Il dolore in neurologia: aspetti clinici e valutativi
Alessandro Padovani, Salvatore Caratozzolo
Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia
C’è una percezione comune che il dolore nella malattia neurologica sia generalmente raro, ma ora è chiaro che non è questo il caso. Il dolore nei disturbi neurologici è una condizione comune e deve essere differenziato nei meccanismi fisiopatologici e nella presentazione clinica. In alcune condizioni, come le neuropatie periferiche dolorose, il dolore può essere associato in modo affidabile alla neuropatia, anche se all’interno di questa categoria è notevole la variazione fenotipica. In altre condizioni, come la sclerosi multipla, esiste una maggiore diversità nelle caratteristiche cliniche e nella natura fisiopatologica del dolore, riflettendo gli effetti più diffusi della malattia sul sistema nervoso, con i sintomi motori così come le lesioni sensoriali che hanno causato dolore. Le caratteristiche cliniche del dolore in condizioni neurologiche sono raramente specifiche di malattie ed è probabilmente un difetto che gli studi clinici che valutano i trattamenti si concentrano generalmente su coorti di pazienti con disturbi specifici (ad esempio nevralgia posterpetica o dolore in neuropatia diabetica) piuttosto che fenotipi caratteristici del dolore che potrebbero indicare meccanismi di generazione del dolore più comuni. Diversi tipi di dolore possono manifestarsi nello stesso disturbo (e spesso nello stesso paziente), mentre sintomi simili possono verificarsi in condizioni patologicamente diverse, come la neuropatia diabetica e la sclerosi multipla (Buonocore M., Advances in Rehabilitation, 1999).
IL DOLORE: ASPETTI GENERALI
Il dolore viene spesso definito come “un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emozionale, correlata con un danno tissutale o descritta in tali termini” (Merskey H., IASP Press, 1994). Nella definizione vi sono due elementi che appaiono imprescindibili: “l’esperienza” come ultimo atto della nocicezione, e il “danno” come primo fattore responsabile. Con il termine “danno” si sta ad indicare che il dolore ha una sua origine in una lesione del nostro corpo che, a sua volta, è in grado di generare meccanismi patogenetici (Asbury A.K., Neurology, 1984). Nella pratica clinica quotidiana moltissime malattie sono accompagnate da dolore, sia come sintomo marginale del quadro clinico, sia come elemento dominante. La mancanza di una classificazione del dolore come malattia a sé stante costituisce sicuramente un ostacolo al progredire del sapere clinico ed epidemiologico in ambito sanitario. Di fatto non esiste tutt’oggi un linguaggio condiviso e una classificazione del dolore come malattia che tenga conto della sua eziologia, della sua patogenesi ed ovviamente del quadro clinico che determina. Nella letteratura troviamo molti tentativi di classificazione del dolore in base alle discipline mediche (neurologia, reumatologia, ortopedia ecc.), alla malattia di base (neoplasia ecc.) o alla diversa sede della malattia stessa, al tessuto interessato (articolazioni, muscoli ecc.), alla durata del dolore. Di seguito riportiamo alcune delle classificazioni di uso clinico.
Dolore acuto. Si divide in fisiologico e patologico. Il dolore acuto fisiologico è sempre evocato, ovvero causato da uno stimolo che deve essere “sovra-soglia” ovvero di intensità sufficiente a generare nei nocicettori tissutali un potenziale d’azione, senza provocare un danno tissutale. La stimolazione dei recettori è transitoria. Ha la funzione di allerta (scopo preventivo) e genera sempre una risposta riflessa che ha lo scopo di impedire il verificarsi di un danno tissutale. Dura in genere pochi secondi ed è di intensità proporzionale alla causa che lo ha generato. Il dolore acuto patologico è invece causato da un danno tissutale che si mantiene per un tempo breve (ore o giorni). Il dolore acuto può essere spontaneo ed evocato da uno stimolo non necessariamente doloroso. Scompare con la guarigione del danno tissutale ed ha uno scopo protettivo in quanto avverte il paziente della presenza del danno e induce ad accertamenti medici. Si pensi ad una ferita, ad una ustione, ad un ascesso dentale.
