Farmaci per la terapia della Depressione
Roberto Ciccocioppo¹, Giovanni Biggio² ³
1. Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute, Università degli Studi di Camerino
2. Istituto di Neuroscienze, CNR, Cagliari | 3. Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi di Cagliari
La depressione, nelle sue varie forme, è il disturbo della sfera affettiva più diffuso a livello globale. È una patologia cronica recidivante che si manifesta con sintomi somatici, affettivi e vegetativi ed ha una prevalenza maggiore nelle donne e nella popolazione anziana. La depressione è caratterizzata da una elevatissima comorbidità con altre patologie psichiatriche, fra cui il disturbo d’ansia, abuso di sostanze, disturbo del controllo degli impulsi. Fino agli anni 50 del secolo scorso si riteneva fosse una patologia esclusiva della sfera psichica e, in quanto tale, dovesse essere trattata con la psicoterapia e la psicoanalisi.
La scoperta dell’azione antidepressiva di alcuni farmaci nasce per caso con l’uso della isoniazide che nel 1952 la Hoffmann-La Roche, introdusse in commercio come antibiotico per il trattamento della tubercolosi. Nel 1953, per lo stesso scopo fu sviluppato un suo analogo, la iproniazide, il cui uso tuttavia fu associato a numerosi effetti inattesi fra cui euforia, azione psicostimolante, aumento dell’appetito e miglioramento del sonno. Queste osservazioni, fecero sì che nel volgere di pochissimi anni l’iproniazide diventasse un farmaco diffusamente utilizzato per il trattamento della depressione maggiore.
Successivamente si scoprì che l’azione di questa molecola dipendeva dalla su capacità di inibire la Mono-Amino-Ossidasi (MAO), il principale sistema enzimatico responsabile della degradazione delle catecolamine (noradrenalina, dopamina e serotonina).
Un altro passo storico nello sviluppo degli antidepressivi consistette nella scoperta dei composti tricicli. Il primo farmaco di questa classe ad essere introdotto in terapia fu l’imipramina. Anche in questo caso la scoperta fu causale poiché, essendo un analogo della clorpromazina, fu sviluppato come antipsicotico. Come neurolettico si dimostrò di efficacia modesta mentre fu osservata una notevole capacità di migliorare i sintomi della depressione. L’imipramina dimostrò, inoltre, di possedere meno effetti indesiderati rispetto alla MAO inibitore iproniazide. Negli anni a seguire furono sviluppate numerose altre molecole a struttura tricilclica e si scoprì che il meccanismo principale della loro azione fosse il blocco della ricaptazione delle catecolamine con il conseguente aumento della disponibilità sinaptica.
L’osservazione della capacità della reserpina (un anti-ipertensivo depauperatore di catecolamine) di provocare sintomi depressivi e la scoperta dei meccanismi di azione dei triciclici e dei MAO inibitori rappresentarono gli elementi fondatori dell’ipotesi catecolaminergica secondo la quale i sintomi della malattia sono causati da bassi livelli di trasmissione noradrenergica, serotonergica e dopaminergica centrale. Sulla base di questo principio neurobiologico fu avviata una intensa attività di sviluppo di farmaci che attorno agli inizi degli anni 70 del secolo scorso portò alla scoperta della fluoxetina, il primo inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI). Seguirono lo sviluppo di numerosi antidepressivi con meccanismo atipico fra cui: il bupropione (inibitore della ricaptazione della dopamina), degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e noradrenalina (SNRI) come la velnafaxina e duloxetine, degli inibitori selettivi della ricaptazione di noradrenalina (NRI) come maprotilina e reboxotina, e farmaci attivi sui recettori serotonergici (mirtazapina, trazodone, mianserina). Nel 2013 la Food and Drug Administration (FDA) americana ha autorizzato la registrazione della vortioxetina, il farmaco antidepressivo più recente ed attualmente in commercio.
MAO INIBITORI
MAO è un enzima responsabile della degradazione ossidativa delle ammine biogene (serotonina, dopamina, noradrenalina e adrenalina) e ammine simpaticomimetiche (tiramina, benzilammina, ecc.). È presente in due isoforme, rispettivamente denominate MAO-A e MAO-B. L’enzima MAO-A è il principale responsabile della degradazione della serotonina, noradrenalina e adrenalina, mentre MAO-B ha un’azione prevalente su fenetilamine e benzilammine; ambedue le isoforme degradano la dopamine.
