Depressione e Ansia
Alessandro Rossi, Dalila Talevi
Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche (DISCAB), Università degli Studi dell’Aquila
EPIDEMIOLOGIA CLINICA
Depressione e ansia sono due disturbi molto comuni e rappresentano le categorie nosografiche psichiatriche più frequentemente diagnosticate. Appaiono tra loro inestricabilmente connesse sia nella pratica clinica specialista psichiatrica che non specialistica. Si sente comunemente parlare di “depressione ansiosa” o di “sindrome ansioso-depressiva”, ma qual è realmente la relazione tra queste due condizioni psicopatologiche?
Per provare a dare una risposta a questa domanda partiamo da alcuni dati della letteratura: 350 milioni di persone nel mondo soffrono di depressione e 265 milioni soffrono d’ansia, con una prevalenza calcolata sull’intera popolazione rispettivamente pari al 4,4% e al 3,6%. Tali dati variano ampiamente nei diversi paesi, soprattutto in dipendenza del livello socioeconomico: ansia e depressione sono più frequenti nei paesi ad alto reddito rispetto a quelli in via di sviluppo e il rischio di manifestare un disturbo ansioso o depressivo è minore nei paesi orientali e maggiore nei paesi in guerra. Come la depressione, anche i disturbi ansiosi colpiscono prevalentemente le donne (4,6% vs 3,6%), e i giovani (WHO, 2017; Kessler RC, Bromet EJ, Rev Public Health 2013; Baxter AJ et al., Psychol Med 2013). La comorbidità tra ansia e depressione è assai frequente, e può verificarsi a qualunque età, dall’infanzia all’età adulta (Moller HJ et al., Eur Arch Psychiatry Clin Neurosci 2016): diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che oltre il 50% dei pazienti con un disturbo depressivo nel corso della vita sviluppa un disturbo ansioso, soprattutto Disturbo d’ansia generalizzata e Disturbo di panico; l’85% dei pazienti depressi manifesta sintomi ansiosi, quali stato d’allerta, attacchi di panico, ansia libera o somatizzata e fobie. Il 90% dei soggetti con un disturbo d’ansia presenta in comorbidità sintomi depressivi o un disturbo depressivo maggiore (Lenze EJ et al., Am J Psychiatry 2000 May; Gorman JM, Depress Anxiety 1996-1997), con un rischio nel corso della vita tra il 50% e il 65% nei pazienti con un Disturbo di panico, tra l’8% e il 39% nei pazienti con un Disturbo d’ansia generalizzata e tra il 34% e il 70% nei pazienti con Fobia sociale (Figura 1).

Nel 31% dei casi il disturbo ansioso precede l’episodio depressivo, con un esordio tra uno e dieci anni prima (17,6% Fobia sociale, 7,8% Fobia, 6,7% Disturbo d’ansia generalizzata, 3,1% Disturbo di panico), rappresentando il più forte predittore di un disturbo depressivo secondario (Kessler RC et al., Br J Psychiatry 1996).
Questi dati rendono ragione del notevole impatto socio-economico, oltre che delle importanti conseguenze in termini di “perdita della salute” determinate da questi disturbi. È stato stimato che attualmente la depressione è la quarta causa di disabilità nel mondo; secondo le proiezioni salirà al secondo posto nel 2020 e al primo nel 2030. I disturbi ansiosi rappresentano la sesta causa globale di perdita non fatale della salute (non-fatal health loss) e compare nella classifica delle dieci cause di YLD (years of life lived with disability; lo YLD è calcolato moltiplicando la prevalenza di una malattia o di una lesione e le sue principali conseguenze disabilitanti per il suo livello di gravità ponderato). Ansia e depressione sono ancor più disabilitanti quando si manifestano contemporaneamente. La prognosi, e il relativo impatto sul funzionamento globale, sembrano peggiorare nei casi in cui vi è comorbidità; la sovrapposizione di sintomi ansiosi, o di un disturbo ansioso, accelera, peggiora, ed allunga il decorso dell’episodio depressivo (Menza M et al., J Clin Psychiatry 2003), determinando: a) una maggior severità dei sintomi depressivi, come dimostrato dai risultati dei test psicometrici quali la Hamilton Rating Scale for Depression (HAM-D), la Beck Depression Inventory (BDI); b) una maggior durata dell’episodio con aumentato rischio di cronicità del disturbo; c) un maggior rischio suicidario; d) un maggior abuso di alcool o sostanze stupefacenti; e) un minor funzionamento lavorativo e sociale; f) una minor risposta ai trattamenti farmacologici a breve e lungo termine; g) maggior accesso ai servizi sanitari (Tiller JWG, MJA 2012). I sintomi ansiosi inoltre permangono frequentemente come sintomi residui dell’episodio depressivo (39,9% dei casi; Cuffel BJ et al., J Clin Psychiatry 2003), esitando in una prognosi peggiore.
