Dolore neuropatico centrale nel paziente con sclerosi multipla
Diego Centonze
Università Tor Vergata, Roma & IRCCS Neuromed, Pozzilli (IS)
DEFINIZIONE, PREVALENZA E CAUSE DEL DOLORE NEI PAZIENTI CON SCLEROSI MULTIPLA
Nei pazienti con sclerosi multipla (SM), la prevalenza del dolore oscilla tra il 30 e l’85%, a seconda della definizione utilizzata per individuare tale sintomo e della specifica modalità della sua rilevazione. Nei pazienti con SM, il dolore interferisce molto significativamente con le comuni attività della vita quotidiana e può essere di diverso tipo: (1) dolore disestesico delle estremità, (2) segno di Lhermitte, (3) dolore associato alla neurite ottica e alla nevralgia trigeminale, (4) dolore associato al trattamento con farmaci immunomodulanti quali l’interferone beta, (5) spasmi tonici dolorosi, (6) mal di schiena, e (7) cefalea (Bagnato F et al., Expert Opin Pharmacother, 2011).
Il dolore disestesico delle estremità, il segno di Lhermitte e la nevralgia trigeminale rientrano nella definizione di dolore neuropatico centrale continuo o intermittente. Gli spasmi tonici dolorosi, il mal di schiena e il dolore associato alla sindrome simil-influenzale indotta dal trattamento con interferone beta sono più correttamente classificati come dolore muscoloscheletrico. La cefalea è classificabile invece come dolore neuropatico misto o non-neuropatico.
La disestesia dolorosa delle estremità è la più frequente condizione dolorosa nei pazienti con SM, verificandosi, almeno una volta nel corso della vita, in circa il 23% dei pazienti. Si presenta come dolore continuo, bilaterale e urente, generalmente esacerbato durante la notte. Nella nostra esperienza, i pazienti con disestesie dolorose degli arti inferiori che si esacerbano con il riposo notturno possono beneficiare dal trattamento con farmaci dopaminergici, quali quelli comunemente prescritti per il trattamento della sindrome delle gambe senza riposo (Centonze D et al., osservazione non pubblicata). Tale osservazione solleva il sospetto che esista una possibile sovrapposizione tra la fisiopatologia del dolore disestesico delle estremità e la sindrome delle gambe senza riposo, almeno nei pazienti con SM.
Si stima che la prevalenza della nevralgia trigeminale sia 20 volte superiore nei pazienti con SM rispetto alla popolazione generale. Nei pazienti con SM, tale tipo di dolore è stato classicamente associato alla presenza di placche di demielinizzazione nel tronco dell’encefalo e può essere in alcuni casi il sintomo di presentazione della malattia. Clinicamente, la nevralgia trigeminale associata alla SM è indistinguibile dalla nevralgia trigeminale idiopatica, anche se è vero che il suo trattamento farmacologico è in genere meno soddisfacente.
Gli spasmi dolorosi tonici rappresentano la terza più frequente forma di dolore associato alla SM. Le lesioni associate agli spasmi dolorosi tonici sono state osservate nei gangli della base, nella capsula interna, nel midollo allungato o nei peduncoli cerebrali. Tuttavia, si ritiene comunemente che gli spasmi tonici dolorosi si verifichino come effetto della diffusione efaptica della scarica, in corrispondenza di lesioni che lascino demielinizzati, ma ancora funzionanti, gli assoni.
Al contrario, il dolore associato alla sindrome simil-influenzale indotta dal trattamento con interferone beta si ritiene che origini dalla azione di specifiche citochine infiammatorie mobilizzate dal trattamento immunomodulante, come suggerito da un recente studio italiano che ha evidenziato una correlazione tra i livelli circolanti di interleuchina 6 (IL-6) e un suo specifico polimorfismo genetico e la severità di tale sindrome (Bertoli D et al., PloS One, 2015). Grazie alla recente introduzione di una ampia gamma di terapie immunomodulanti e immunosoppressive alternative all’interferone, la sua rilevanza clinica è oggi probabilmente meno importante rispetto al recente passato, quando rappresentava la principale causa di non-aderenza alla terapia nei pazienti con SM.