I MAO sono localizzati nel terminale presinaptico dove sono responsabili della degradazione delle amine biogene. La loro inibizione procura un marcato aumento delle concentrazioni di monoammine nel terminale presinaptico rendendole prontamente disponibili per il rilascio quando i potenziali di azione raggiungono il terminale nervoso.
I primi farmaci MAO inibitori sviluppati agivano inibendo in maniera irreversibile e non selettiva ambedue gli isonenzimi procurando una marcata tossicità epatica, eccessivo accumulo di catecolamine periferiche e rischio di crisi ipertensive anche gravi. Questo rischio è amplificato dall’assunzione di formaggio (effetto formaggio) o altri cibi fermentati che, contenendo elevate quantità di tiramina, in presenza di inibizione dei MAO procurano un marcato accumulo di catecolamine. Il profilo di sicurezza e maneggevolezza di questa classe di farmaci è stato migliorato con lo sviluppo di molecole ad azione reversibile quali la fenelzina e la tranilcipromina e ancora di più con la realizzazione di farmaci ad azione reversibile e MAO-A selettiva (RIMA) come meclobemide, clorgilina, toloxatone, brofaromina. I principali effetti indesiderati di questa classe di molecole rimangono il rischio di ipertensione e di sindrome serotonergica. Queste manifestazioni avverse sono particolarmente frequenti quando gli inibitori delle MAO sono somministrati in combinazione con altri farmaci che aumentano la trasmissione catecolaminergica (per es. altri antidepressivi; decongestionanti nasali, ecc.).
ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI (TCA)
A differenza della maggior parte degli altri antidepressivi che sono classificati secondo il loro meccanismo di azione, i triciclici (TCA) sono denominati in base alla loro struttura chimica a tre anelli benzenici condensati. I TCA, a cui appartengono molecole quali l’imipramina, clorimipramina, amitriptilina, trimipramina, nortriptilina hanno un profilo farmacologico complesso caratterizzato da almeno tre azioni principali: 1) inibiscono il trasportatore della noradrenalina, serotonina e dopamina, aumentandone la disponibilità sinaptica e quindi favorendo la trasmissione catecolaminergica; 2) producono il blocco dei recettori adrenergici α1 e α2 postsinaptici; 3) antagonizzano i recettori muscarinici postsinaptici e bloccando i recettori H1 dell’istamina.
L’inibizioni della ricaptazione di noradrenalina e serotonina sono responsabili degli effetti terapeutici dei TCA, mentre l’inibizione dei recettori adrenergici α1 e α2, dei muscarinici e degli H1 sono responsabili delle classiche azioni indesiderate di questi farmaci fra le quali: ipotensione ortostatica, aumento della frequenza cardiaca, xerostomia, difficoltà di aggiustamento della visione, secchezza della cute e delle mucose, costipazione, ritenzione urinaria sedazione, disturbi cognitivi, aumento dell’appetito ed incremento del peso corporeo. I TCA, trovano indicazione anche per il trattamento di alcune forme di ansia (il che li rende utili nel trattamento di forme miste di depressione e ansia), nel dolore neuropatico ed in alcune forme di emicrania. Sono controindicati in pazienti con ipertrofia prostatica, glaucoma, patologie cardiovascolari.
INIBITORI SELETTIVI DELLA RICAPTAZIONE DELLA SEROTONINA (SSRI)
Nel 1987 la FDA approvò per la terapia della depressione la fluoxetina, primo farmaco appartenente alla classe degli SSRI. Negli anni a venire sono stati sviluppati molti altri SSRI; fra questi la sertralina, il citalopram, l’escitalopram, la paroxetina la fluvoxamina.
Gli SSRI sono fino a 1500 volte più selettivi verso il trasportatore della serotonina rispetto a quello della noradrenalina o della dopamina mentre hanno affinità trascurabile per i recettori postsinaptici adrenergici quali gli α1, α2 e β, per quelli dell’istamina H1 e per i recettori muscarinici. Alcuni SSRI hanno un’azione farmacologica diretta ma assai debole sui recettori della serotonina postsinaptica (ad es. 5-HT1A, 5-HT2A e 5-HT2C). Il potenziamento della trasmissione serotonergica prodotta da questi farmaci è dunque riconducibile all’aumento delle concentrazioni del neurotrasmettitore endogeno nello spazio sinaptico prodotto dalla inibizione della sua ricaptazione. L’assenza di legame con i recettori adrenergici, muscarinici ed istaminergici fa sì che il profilo di eventi indesiderati legati al loro uso sia decisamente inferiore a quello dei TCA. Per gli SSRI gli eventi avversi più frequentemente riportati sono: nausea e conseguente calo dell’appetito; insonnia e alterazioni a livello della sfera sessuale (disfunzione erettile, calo della libido e anorgasmia). Oltre che verso la depressione maggiore gli SSRI sono efficaci nella terapia del disturbo ossessivo compulsivo (sono farmaci di prima scelta), dell’ansia generalizzata e profilassi degli attacchi di panico. Gli SSRI sembrano avere effetti benefici anche nel trattamento dell’eiaculazione precoce, tanto che uno di essi, la depoxetina, è stato approvato dall’EMA per tale uso.