Non vanno inoltre dimenticati gli effetti somatici dell’ansia e della depressione: queste due condizioni alterano infatti i principali sistemi regolatori del nostro corpo, quali il sistema ormonale, endocrino, immunitario, determinando sintomi metabolici, cardiovascolari, somatosensoriali/emotivi, cognitivi, disreattività neuronale e immunitaria attraverso l’attività di citochine, cortisolo, ACTH, neurotrasmettitori ed altre sostanze. Ansia e depressione rappresentano fattori predittivi per l’insorgenza di patologie organiche croniche e si presentano spesso in comorbidità con esse (es. malattie cardiovascolari, autoimmuni, sindromi polmonari ostruttive, infezioni, dolore cronico, insulino-resistenza, malattie infiammatorie croniche intestinali e cancro), peggiorandone il decorso e aumentando la mortalità.
È verosimile che la relazione tra ansia, depressione ed alterazioni psicobiologiche sia bidirezionale o ancora più complessa.
ENTITÀ SEPARATE O CONTINUUM?
Secondo la semeiotica psichiatrica, per umore si intende una disposizione emotiva globale e unitaria con cui il mondo viene percepito, che comprende diversi fenomeni quali il sentimento, l’affetto, l’emozione, il temperamento e il carattere; secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), è “un’atmosfera emotiva” pervasiva e durevole. La depressione del tono dell’umore può rappresentare una reazione fisiologica a determinati stimoli ambientali o a specifici eventi, come la tristezza, il blues e il lutto, o rappresentare una disposizione temperamentale di fondo. Diventa invece una condizione patologica quando le alterazioni qualitative, oltre che quantitative, dei sintomi sono tali da determinare riduzione del funzionamento e un’interferenza all’adattamento sociale.
Sentimenti ed emozioni rappresentano stati affettivi più fluttuanti del “clima emozionale”. L’ansia viene collocata all’interno delle emozioni, cioè reazioni affettive ad insorgenza improvvisa a stimoli ambientali, più intense ma meno durevoli dei sentimenti. Rappresenta una risposta fisiologica di fronte a pericoli interni od esterni, predisponendo all’”attacco” o alla “fuga”, quando mantiene le caratteristiche di comprensibilità, transitorietà e di funzione adattiva; è considerata patologica quando presenta una reattività incomprensibile, se perdura nel tempo oltre lo stimolo ansiogeno e quando determina una compromissione delle performance del soggetto.
Tipicamente, sia nell’ansia che nella depressione, sia in condizioni di normalità che patologiche, esiste in associazione all’alterazione affettiva un corteo sintomatologico afferente alla sfera cognitiva e somato-vegetativa: nell’ansia sono tipici i sintomi cardiaci, gastrointestinali, respiratori, urogenitali, neurologici, l’insonnia e deficit cognitivi quali ad esempio difficoltà d’attenzione, di concentrazione e memoria; nella depressione, similmente, si manifestano riduzione della libido, dell’appetito, insonnia, quadri dolorosi e disfunzionali (ad esempio al rachide, cefalea, disturbi gastrointestinali), astenia e facile faticabilità, e compromissione delle funzioni cognitive di attenzione, concentrazione e memoria (insieme alle idee prevalenti tipiche). Come è facilmente osservabile, esiste un’ampia sovrapposizione sintomatologica tra le due condizioni, riassunta nella Figura 2.