Dolore cronico (sempre patologico). È un dolore che continua per giorni o settimane. Se analizziamo la letteratura scientifica troviamo infatti varie misure del tempo di persistenza del dolore. Alcuni autori parlano di tre mesi, altri di sei e altri ancora di dodici. Il termine “cronico” viene però utilizzato anche per definire il dolore da un punto di vista fisiopatologico nel senso che sottintende la presenza di meccanismi patogenetici propri in grado di mantenere il dolore nel tempo, scatenati dalla persistenza stessa del dolore. Possiamo quindi parlare di cronico quando il dolore continua nel tempo perché è causato dalla presenza di una malattia cronica (è cronica la malattia), o quando si è instaurato un meccanismo patogenetico cronico proprio del dolore o anche quando il paziente sviluppa una vera e propria “malattia” per l’instaurarsi di un quadro clinico che comprende manifestazioni patologiche che appartengono alla sfera fisica, a quella psicologica e a quella sociale (Bonezzi C., Minerva Anestesiol., 2012).
Dolore “idiopatico” (acuto o cronico). Questo termine indica quelle forme cliniche in cui non sembra esistere una causa evidente in grado di spiegare la presenza del dolore. Tra le più importanti vengono riportate la nevralgia essenziale del trigemino, la sindrome della bocca urente, la fibromialgia.
Dolore nocicettivo somatoviscerale. In cui il dolore nasce da una patologia a carico dei tessuti del corpo e dalla stimolazione dei nocicettori tissutali. Il dolore nasce dai nocicettori tissutali ed è condotto dalle vie afferenti al midollo spinale. Di fondamentale importanza è l’integrità del sistema somatosensoriale deputato alla conduzione degli impulsi nocicettivi. In genere le sindromi viscerali vengono classificate in base alla sede del viscere d’origine (dolore addominale, dolore pelvicoperineale, dolore toracico ecc.) e al viscere coinvolto. Diversamente le sindromi somatiche vengono raccolte in base al tessuto (sindromi miofasciali, sindromi articolari ecc.) o alle sedi dove il dolore è più frequente (dolore lombare, cervicale ecc). Gli studi di fisiopatologia hanno poi spostato l’attenzione sui meccanismi che sottendono a questo dolore (“nocicettivo”), sulla ipersensibilità dei nocicettori da parte di processi infiammatori e di sostanze algogene di varia natura, nonché sulla ipersensibilità dei neuroni spinali che determina un incremento dell’intensità, un allargamento del territorio in cui il dolore viene percepito e la comparsa di un segno clinico importante come l’allodinia meccanica dinamica nelle aree sane circostanti il danno.
Dolore neuropatico. Definito come “il dolore causato da una lesione o da una malattia del sistema nervoso somatosensoriale”. È scritto inoltre che il “dolore neuropatico” è un termine clinico che richiede una lesione dimostrabile o una malattia che soddisfi i criteri diagnostici neurologici. Viene introdotta per la prima volta la definizione di sistema somatosensoriale per identificare il sistema sensitivo afferente che porta le informazioni provenienti da tutto il corpo, sia dagli organi e tessuti del corpo sia dall’esterno (vista, udito e olfatto). In base alla sede della lesione o malattia, interessante la parte periferica o centrale del sistema somatosensoriale, si distingue un dolore neuropatico periferico e un dolore neuropatico centrale. La sola presenza di sintomi o segni (come il dolore evocato da uno stimolo tattile) non giustifica l’uso del termine “neuropatico”. Poiché è frequente che le indagini non siano in grado di portare ad una definizione certa di dolore neuropatico si ritiene importante il giudizio clinico per poter giungere ad una diagnosi (Portenoy R.K., FA Davis Company, 1996). Le principali sindromi cliniche neuropatiche secondo alcuni Autori (Jensen T.S., European Journal of Pharmacology, 2001) sono riportate nella Tabella 1 e sono suddivise in base alla sede della lesione neurologica nel sistema nervoso periferico, spinale ed encefalico.