INIBITORI SELETTIVI DELLA RICAPTAZIONE DELLA SEROTONINA E NORADRENALINA (SNRI)
La venlafaxina, introdotta in terapia nella prima metà degli anni 90 fu il primo farmaco antidepressivo appartenente alla classe degli SNRI. Il suo meccanismo di azione è un po’ diverso da quello degli SSRI e dei TCA in quanto blocca selettivamente la ricaptazione di serotonina e noradrenalina (in questo ordine). Dopo l’approvazione della velnafaxina sono stati sviluppati altri SNRI, ad esempio la duloxetina ed il milnacipran (negli USA). A differenza dei TCA, gli SNRI hanno effetti minimi o nulli sui recettori adrenergici (α1, α2 e β), istaminici (H1), muscarinici, dopaminergici o postsinaptici della serotonina. Gli SNRI sembrerebbero avere una efficacia terapeutica equivalente a quella degli SSRI. La tollerabilità clinica e la prevalenza della disfunzione sessuale degli SNRI sono anch’esse paragonabili a quelle descritte per gli SSRI.
INIBITORI SELETTIVI DELLA RICAPTAZIONE DELLA NORADRENALINA (NRI)
La reboxetina, è l’unica molecola ascrivibile a questa classe. Agisce bloccando selettivamente la ricaptazione di noradrenalina aumentandone la disponibilità sinaptica. La sua efficacia antidepressiva è stata dimostrata in vari studi clinici. Tuttavia dati di metanalisi sembrerebbero dimostrare un profilo di efficacia comparabile a quello di altri antidepressivi ma una maggiore incidenza di effetti indesiderati. Fra questi: i disturbi cardiovascolari, sedazione eccessiva, difficoltà di aggiustamento della vista, alterazioni del gusto, disfunzioni sessuali, disturbi a livello dell’apparato urinario.
ANTIDEPRESSIVI CHE AGISCONO SUI RECETTORI DELLA SEROTONINA E NORADRENALINA
Si tratta di una serie di molecole caratterizzate da strutture chimiche e meccanismi di azione piuttosto diversificati, ma che condividono la capacità di modulare direttamente alcuni sottotipi dei recettori serotonergici e noradrenergici. A questo gruppo eterogeneo sono riconducibili gli antidepressivi specifici noradrenergici e serotonergici (NASSA) quali la mianserina e la mirtazapina che agiscono bloccando i recettori α2-adrenergici e 5-HT2 e 5-HT3 della serotonina. Vi sono poi il trazodone ed il nefazodone che oltre ad inibire la ricaptazione della serotonina (ma in misura minore rispetto agli SSRI) agiscono come agonisti sul recettore 5-HT1A ed antagonisti sui 5HT2A e 5HT2C ed α2-adrenergico. L’uso di questi farmaci è di norma accompagnato a sedazione. Essi trovano utilità nell’indurre o migliorare il sonno nei pazienti in cui lo stato depressivo è accompagnato da difficoltà nel dormire.
ANTIDEPRESSIVI CON MECCANISMO MULTIMODALE
Gli studi clinici hanno suggerito che, in pazienti con ridotta aderenza alla terapia, il trattamento con due antidepressivi con differenti meccanismi d’azione può risultare spesso più efficace dell’associazione con altre classi di farmaci. Infatti, combinando due molecole capaci di modulare differenti “targets” molecolari (recettori, meccanismi di trasporto, ecc.) si riesce ad ottenere una migliore aderenza alla terapia.