RECENTI ACQUISIZIONI SUL RUOLO DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE E DELL’NGF NEL DOLORE IN CORSO DI SCLEROSI MULTIPLA
Una complessa interazione tra citochine infiammatorie, sistema endocannabinoide e neurotrofine è considerata alla base dello sviluppo e del mantenimento di molte condizioni dolorose, anche al di fuori della SM. In base a tali premesse, il nostro gruppo di ricerca ha voluto recentemente indagare il possibile ruolo del sistema endocannabinoide nel dolore associato alla sindrome simil-influenzale da interferone. A tale scopo abbiamo studiato la possibile associazione tra la frequenza e la gravità di tale sindrome e alcune varianti genetiche note per modificare l’espressione o la funzione dei recettori CB1 o TRPV1 (entrambi fisiologicamente attivati dagli endocannabinoidi quali l’anandamide) o dell’enzima FAAH (deputato alla degradazione dell’anandamide stessa). I nostri risultati hanno suggerito per la prima volta che il canale TRPV1 esercita un ruolo importante nello sviluppo del dolore associato al trattamento con interferone beta, poiché abbiamo trovato che la variante GG dell’rs222747 del gene che codifica per il canale TRPV1 si associa significativamente al dolore da sindrome simil-influenzale, consistentemente con il dato che tale variante causa un aumento dell’espressione e della funzionalità di tale canale. L’attivazione del recettore TRPV1 favorisce il rilascio di neurotrasmettitori attraverso l’aumento dei livelli intracellulari di calcio e lo stesso meccanismo è alla base dell’aumentata secrezione di citochine pro-infiammatorie in grado di esacerbare il dolore e la risposta infiammatoria. Al contrario, non abbiamo rilevato alcun particolare ruolo del polimorfismo rs324420 dell’enzima FAAH (una comune variante genetica che causa l’inattivazione dell’enzima con conseguente aumento dei livelli di anandamide) e del polimorfismo AAT trinucleotide short tandem repeat (AAT)n nel gene che codifica per il recettore CB1 (in cui un numero elevato di triplette causa una ridotta trascrizione e espressione del recettore) e la sintomatologia dolorosa lamentata dai pazienti con SM trattati con interferone beta (Buttari F et al., J Neuroimmunol, 2017).
Anche il fattore di crescita delle cellule nervose (NGF) è implicato nella patogenesi del dolore periferico e dati più recenti suggeriscono un ruolo di tale neurotrofina anche nello sviluppo del dolore neuropatico centrale. L’infusione intratecale di NGF induce infatti reazioni algogene negli animali da esperimento e la somministrazione di anticorpi anti-NGF sopprime tanto il dolore centrale che quello periferico. In base a tali premesse e in considerazione del fatto che l’espressione del recettore per l’NGF è aumentata in corrispondenza delle lesioni di SM, abbiamo recentemente voluto indagare il possibile coinvolgimento di tale neurotrofina nello sviluppo del dolore neuropatico centrale in un gruppo di pazienti con SM. I nostri risultati hanno messo in evidenza che le concentrazioni liquorali di NGF erano significativamente maggiori nei pazienti con SM che presentavano dolore neuropatico centrale, suggerendo che, anche nella SM, l’NGF possa esercitare un ruolo nello sviluppo del dolore (Monteleone F et al., J Neuroimmunol, in corso di stampa) (vedi figura).