VALUTAZIONE DEL DOLORE NEUROPATICO
Non sono i sintomi singoli che fanno diagnosi di dolore neuropatico, ma combinazioni di sintomi, descrittori di dolore, e reperti al letto del malato che aumentano la probabilità di trovarsi di fronte ad una condizione di dolore neuropatico. Sono stati sviluppati diversi strumenti verbali di screening basati su questi segni; essi sono semplici e facili da usare nella pratica clinica e possono allertare il medico del bisogno di un esame attento alla ricerca di dolore neuropatico. Ognuno di questi strumenti di screening usa tra 4 e 9 descrittori di dolore, 3 dei quali (sensazioni di formicolio, di fitte e di dolore urente) sono inclusi in tutti i questionari. La versione completa dello strumento di screening Leeds Assessment of Neuropathic Symptoms and Signs (LANSS) include anch’essa limitati test della sensibilità al letto del paziente, ma sono state anche sviluppate versioni più semplici per auto-compilazione da parte del paziente. Il questionario LANSS indaga la disfunzione nella trasmissione del segnale doloroso a livello del sistema nervoso (Bennett M et al., Pain 2001). Lo strumento si compone di due parti: una di intervista al paziente e l’altra di esame clinico specifico. La diagnosi del tipo di dolore determinerà un differente tipo di trattamento (Tabella 2).
Lo strumento painDETECT Questionnaire era stato originariamente sviluppato per identificare le componenti neuropatiche in pazienti con dolore lombare cronico, ma è utile anche per identificare altri tipi di dolore neuropatico (Tabella 3).
Il clinico deve valutare la causa, la gravità e la natura del dolore, nonché le sue ripercussioni sulle attività, l’umore, i fenomeni cognitivi e il sonno. La valutazione della causa del dolore acuto è diversa da quella del dolore cronico. L’anamnesi deve comprendere le seguenti informazioni sul dolore:
• Qualità (p.es., bruciore, dolore crampiforme, indolenzimento, dolore profondo, superficiale, perforante, lancinante)
• Gravità
• Localizzazione
• Irradiazione
• Durata
• Caratteristiche temporali (tra cui tipo ed entità delle fluttuazioni e frequenza delle remissioni)
• Fattori scatenanti e allevianti
Deve essere determinato il livello di funzionalità del paziente, focalizzandosi sulle attività della vita quotidiana (p.es., vestirsi, lavarsi) e lavorativa, sulle attività occupazionali, e sulle relazioni interpersonali (inclusa l’attività sessuale) (Jensen M.P., Pain 1999).
La percezione del dolore da parte del paziente può essere significativa più di quanto non lo siano i processi fisiologici intrinseci della patologia. Deve essere analizzato ciò che il dolore significa per il paziente, con grande attenzione ai problemi psicologici, depressione e ansia. Lamentare un dolore è più accettato dal punto di vista sociale rispetto a lamentare ansia o depressione, e una terapia appropriata spesso dipende dalla separazione di queste percezioni divergenti.
Intensità del dolore
L’intensità del dolore deve essere valutata prima e dopo interventi potenzialmente dolorosi. Nei pazienti in grado di parlare, l’autovalutazione rappresenta il metodo di riferimento, mentre i segni esterni di dolore o di stress (p.es., pianto, smorfie, oscillazioni del corpo) sono secondari. Per i pazienti che hanno difficoltà a comunicare e per i bambini piccoli, gli indicatori non verbali (comportamentali e, talvolta, fisiologici) possono divenire la fonte primaria di informazioni. Le misurazioni formali (alcune scale per la quantificazione del dolore in atto) comprendono le scale delle categorie verbali (p.es., leggero, medio, grave), le scale numeriche e la scala visiva analogica (Jensen M.P., Handbook of pain assessment, 1992).
