindi l’instaurarsi di un ulteriore pericoloso circolo vizioso, con un doppio binario, in quanto da un lato: la depressione riduce l’aderenza e la compliance del paziente alle cure e predispone alle complicanze, mentre dall’altro l’insorgenza della patologia diabetica, con i risvolti psicologici, specie se presenta difficoltà di controllo, costituisce, di per sé, un ulteriore fattore di rischio di depressione, con un ulteriore peggioramento del controllo metabolico e della prognosi.
DEPRESSIONE E PATOLOGIE TIROIDEE
Le disfunzioni tiroidee sono più comuni nella popolazione anziana rispetto a quella più giovane, ma spesso sfuggono al rilevamento clinico perché i loro segni e sintomi sono frequentemente aspecifici. Ad esempio, l’ipotiroidismo può associarsi a sintomi depressivi o a depressione franca, alterazione delle funzioni cognitive e fisiche, stipsi, intolleranza al freddo, aumento di peso corporeo, anemia o alterazioni del metabolismo lipidico, tutti disturbi frequentemente osservati anche nell’anziano eutiroideo. Vi è ancora un dibattito riguardo il possibile impatto dei disturbi lievi o subclinici della tiroide sulla funzione cognitiva e sullo stato depressivo. Tuttavia alcuni studi hanno mostrato un’associazione anche tra ipotiroidismo subclinico e depressione negli anziani. Più raramente è stato segnalato che anche una attivazione della ghiandola tiroidea può associarsi a sintomi depressivi. Lo screening di routine in adulti sani e asintomatici non è raccomandato; tuttavia, i medici devono mantenere un alto indice di sospetto per testare la funzione tiroidea in soggetti a rischio, con sintomi depressivi (Dominguez LJ et al., Pathy’s Principles and Practice of Geriatric Medicine 2012).
DEPRESSIONE E PATOLOGIE NEUROLOGICHE E SENSORIALI
L’elevata prevalenza di depressione che si riscontra nel corso di malattie neurologiche (demenza, Morbo di Parkinson) è in parte correlata al coinvolgimento di aree coinvolte nel controllo dei disturbi emozionali, ma in parte rilevante è conseguente alla disabilità legata alla patologia, che causa uno stato di frustrazione nel paziente. Nella presente review faremo solo un breve cenno a tali condizioni per la grande rilevanza e frequenza nel soggetto anziano, in quanto nello stesso numero della rivista sono presenti due articoli dedicati a tali condizioni cui si rimanda.
Disturbo depressivo e declino cognitivo coesistono con elevata prevalenza nei soggetti di età avanzata. Possono in generale delinearsi due distinti quadri: da un lato il paziente anziano con un disturbo depressivo maggiore che si complica con un deficit cognitivo (depressione come condizione di pre-demenza), dall’altro il paziente con decadimento cognitivo iniziale che si complica con uno stato depressivo per la consapevolezza della riduzione delle proprie performance sia fisiche che cognitive e della riduzione dell’autonomia e dell’autosufficienza. Da segnalare per i risvolti terapeutici la condizione di pseudodemenza legata ad uno stato depressivo severo che mima la demenza, con sintomi simili ad una demenza ma alla cui base c’è un disturbo depressivo. È spesso difficile da diagnosticare e necessita di un’accurata diagnosi differenziale, ma la cui identificazione è importante in quanto si tratta di una condizione curabile e quindi reversibile e che risponde ai farmaci antidepressivi. È stato suggerito che circa il 10-12% degli anziani diagnosticati con demenza residenti in comunità abbia in effetti una pseudodemenza derivante da una sottostante condizione depressiva (Shamoian CA, Hosp Community Psychiatry 1985). La frequenza della pseudodemenza può raggiungere il 30% tra i malati ricoverati in unità geriatriche con patologie somatiche.
Particolarmente frequente è anche la condizione depressiva in corso di malattia di Parkinson: tra le cause di questo link vi sono meccanismi legati alla limitazione motoria della malattia ma anche sono presenti meccanismi biologici legati alla alterazione dei sistemi monoaminergici (serotonina, noradrenalina). La prevalenza è variabile nei diversi studi in quanto sono spesso presenti fattori confondenti che possono causare sia una sottostima (sintomi attribuiti alla malattia – perdita di energia, di appetito, della libido, insonnia), che una sovrastima (sintomi propri della malattia – acinesia, ipomimia, ipofonia, camptocormia, ritardo psicomotorio, periodi off).