Nella maggior parte dei casi, i pazienti afferenti agli studi di medicina generale che soffrono di disturbi ansiosi e/o depressivi riferiscono lamentele di tipo somatico piuttosto che sintomi psichici, il che può mascherare la presenza di un disturbo affettivo, inclusa la sindrome ansioso-depressiva.
Evidenze neurobiologiche e fenomenologiche sostengono che la depressione e l’ansia potrebbero rappresentare differenti manifestazioni di una vulnerabilità simile, collegata ad un comune “fattore stressante” (Das-Munshi J et al., Br J Psychiatry 2008). Gli studi genetici hanno dimostrato una ereditabilità della depressione pari al 37% e una ereditabilità dei disturbi d’ansia pari al 30%; gli studi sulle famiglie, sui gemelli e sui figli adottivi hanno dimostrato che tale ereditabilità non è imputabile ad un solo gene, e che la depressione e l’ansia sono patologie con caratteristiche genetiche complesse. Tra i geni studiati rivestono particolare importanza nella depressione il trasportatore della serotonina (5-HTT), il gene per la triptofano idrossilasi (TPH) e il gene per il BDNF. È interessante notare che negli studi scientifici i topi knockout per il 5-HTT mostravano, oltre a comportamenti depressivi, anche uno stato d’ansia eccessiva (Belmaker RH, Agam G, N Engl J Med 2008). Kendler e colleghi nel 1992 hanno postulato la teoria della corrispondenza genetica del disturbo misto ansioso depressivo, fornendo evidenze sulla medesima origine genetica dell’ansia e della depressione per fattori genetici condivisi espressi nei pazienti vulnerabili (Kendler KS et al., Arch Gen Psychiatry 1992).
È stata osservata, in prospettiva longitudinale, la possibile evoluzione da un disturbo d’ansia ad un disturbo depressivo e viceversa (Rhebergen D et al., Acta Psychiatr Scand 2011). È stato quindi suggerito che le due condizioni possano essere gli estremi di un continuum (Nutt DJ, J Clin Psychiatry 1999) con una diatesi condivisa, rappresentata da un “effetto negativo” non specifico. Osservare che le più recenti classi di antidepressivi fossero efficaci nei disturbi ansiosi ha rappresentato una scoperta importante a supporto di queste ipotesi, fornendo un’ulteriore evidenza a sostegno delle precedenti interpretazioni dei sintomi psichiatrici come manifestazione di specifiche variazioni neurochimiche indipendenti alle diagnosi cliniche e del concetto dei sintomi target di Freyhan, secondo il quale i farmaci psicotropi agiscono sui sintomi e non sui disturbi. Questo è particolarmente vero per gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) la cui efficacia nei disturbi ansiosi e depressivi è stata ricondotta alla loro azione agonistica sul sottotipo del recettore della serotonina-1A (5-HT1A): la differenza tra il loro effetto antidepressivo e ansiolitico può dipendere dalla loro azione su recettori 5-HT1A pre-sinaptici (ansiolitici) o post-sinaptici (antidepressivi). Ricerche recenti sull’attività della corteccia cerebrale (pattern di inibizione e attivazione) nelle aree ad alta densità di recettori serotoninergici, sono a supporto della teoria del continuum, fornendo un modello biologico.
Gli studi epidemiologici hanno dimostrato che circa la metà dei pazienti affetti da disturbo misto ansioso depressivo (MADD) secondo i criteri ICD-10 (con sintomi sottosoglia che non soddisfano pienamente i criteri per disturbo d’ansia o depressivo) sviluppano entro un anno un disturbo psichiatrico “pieno”. È stato quindi suggerito da alcuni autori che il MADD possa costituire uno stadio prodromico di un altro disturbo psichiatrico, e dovrebbe essere quindi classificato in base a questo disturbo e non come un’entità diagnostica indipendente (Batelaan NM et al., J Nerv Ment Dis 2012).