Esame clinico
Il primo obiettivo dell’esame clinico al paziente con dolore è quello di identificare la malattia sottostante ed il tipo di dolore. La valutazione della sensibilità è la parte più importante di questo esame; ci si orienta sulla base delle informazioni ottenute dalla storia del paziente e dal disegno del dolore. I reperti nell’area dolente vengono confrontati con quelli dell’area contro laterale nel caso di dolore unilaterale o in altri luoghi sull’asse prossimale-distale nel caso di dolore bilaterale. La mappatura delle anormalità sensoriali è cruciale perché anormalità sensitive senza una distribuzione neuroanatomica possono essere presenti nel dolore nocicettivo puro. Ogni modalità sensoriale può essere valutata separatamente usando semplici strumenti. La valutazione della sensibilità inizia solitamente con il semplice tocco, seguito dal test con la punta di spillo. La valutazione della sensibilità tattile può essere eseguita usando la leggera pressione del dito se non sono disponibili altri strumenti. Se i risultati alle valutazioni tattili e con punta di spillo sono normali, devono essere valutate la sensibilità termica e alla vibrazione prima di dichiarare che la funzione sensoriale è intatta. Se non è disponibile un thermo roller può essere utilizzato in sostituzione un oggetto metallico (p.es. il manico di un martelletto per riflessi) raffreddato con acqua di rubinetto. La qualità della risposta può differire dal normale; per esempio il freddo può essere percepito come bruciore (sensazione di calore paradossa) oppure uno stimolo normalmente non doloroso provocare dolore (allodinia). In quest’ultimo caso la presenza di allodinia meccanica dinamica viene valutata usando un leggero stimolo in movimento (p.es. strofinare un batuffolo di cotone n.d.r) mentre l’allodinia al freddo viene valutata con un oggetto freddo.
Nel caso in cui la valutazione sensoriale non sia conclusiva o la malattia causale non sia evidente, il paziente deve essere inviato al secondo livello di cure (p.es. un ambulatorio neurologico o del dolore, in accordo con le linee guida locali) per ulteriori accertamenti. I test usati in centri specializzati possono includere procedure elettrofisiologiche convenzionali, come studi della conduzione nervosa o i potenziali evocati somatosensoriali, come pure meno convenzionali quali strumenti di laboratorio per la valutazione delle vie nocicettive del sistema nervoso periferico e centrale (Price D.D., IASP Press, 1994; Price D.D., Handbook of pain assessment, 1992).
Una volta descritto qualitativamente il dolore appare essenziale una sua valutazione quantitativa, compito non facile vista l’estrema variabilità soggettiva di questa condizione. Il primo approccio tiene conto dell’intensità del dolore valutabile attraverso la Visual Analogue Scale (VAS), la cui validità è stata ampiamente dimostrata (Tabella 4).
Altre scale, invece, quali il McGill Pain Questionnaire (MPQ), si sono proposte di valutare le caratteristiche discriminativo-sensoriali e affettivo-emozionali dell’esperienza nocicettiva e assumono pertanto un ruolo multidimensionale (Melzack R., Handbook of pain assessment, 1992) (Tabella 5).
Recentemente Galer ha evidenziato come le precedenti scale uni- e multidimensionali avessero delle grosse limitazioni in quanto non fungevano da indicatori dei diversi aspetti clinici del dolore neuropatico, non analizzavano adeguatamente la componente di «sgradevolezza» provocata dal dolore e non riuscivano a identificare eventuali sottogruppi di pazienti con dolore neuropatico. Per questo motivo è stata costituita la Scala del Dolore Neuropatico (SDN), che permette di analizzare non solo l’intensità ma anche le diverse qualità del dolore, fino al punto di poter identificare alcuni sottogruppi di patologie (ad esempio dolore da neuropatia posterpetica da dolore neuropatico di altra origine) (Tabella 6).
