Depressione e sintomi dolorosi
Umberto Albert¹, Alessandro Cuomo², Giuseppe Maina¹, Andrea Fagiolini²
1. Dipartimento di Neuroscienze Rita Levi Montalcini, Università di Torino e A.O.U. San Luigi Gonzaga di Orbassano, Torino, Italia
2. Dipartimento di Medicina Molecolare e dello Sviluppo, Università degli Studi di Siena, Siena, Italia
La relazione tra depressione (variamente intesa come sindrome clinicamente rilevante – Disturbo Depressivo Maggiore o come reazione psicologica) e sintomi dolorosi è complessa, ampiamente studiata in letteratura, e verosimilmente riconosce una causalità bidirezionale che prevede modelli esplicativi tra loro diversi. La presenza di sintomi dolorosi in pazienti con depressione e di depressione in soggetti con dolore cronico di varia natura è sicuramente superiore rispetto a quanto atteso.
Uno dei modelli esplicativi maggiormente indagati finora, soprattutto in ambito psicologico-clinico, è stato quello della depressione come reazione psicologica conseguente alla cronicità della condizione dolorosa (in tal caso esordisce la condizione dolorosa in assenza di sintomi depressivi, la cronicità della condizione dolorosa comporterebbe lo sviluppo temporalmente successivo di una condizione depressiva derivante dalle limitazioni funzionali correlate alla sintomatologia dolorosa); minore attenzione ha ricevuto invece lo studio e il rilievo di sintomi dolorosi all’interno di una condizione depressiva. In tal caso si può ipotizzare che la sintomatologia dolorosa rappresenti una delle componenti/dimensioni psicopatologiche della condizione clinica depressiva, per cui l’esordio dei sintomi affettivi propriamente detti e dolorosi è coincidente, oppure che la condizione clinica depressiva (che temporalmente esordisce prima dei sintomi dolorosi) possa variamente condizionare la trasmissione nocicettiva alterando la soglia di percezione del dolore o determinando un fenomeno infiammatorio cronico che comporta l’esordio (quindi successivo a quello della condizione depressiva) dei sintomi dolorosi (Rijavec & Grubic, Psychiatria Danubina 2012; Goesling et al., Curr Psychiatry Rep 2013; Jaracz et al., CNS Drugs 2016). Alcuni studi longitudinali hanno infatti dimostrato che la presenza di depressione predice lo sviluppo successivo di sintomi dolorosi, a supporto del modello causale o quantomeno con-causale (Leino & Magni, Pain 1993; Pinheiro et al., Arthritis Care Res 2015). Altrettanto vero è che la presenza di dolore cronico rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo successivo di depressione maggiore, il che sottolinea l’importanza di un adeguato screening sia della depressione che del dolore cronico ai fini preventivi (Kroenke et al., J Pain 2011).
Varie condizioni somatiche dolorose cosiddette funzionali (senza cioè rilievo di specifiche patologie organiche cui attribuire la comparsa della sintomatologia dolorosa) sono state studiate: tra esse la fibromialgia, la sindrome del colon irritabile, la cefalea muscolo-tensiva. Più di recente l’attenzione è stata rivolta alla presenza di sintomi somatici dolorosi non altrimenti spiegati all’interno di una condizione depressiva.
DEPRESSIONE E SINTOMI SOMATICI DOLOROSI NON ALTRIMENTI SPIEGATI (Unexplained Painful Physical Symptoms – UPPS).
L’associazione tra depressione e disturbi somatici dolorosi non è fenomeno raro, anche se riceve poca attenzione da parte dei clinici. I tassi di prevalenza di sintomi dolorosi in popolazioni cliniche di soggetti con condizioni depressive variano enormemente (15-100%) in relazione al setting di indagine (pazienti afferenti alla medicina di base, pazienti psichiatrici ambulatoriali o ricoverati), alla gravità della condizione clinica e alla variabilità degli strumenti impiegati per la rilevazione e la diagnosi della condizione depressiva e della sintomatologia dolorosa (Bair et al., Arch Intern Med 2003).
Studi condotti su ampie casistiche di popolazione rilevano una prevalenza di UPPS del 50% tra i soggetti con depressione maggiore in Europa (doppia rispetto a quanto rilevato in soggetti senza depressione maggiore) (Demyttaenere et al., J Affect Disord 2006), del 59,1% in uno studio multicentrico condotto in Spagna su pazienti con depressione maggiore e distimia (Aguera-Ortiz et al., J Affect Disord 2011), e del 77% tra pazienti dello studio Sequenced Treatment Alternatives to Relieve Depression (STAR*D) negli Stati Uniti (Husain et al., J Psychosom Res 2007). Il fenomeno appare quindi rilevante clinicamente, al punto che vari autori considerano la sintomatologia dolorosa (non compresa tra i criteri diagnostici per il DDM) come una delle componenti essenziali della depressione.