I deficit sensoriali possono spesso anch’essi associarsi a sviluppo di depressione. La perdita dell’udito riduce le capacità comunicative delle persone anziane, contribuendo al loro isolamento limitando le opportunità sociali con ricadute importanti sul benessere del soggetto e sulla sua qualità di vita. L’anziano presbiacusico ha quindi difficoltà a conversare con gli altri, a seguire i discorsi in ambiente domestico e fuori da questo, con conseguente aggravamento dell’isolamento sociale e della perdita di interessi portando all’instaurarsi di una patologia depressiva. È da segnalare che crescenti osservazioni hanno associato la perdita dell’udito anche ad una rapida progressione del declino cognitivo con una possibilità molto maggiore nei soggetti ipoudenti di sviluppare un deterioramento delle funzioni cognitive rispetto a soggetti normoudenti (Cocita F et al., Focus on Brain 2017).
DEPRESSIONE MASCHERATA E PATOLOGIE SOMATICHE: DIFFICOLTÀ DIAGNOSTICHE
Nell’anziano con patologia somatica la depressione si può manifestare con sintomi atipici con accentuazione o comparsa di nuovi sintomi somatici, o con disturbi comportamentali o psichiatrici. È quindi importante distinguere una sindrome depressiva che si manifesta con una sintomatologia somatica, da una malattia somatica che si accompagna a sintomatologia depressiva. I sintomi somatici con cui si può manifestare una condizione depressiva sono i più svariati e vanno da algie (cefalea cronica, nevralgie, parestesie, dolori muscolari), disturbi gastrointestinali (dolori addominali, dispepsia, aerofagia, stipsi o diarrea, inappetenza), disturbi cardiaci (pseudo-angina, tachicardia, angoscia precordiale), disturbi respiratori (dispnea, sensazione di soffocamento, oppressione respiratoria alla gola o al torace), disturbi del sonno (insonnia, alterazioni del ritmo sonno-veglia), astenia (soprattutto al risveglio mattutino), eccessiva stanchezza nel corso della giornata, disturbi genitourinari (tenesmo vescicale, pollachiuria, algie di varia natura agli organi genitali), problemi di funzionamento o mancanza di desiderio sessuale (Tabella 2).
La diagnosi di depressione nell’anziano con patologie somatiche non è sempre semplice (soprattutto se non ci si pensa) per svariate ragioni sia legate alla malattia che al paziente, ed al medico: i quadri clinici sono spesso atipici, il paziente anziano ha inoltre spesso riluttanza a parlare del suo stato emotivo, con il medico, raramente riferisce i sintomi guida, ma è in grado di descriverli se richiesti e gli specialisti che hanno in cura il paziente per la patologia somatica non sempre fanno attenzione alla sintomatologia depressiva, e tendono ad attribuire la sintomatologia alla patologia somatica e anche se sospettano una depressione non procedono nell’approfondimento diagnostico perché non di loro competenza. Non va dimenticato che anche la polifarmacoterapia e l’assunzione di numerosi farmaci può essere associata ad uno stato depressivo, tra questi ricordiamo alcuni antiipertensivi (propanololo, diuretici, calcio-antagonisti, clonidina, alfametildopa), alcuni psicotropi (neurolettici, benzodiazepine, barbiturici), i corticosteroidi, alcuni analgesici-antinfiammatori (oppiacei, indometacina) e numerosi altri farmaci (tra gli altri digitale, levodopa, amantadina, cimetidina, flunarizina, sulfamidici, etc.).
CONCLUSIONI
La depressione negli anziani con patologie somatiche è una condizione frequente, ma non “normale” che va ricercata e trattata. Non va al contrario alimentato il diffuso atteggiamento “ageistico” che fa coincidere l’invecchiamento e la presenza di malattie somatiche con la depressione e che costituisce uno dei principali ostacoli al suo riconoscimento ed al suo corretto trattamento.
La presenza di depressione nei soggetti anziani con malattie fisiche si associa ad una ulteriore riduzione della capacità funzionale, ed a riduzione della qualità di vita ed è a sua volta un fattore di rischio per la comparsa di nuove malattie e rappresenta un elemento di prognosi negativa per la loro evoluzione.
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