Questa scala è composta da cinque item che raggruppano le più comuni caratteristiche del dolore neuropatico (la sensazione di dolore «tagliente», di «bruciore», di «freddo», di dolore «acuto», di dolore «fastidioso»). Ciascuno di questi item comprende, nella formulazione della domanda, anche altre parole usate per descrivere quella stessa sensazione, al fine di renderla più comprensibile. Per ogni item si usa la scala numerica, presentata come una linea orizzontale di numeri che va da 0 a 10, dove 0 significa «assenza di quel tipo di sensazione» e 10 significa «presenza di quella sensazione alla massima intensità immaginabile». Inoltre vi sono anche due item più generici, che, sfruttando sempre la scala numerica da 0 a 10, valutano l’intensità e la sgradevolezza del dolore ed un undicesimo item che considera l’andamento temporale del dolore: costante, intermittente o continuo con occasionali riacutizzazioni. La SDN è stata tradotta nel 2000 per uso clinico e di ricerca. Bisogna ricordare come per la somministrazione del test sia sempre necessaria la presenza di un operatore addetto in quanto la terminologia scelta e l’impostazione proposta richiedono un buon livello di istruzione da parte dei pazienti (Bonezzi C., Minerva Anestesiol., 2000; Galer B.S., Neurology, 1997).
TRATTAMENTI
Recenti orientamenti basati su meta-analisi sono disponibili per il trattamento del dolore neuropatico. I principali gruppi di trattamenti farmacologici sistemici usati nel dolore neuropatico possono essere considerati sotto le seguenti voci:
• Analgesici
• Antidepressivi
• Antiepilettici
• Antiaritmici (e altri “stabilizzatori a membrana”)
• Cannabinoidi
Analgesici. C’è un’opinione ampiamente diffusa che i farmaci in questa categoria siano relativamente inefficaci per il dolore neuropatico (NP), ma ci sono anche prove del contrario. Citando esempi recenti, tramadolo da solo ha dimostrato di essere efficace in una revisione sistematica, e una combinazione tramadolo / paracetamolo era paragonabile a gabapentin in uno studio randomizzato controllato in pazienti con neuropatia diabetica dolorosa. Un’ulteriore revisione sistematica di oppioidi suggerisce l’evidenza di beneficio da studi di medio termine, ma non da studi a breve termine (24h o meno), suggerendo che il breve screening per reattività oppioidi (ad esempio con un’infusione endovenosa) non può essere appropriato. Al contrario, uno studio di ossicodone in aggiunta al pregabalin non è riuscito a mostrare vantaggio, ma la dose impiegata può essere stata troppo ridotta (Zin C.S., Journal of Pain, 2010). Ci sono prove per il tapentadolo, che presenta proprietà inibenti dell’acido oppiaceo e recupero della noradrenalina, nella neuropatia diabetica dolorosa (Schwartz S., Curr. Med. Res. Opin., 2011).
Antidepressivi. Gli antidepressivi sono da tempo stati agenti efficaci per il trattamento di NP. Una recente meta-analisi di tre studi randomizzati controllati (RCTs) indica che la duloxetina è sicura e ben tollerata. L’efficacia di questo farmaco per il dolore della neuropatia diabetica e della fibromialgia a dosi relativamente elevate è stata anche mostrata in una revisione sistematica. Gli antidepressivi triciclici e la venlafaxina sembrano anche efficaci e paragonabili, con un numero necessario di trattamento (NNT) di circa tre in entrambi i farmaci. Un confronto tra amitriptilina e duloxetina nella neuropatia diabetica dolorosa ha dimostrato che entrambi i farmaci sono efficaci e simili per quanto riguarda gli effetti collaterali (anche se il riscontro di bocca secca era più comune con amitriptilina). Uno studio su duloxetina nel dolore centrale secondario ad ictus e lesione del midollo spinale ha suggerito un effetto benefico e anche se i cambiamenti nei punteggi di dolore per il dolore non evocato sono scesi al di sotto della significatività statistica, vi è stata una significativa riduzione di allodinia tattile e termica (Vranken J.H., Pain, 2011).