DAI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE ALLA COTIMIA
d oggi non esiste in ambito scientifico un’opinione univoca rispetto al costrutto di sindrome ansioso-depressiva e alla sua validità come entità nosografica a se stante. Certamente la presenza di molte definizioni, diverse tra loro, ha complicato la possibilità di inquadrare correttamente questa diagnosi, conducendo da un lato ad una confusione clinica e dall’altro a risultati incongruenti in letteratura. Infatti, nonostante la mole di studi, ad oggi non sono stati stabiliti criteri uniformi che la definiscano. Una recente revisione di letteratura (Ionescu DF et al., CNS Spec 2013) ha confrontato le diverse definizioni e classificazioni del disturbo utilizzando i criteri DSM, criteri ICD, approccio dimensionale e sindromico in relazione ai 5 domini di Feighner richiesti per stabilire la validità diagnostica nella malattia psichiatrica. Gli autori hanno concluso che la diagnosi dimensionale rappresenta probabilmente l’approccio migliore per distinguere la sindrome ansioso depressiva dalle altre forme di disturbo depressivo e d’ansia, identificando un quadro clinico di maggior gravità rispetto a quello delineato da altri criteri diagnostici proposti in classificazione ufficiali.
Dalla nascita della nosografia psichiatrica, alla fine del XIX secolo, fino agli anni ’70 del secolo scorso, l’ansia e la depressione erano ampiamente accettate dalla comunità psichiatrica non psicoanalitica come diverse manifestazioni di un disturbo dello spettro affettivo. Di fatti, le prime due edizioni del DSM (APA, 2013), pubblicate rispettivamente nel 1952 e nel 1968, inserivano questi due disturbi all’interno dello stesso capitolo (nei “disturbi psiconevrotici” nel DSM I, successivamente chiamato “nevrosi” nel DSM II). La nascita della psicofarmacologia a partire dagli anni ’50 ha portato allo sviluppo di farmaci con specifici effetti antidepressivi (es. gli antidepressivi triciclici) e ansiolitici (es. le benzodiazepine), appoggiando di fatto la separazione tra depressione ed ansia. Il DSM III, pubblicato nel 1980, rappresentò una forte rottura con il passato, distinguendo la categoria dei “disturbi affettivi” dai “disturbi ansiosi”. A contributo di questa storica divisione vi fu la presenza di due distinti comitati di consultazione deputati alla stesura delle relative sezioni. Contemporaneamente al DSM, dal 1948 ad oggi si sono succedute diverse versioni della Classificazione Internazionale delle malattie (ICD, WHO 2007): nel 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha approvato l’ICD-10 che, a differenza del suo predecessore ICD-9, pubblicato nel 1978, includeva il disturbo misto ansioso-depressivo nella sua sezione sui disturbi d’ansia. Secondo i criteri ICD, la diagnosi di disturbo misto ansioso-depressivo può essere posta quando i sintomi dell’ansia e della depressione sono entrambi presenti, ma né gli uni né gli altri sono chiaramente predominanti, né così accentuati da giustificare una diagnosi se considerati separatamente. Quando sia la sindrome depressiva che quella ansiosa sono tanto gravi da giustificare una diagnosi individuale andrebbe posta diagnosi di entrambi i disturbi e questa categoria non dovrebbe essere usata. Il DSM-IV, pubblicato nel 1994, sulla scia del crescente interesse della letteratura o forse in risposta all’ICD, inseriva la diagnosi di disturbo ansioso-depressivo misto nell’appendice di ricerca, diagnosi poi eliminata nel successivo DSM-5 (2013), poiché valutata come non sufficientemente affidabile. Allo stato attuale, il DSM-5 permette di aggiungere la specificazione “con ansia” a qualunque tipologia di disturbo depressivo. I pazienti che presentano sintomi ansiosi e depressivi in comorbidità, subsindromici, ugualmente importanti, possono essere diagnosticati con un “Disturbo depressivo con altra specificazione con ansia”. Nel DSM-5 e nell’ICD-10 è classificata anche la categoria dei “Disturbi dell’adattamento”, nella quale è prevista la possibilità di una combinazione di sintomi ansiosi e depressivi.