Gli endocannabinoidi come l’anandamide (AEA) interagiscono con il recettore TRPV1 a livello dello stesso sito di legame della capsaicina. L’enzima FAAH è coinvolto nella degradazione degli endocannabinoidi. Un aumento dei livelli di NGF, dopo lesioni o durante l’infiammazione, influenza la funzione del recettore TRPV1. Il legame del NGF al suo recettore TrkA sui neuroni nocicettivi attiva la fosfolipasi C che porta alla sensibilizzazione del TRPV1. L’NGF aumenta inoltre l’espressione di TRPV1 e il suo traffico verso la membrana plasmatica. Infine NGF induce il rilascio di altri mediatori del dolore come l’istamina, le prostaglandine e l’NGF stesso dai mastociti, sensibilizzando i neuroni nocicettivi adiacenti.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO E NON FARMACOLOGICO DEL DOLORE ASSOCIATO ALLA SCLEROSI MULTIPLA
A oggi, il trattamento del dolore in corso di SM resta largamente insoddisfacente e si basa principalmente, almeno nel caso del dolore neuropatico centrale, sull’impiego di agenti antiepilettici o antidepressivi. Sulla base di alcuni dati che mostrano come anche il levetiracetam possa esercitare effetti analgesici nei modelli animali e anche nell’uomo, il nostro gruppo di ricerca ha voluto qualche anno fa studiare gli effetti di tale molecola contro il dolore neuropatico centrale nei pazienti con SM che presentavano intolleranza o insensibilità ai trattamenti più convenzionali (quali ad esempio gabapentin, carbamazepina, pregabalin, amitriptilina, duloxetina, baclofen). Nel nostro studio, il levetiracetam si è dimostrato un farmaco ben tollerato e in grado di assicurare una significativa riduzione del punteggio di intensità del dolore rispetto al placebo. Nei pazienti trattati con levetiracetam, abbiamo osservato un miglioramento della qualità di vita, come effetto della riduzione del dolore. Tale effetto era prevalente nei pazienti con più marcata intensità del dolore al momento della loro inclusione nello studio (Rossi S et al., Eur J Neurol, 2009). Al contrario, in una nostra esperienza pubblicata, il Sativex®, preparazione farmaceutica di delta-9-tetraidrocannabinolo e cannabidiolo approvata in alcuni paesi come agente di seconda linea anche per il trattamento del dolore neuropatico cronico in corso di SM, non assicurò risultati analoghi nei nostri pazienti con SM e dolore (Centonze D et al., Neurol Sci, 2009). Allo stesso modo, un altro nostro recente studio randomizzato, cross-over e controllato da placebo, non ha evidenziato alcun effetto positivo del trattamento con cetirizina (antagonista di seconda generazione dei recettori H1 per l’istamina, in grado di ridurre i livelli ematici di IL-6) nel prevenire o ridurre l’intensità della sindrome simil-influenzale indotta dal trattamento con interferone beta (Landi D et al., PloS One, 2017).
In alternativa ai farmaci, alcune metodiche di stimolazione cerebrale non invasiva, quali la stimolazione transcranica a corrente anodica diretta (tDCS) e la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS), possono risultare di qualche utilità per il trattamento del dolore nei pazienti con SM. La tDCS anodica, applicata in corrispondenza della corteccia cerebrale sensori-motoria, riduce infatti la sensazione dolorosa e aumenta la soglia dolorosa in soggetti sani e ripetute sessioni di stimolazione può ridurre il dolore di diversa origine. Sulla scorta di queste informazioni, abbiamo condotto uno studio in doppio cieco, randomizzato e controllato da stimolazione placebo per indagare gli effetti della stimolazione tDCS anodica, applicata giornalmente per 5 giorni consecutivi, in un gruppo di pazienti con SM che lamentava dolore neuropatico centrale. I nostri dati hanno messo in evidenza come tale intervento di neuromodulazione centrale possa arrecare un significativo beneficio contro il dolore nei pazienti con SM (Mori F et al., J Pain, 2010), mentre in uno studio analogo mirante a indagare i potenziali effetti analgesici della rTMS non abbiamo osservato alcun beneficio in pazienti con caratteristiche simili (Mori F and Centonze D, osservazione non pubblicata). Ne abbiamo pertanto concluso che gli effetti di neuromodulazione centrale indotti dalla tDCS sono sostanzialmente differenti da quelli indotti dalla rTMS, e che solo i primi possono essere utili per il trattamento del dolore neuropatico centrale in corso di SM. Al contrario, i maggiori effetti clinici prodotti dalla rTMS sulla spasticità (Centonze D et al., Neurology, 2007) potrebbero essere meglio sfruttati per il trattamento degli spasmi dolorosi associati a tale disturbo della motilità.
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