Il nuovo sistema di classificazione dei farmaci psicotropi proposto dalla Task Force dell’European College Neuropsychopharmacology ha di recente suggerito che la vortioxetina e il vilazidone (farmaco non commercializzato in Italia) sono due antidepressivi con meccanismo d’azione multimodale in quanto capaci di combinare l’inibizione del SERT (trasportatore della serotonina) con un’azione differenziale su differenti sottotipi di recettori serotonergici. La vortioxetina inibisce con un legame ad alta affinità il SERT, agisce come agonista parziale sui recettori 5-HT1A e 5-HT1B e come agonista sui recettori 5-HT3, 5-HT1D e 5-HT7.
Di particolare rilevanza clinica risultano essere a) il blocco del SERT per l’azione antidepressiva e ansiolitica; b) l’azione da agonista parziale sui recettori presinaptici 5-HT1A in quanto conferisce alla vortioxetina la capacità di ridurre la latenza dell’azione antidepressiva e ansiolitica; c) il blocco dei recettori 5-HT3 a livello della corteccia prefrontale (PFC) in quanto si traduce in un significativo miglioramento delle funzioni cognitive. Nella PFC i recettori 5-HT3 sono localizzati sui dendriti di interneuroni GABAergici i quali esercitano un’azione inibitoria sui neuroni piramidali glutamatergici che a loro volta sono eccitatori sui neuroni dopaminergici (DA), noradrenergici (NA) e colinergici (Ach) della PFC. Il blocco dei 5-HT3 da parte della vortioxetina riduce l’azione inibitoria del GABA sui neuroni piramidali che a loro volta possono attivare i neuroni monoaminergici e liberare più DA, NA e Ach nella PFC. Questa peculiare azione sull’attività dei neuroni piramidali glutamatergici si traduce in un miglioramento delle funzioni esecutive in genere significativamente ridotte nei depressi.
ANTIDEPRESSIVI AD AZIONE PREVALENTEMENTE DOPAMINERGICA
A questa classe di molecole appartengono il bupropione che agisce come inibitore preferenziale della ricaptazione della dopamine e la amisulpiride. Quest’ultima è di fatto un antipsicotico che se utilizzato a basse dosi, agendo come antagonista sui recettori D2 presinaptici (autorecettori), produce un aumento della trasmissione di questa catecolamina.
ANTIDEPRESSIVI REGOLATORI DEI BIORITMI
Molto spesso la depressione è accompagnata da anomalie dei ritmi circadiani e delle variabili fisiologiche (sonno, ritmi ormonali, temperatura corporea). Queste alterazioni contribuiscono in maniera importante al deterioramento dello stato fisico e psichico del paziente depresso. Allo scopo di risincronizzare i ritmi biologici recentemente è stata introdotta in terapia la agomelatina, una molecola capace di stimolare i recettori della melatonina MT1 ed MT2 e di antagonizzare i 5-HT2C. In virtù della sua azione sul sistema della melatonina la agomelatina è in grado di migliorare il sonno del paziente depresso senza che insorgano fenomeni di sedazione diurna.
CONSIDERAZIONI GENERALI
Gli antidepressivi sono farmaci di indubbia efficacia e la scelta del principio attivo con cui iniziare la terapia è spesso legata alla volontà di minimizzare gli effetti indesiderati e le reazioni avverse che possono accompagnare il loro uso. I benefici terapeutici degli antidepressivi iniziano a vedersi dopo tre o quattro settimane di terapia, mentre di norma gli effetti indesiderati si presentano prima. Ciò impatta negativamente sulla compliance del paziente che, sperimentando gli effetti indesiderati in assenza di miglioramento dei sintomi depressivi potrebbe abbandonare il trattamento nelle prime settimane di terapia. In virtù di queste considerazioni la prima scelta di norma ricade sugli SSRI, SNRI o su alcuni atipici. I triciclici e i MAO inibitori pur essendo di indubbia efficacia tendenzialmente vengono impiegati in seconda battuta quando i primi risultano inefficaci. Nella depressione refrattaria la somministrazione di più farmaci è possibile ma non è razionale combinare molecole appartenenti alla stessa classe. La combinazione con MAO inibitori espone al rischio di crisi ipertensive. La terapia farmacologica risulta più efficace se accompagnata da supporto psicoterapeutico, e se protratta per periodi sufficientemente lunghi (una sua interruzione prematura espone al rischio di recidive). Infine, c’è da considerare che l’appropriatezza del dosaggio è una determinante fondamentale per il successo della terapia.
- Hillhouse TM, Porter JH. Exp Clin Psychopharmacol 2015. | Nemeroff CB, Owens MJ. Nat Neurosci 2002. | Cipriani A et al., Lancet 2009. | Gelenberg AJ, et al., American Psychiatric Association 2010.