Antiepilettici. Gli antiepilettici hanno una lunga tradizione di utilizzo in NP. Gabapentin e pregabalin sono senza dubbio efficaci anche se le prove di beneficio nel dolore centrale sono generalmente minori che per i disturbi periferici (Kim J.S., Pain, 2011). I dati relativi agli altri antiepilettici sono meno convincenti.
Lamotrigina è stata oggetto di una recente revisione sistematica, che comprendeva una serie di studi sia in dolori periferici che centrali, e non ha trovato prove convincenti di beneficio (Wiffen P.J., Cochrane Database Syst. Rev., 2011), anche se uno studio recente suggerisce l’efficacia nella nevralgia del trigemino. La carbamazepina è andata piuttosto meglio in una revisione sistematica, ma molti studi hanno avuto un basso numero di soggetti (Wiffen P.J., Cochrane Database Syst. Rev., 2011).
Antiaritmici. Gli anestetici locali e i composti correlati potrebbero essere considerati trattamenti utili per NP in considerazione dell’importante ruolo dell’espressione alterata di canali di sodio negli stati del dolore patologico. Ci sono buone prove da una recente revisione sistematica che supportano questa opinione. Questa Cochrane ha citato 32 criteri di selezione, inclusi gli studi sulla lidocaina intravenosa e sugli antiaritmici mexiletina e tocainide (Challapalli V et al., Cochrane Database of Systematic Reviews 2005). Tutti erano efficaci, anche se la mexiletina non è più disponibile e il tocainide è stato completamente ritirato dall’uso clinico. I 16 studi che hanno valutato la lidocaina intravenosa hanno coperto una gamma di condizioni che hanno dato origine a NP, sia periferiche che centrali con notevole variazione nel dosaggio. Le ampie conclusioni da trarre erano che la lidocaina intravenosa era efficace, sicura e ben tollerata. Livelli di lidocaina nel plasma sono stati misurati in sette prove, solo una delle quali indicava una correlazione tra il livello e la risposta al dolore. Molti degli studi hanno valutato l’effetto analgesico durante un periodo relativamente breve (meno di 24 ore), ma c’è stata anche qualche prova che una singola infusione di lidocaina che potrebbe, in alcuni pazienti, produrre analgesie che durano diversi giorni o settimane.
Cannabinoidi. I cannabinoidi possono determinare sollievo sia del dolore neuropatico che della spasticità dolorosa e anche se un recente RCT non ha dimostrato superiorità rispetto al placebo nella neuropatia diabetica dolorosa, ciò può riflettere la limitazione della dose giornaliera massima. L’indicazione concessa in licenza per la preparazione di formulazioni oromucosali di cannabis medicale nel Regno Unito è limitata al trattamento della spasticità da moderata a grave nella MS, ma vi è prova di azioni analgesiche dei cannabinoidi, non correlate al loro effetto antispastico, nel dolore cronico di origine nocicettiva e neuropatica (ma non in dolore acuto). NP sembra essere più sensibile ai cannabinoidi rispetto al dolore nocicettivo, e sia NP periferico che centrale può rispondere. Gli effetti negativi gravi riportati in letteratura non sono rari, ma includono sincope e psicosi; tra quelli più lievi gli effetti collaterali comuni comprendono vertigini, compromissione cognitiva, sonnolenza e bocca secca (Zajicek J.P., CNS Drugs, 2011).
CONCLUSIONE
La valutazione clinica del dolore in neurologia è esercizio complesso data l’ampia diversità delle caratteristiche cliniche e la base patologica del dolore nelle malattie neurologiche. Essa richiede una notevole esperienza e una approfondita conoscenza della semeiologia neurologica che non può prescindere dalla definizione neuroanatomica e dalle modalità di presentazione delle diverse entità nosologiche. Solo attraverso una meticolosa valutazione è possibile comprendere le caratteristiche del sintomo nell’ambito di un vissuto che è sempre originale ed individuale. Per questo è di importanza fondamentale utilizzare strumenti di valutazione standardizzati anche al fine di poter confrontare l’evoluzione di sintomi che si modificano al modificarsi della condizione neuropatologica sottostante. •
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