Una serie di caratteristiche socio-demografiche e cliniche sono risultate associate con una maggior prevalenza di sintomi dolorosi in soggetti con Disturbo Depressivo Maggiore (DDM): il sesso femminile, un basso livello scolastico, la condizione di disoccupazione, l’età avanzata (Jaracz et al., CNS Drugs 2016). Tra le caratteristiche cliniche, risultano associate alla presenza di sintomi dolorosi la maggiore gravità dei sintomi depressivi in generale, la presenza di altri sintomi specifici quali le alterazioni dell’appetito e del peso, la fatica fisica e la perdita di energia, i sintomi cognitivi quali difficoltà di concentrazione e l’indecisione (Ohayon & Schatzberg, Arch Gen Psychiatry 2003), la presenza di sintomi ansiosi correlati (Leuchter et al., Psychol Med 2010), il numero di condizioni mediche generali in comorbidità, un maggior BMI, e la gravità dei sintomi somatici riferibili a condizioni mediche generali concomitanti (Jaracz et al., CNS Drugs 2016).
Per quanto concerne la localizzazione del dolore, in genere è varia e molteplice; in media, pazienti con depressione maggiore e sintomi dolorosi riferiscono dolore in 3,7 localizzazioni diverse (Aguera-Ortiz et al., J Affect Disord 2011).
Il decorso dei sintomi dolorosi segue nella maggior parte dei casi il decorso della sintomatologia core depressiva; tuttavia la maggior parte degli studi al riguardo indica che la risposta in termini di riduzione del dolore (spesso misurata con scale analogiche di valutazione soggettiva del dolore) è inferiore come effect size rispetto alla risposta dei sintomi core della depressione (Demyttaenere et al., J Affect Disord 2010). Inoltre una proporzione stimabile intorno al 30% dei pazienti presenta sintomatologia dolorosa come sintomo residuo dopo la remissione della sintomatologia affettiva, in misura tale da interferire in qualche modo con il funzionamento del paziente; tale sintomatologia residua, come per il resto ogni sintomo affettivo residuo, può costituire un fattore di rischio per le ricadute/ricorrenze affettive (Demyttaenere et al., J Affect Disord 2010).
La presenza di sintomi somatici dolorosi in una condizione clinica depressiva comporta una serie di complicanze; innanzitutto occorre rilevare che i sintomi dolorosi possono mascherare una condizione depressiva, in modo tale da rendere meno probabile la ricerca di aiuto da parte del paziente (se si tengono presenti inoltre le condizioni socio-demografiche e cliniche precedentemente segnalate associate alla maggior prevalenza di sintomi dolorosi risulterà quindi chiaro che tali pazienti difficilmente si recheranno presso un servizio di psichiatria e tenderanno a rivolgersi prevalentemente al medico di medicina generale). Se arrivano all’attenzione del medico di medicina generale, inoltre, è più probabile che l’attenzione clinica venga focalizzata sulla ricerca di cause organiche piuttosto che sul riconoscimento e la corretta diagnosi di una condizione depressiva clinicamente rilevante (Demyttaenere et al., J Affect Disord 2006; Jaracz et al., CNS Drugs 2016). Si stima che circa il 50% delle condizioni depressive non vengono correttamente diagnosticate da parte del MMG (Mitchell et al., Lancet 2009), e i sintomi dolorosi sono tra quelli che più frequentemente conducono ad una misdiagnosi. Il MMG deve ricordare che fino al 69% dei pazienti affetti da condizione depressiva che si rivolgono in un setting di primary care riferisce esclusivamente sintomi somatici (Simon et al. N Engl J Med 1999).
I pazienti con DDM e sintomi dolorosi presentano tassi di risposta e remissione inferiori rispetto a coloro che non riferiscono sintomi dolorosi, e questo indipendentemente dalla remissione dei sintomi dolorosi stessi; i tempi necessari per il raggiungimento della remissione, inoltre, sono più dilatati (Fishbain et al., Pain Med 2014; Fuller-Thomson et al., Soc Psychiatry Psychiatr Epidemiol 2014; Jaracz et al., CNS Drugs 2016). Questo dato è consistente in letteratura ed è verosimile quindi che gli strumenti farmacologici a nostra disposizione non siano sufficientemente incisivi in questo sottotipo di depressione. La persistenza, inoltre, dei sintomi dolorosi dopo remissione della sintomatologia affettiva, come precedentemente ricordato, è fenomeno frequente e spesso associata a ricadute/ricorrenze affettive (Gerrits et al., BMC Psychiatry 2014); occorre quindi trattare con decisione ed incisività tutto lo spettro della sintomatologia presente e riferita dal paziente.