Al di là dei sistemi nosografici ufficiali, alcuni autori hanno provato a definire disturbo ansioso-depressivo con concettualizzazioni differenti. Clark e Watson (Clark LA, Watson D, J Abnorm Psychol 1991) hanno proposto un modello tripartito dei disturbi affettivi costituito da un fattore stressante generale, iperarousal fisiologico (specifico dell’ansia) e anedonia (specifica della depressione). Moffitt e colleghi (Moffitt TE et al., Arch Gen Psychiatry 2007) hanno suggerito il termine onnicomprensivo di “distress disorders” per indicare entrambe le sindromi ansiose e depressive. Peter Tyrer nel 1989 conia il termine “cotimia” per definire una diagnosi coassiale a se stante, che prevede la copresenza di ansia (generalizzata o panicosa) e sintomi depressivi per un tempo minimo di quattro settimane, per la maggior parte del giorno tutti i giorni. L’autore suggerisce anche il termine “sindrome nevrotica generale” per indicare una sindrome costituita da un core di elementi nevrotici, quali sindromi ansiose, depressive e tratti di personalità passivo-aggressivi o anancastici, e invita la comunità scientifica a perfezionare il concetto di comorbidità, poiché le elevate % nella clinica psichiatrica non rappresenterebbero nient’altro che la dimostrazione del fallimento dei sistemi di classificazione. Forte sostenitore della validità e utilità clinica della diagnosi di cotimia, poiché provata da evidenze genetiche, neurobiologiche, epidemiologiche, da studi farmacologici e di “esito” e caratterizzata da una prognosi significativamente peggiore rispetto alle diagnosi considerate separatamente, Tyrer afferma provocatoriamente che le motivazioni a favore della separazione dei diversi disturbi nevrotici sono da ricercare unicamente negli interessi economici dell’industria farmaceutica e dei ricercatori (Tyrer P et al., J Pers Disord 2003), ritenendo inconsistenti le motivazioni fornite dal mondo scientifico (Tyrer P, Br J Psychiatry 2001). Lo stesso autore, insieme a Shorter (Shorter E, Tyrer P, BMJ 2003) afferma come l’inadeguata separazione di depressione e ansia abbia condotto ad un rallentamento nella scoperta di nuovi trattamenti farmacologici efficaci, dimostrando una relazione inversa tra il numero di nuove diagnosi e il numero di nuovi farmaci in commercio dal 1980. A detta degli autori, tale situazione si è verificata per l’impossibilità di sviluppare farmaci per patologie “naturali”, poiché la FDA accetta solo trattamenti farmacologici mirati per le categorie diagnostiche indicate nel DSM, che tuttavia sarebbero artefatti.
Allo stato attuale, i farmaci disponibili maggiormente efficaci nella sindrome ansioso-depressiva sono gli antidepressivi a doppia azione serotoninergica e noradrenergica, appartenenti alla classe degli SNRI, quali ad esempio duloxetina e venlafaxina. Si ipotizza che siano efficaci dei farmaci ad esclusiva azione serotoninergica per via dell’importante coinvolgimento dei sistemi noradrenergici nella genesi dei sintomi ansiosi.
CONCLUSIONE
Nonostante la natura e la copresenza di sintomi depressivi associati a quelli ansiosi sia ampiamente riconosciuto dalla psichiatria clinica, le revisioni diagnostiche degli ultimi decenni supportano la necessità di raffinare ulteriormente l’indagine clinica che mira a identificare quadri sindromici in maniera sempre più valida ed attendibile.
L’identificazione di un disturbo ansioso-depressivo è giustificato ed utile nella pratica clinica e dovrà costituire oggetto di comunicazione nelle varie discipline mediche anche non psichiatriche.