Un aspetto clinicamente rilevante è costituito dal riscontro di tassi di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio maggiori in pazienti con DDM e concomitante sintomatologia dolorosa non altrimenti spiegata; sia studi epidemiologici condotti nella popolazione generale che studi clinici hanno confermato l’associazione tra la presenza di sintomatologia dolorosa non attribuibile a condizioni mediche specifiche e ideazione/comportamenti suicidari (Ilgen et al., Gen Hosp Psychiatry 2008; Braden et al., J Pain 2008). Quando inoltre la sintomatologia dolorosa accompagna una condizione clinica depressiva, i tassi di suicidio risultano superiori rispetto a quelli riscontrati nel DDM senza sintomi dolorosi (Bahk et al., Psychiatry Res 2011). Ne risulta l’indicazione clinica di indagare la presenza di sintomi dolorosi in pazienti che accedono ai servizi psichiatrici e presentano una condizione depressiva; tra gli altri predittori di comportamenti suicidari, quindi, la ricerca di sintomi dolorosi concomitanti può contribuire a prevenire tali comportamenti suicidari.
Infine, molti studi di economia sanitaria hanno rilevato come enorme sia l’impatto della copresenza di sintomi dolorosi e DDM, in termini di utilizzo di risorse sanitarie, costi associati all’assistenza di tali pazienti, e giorni lavorativi persi (assenteismo) o giorni lavorativi con funzionamento compromesso (fenomeno del cosiddetto presenteeism); si stima che i costi dell’assistenza di tali pazienti siano in media 2,33 volte superiori rispetto a quelli dei pazienti depressi senza sintomatologia dolorosa concomitante (Gameroff & Olfson, J Clin Psychiatry 2006; Greenberg et al., J Clin Psychiatry 2003).
Da un punto di vista patofisiologico, le evidenze di letteratura sono contrastanti ed è verosimile che molteplici fattori concorrano nel determinare l’associazione frequente tra UPPS e depressione. Gli studi sperimentali di induzione del dolore con stimoli prevalentemente esterocettivi dimostrano addirittura una aumentata soglia di percezione del dolore in soggetti depressi rispetto ai controlli sani; è verosimile che invece la sensibilità enterocettiva sia alterata nella depressione, a seguito di una diminuita trasmissione serotoninergica e noradrenergica a livello delle vie discendenti di controllo (inibitorio) delle sinapsi che controllano la trasmissione del dolore cronico e/o di origine viscerale (a livello del grigio periacqueduttale) e/o per una abnorme attivazione delle citochine proinfiammatorie e della sostanza P (Goesling et al., Curr Psychiatry Rep 2013; Jaracz et al., CNS Drugs 2016; Thompson et al., J Pain 2016; Benatti et al., CNS Neurol Disord Drug Targets 2016). Più di recente è stato indagato il ruolo del sistema degli endocannabinoidi nel determinare l’associazione tra dolore cronico e DDM (Fitzgibbon et al., Int J Neuropsychopharmacol 2016). Possono inoltre contribuire fenomeni di attenzione selettiva rivolta a stimoli enterocettivi, determinata da caratteristiche proprie di alcuni soggetti (predisposti quindi a sviluppare tale sintomatologia quando depressi), quali aumentata anxiety sensitivity e/o predisposizione alla alessitimia e/o con distorsioni cognitive che portano alla catastrofizzazione. L’interazione tra fattori biologici e fattori psicologici nel determinare l’origine dei sintomi dolorosi in soggetti con MDD giustifica l’approccio integrato di terapia farmacologica e terapia psicologica di comune impiego per il trattamento di tali pazienti.
In conclusione, la depressione con sintomi dolorosi non altrimenti spiegati rappresenta una condizione clinica di frequente riscontro soprattutto nel setting della medicina generale. L’eterogeneità delle condizioni depressive, tra cui rientra quindi la depressione con dolore, deve essere tenuta a mente onde permettere ai clinici di riconoscere tale condizione in presenza di dolore cronico e poter attivare al meglio gli interventi di trattamento farmacologico e psicoterapeutico più appropriati. Ulteriori ricerche devono essere condotte per evidenziare con maggiore chiarezza i meccanismi patogenetici specifici di tale sottotipo di depressione, e identificare quali interventi specifici integrati possano determinare la risoluzione di questa invalidante condizione clinica.
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