Metodologie diagnostiche innovative e nuovi criteri diagnostici nella malattia di Alzheimer
Fabrizio Piras¹ ², Carlo Caltagirone¹ ³
1. Fondazione IRCCS Santa Lucia, Laboratorio di Neurologia Clinica e Comportamentale
2. Centro Studi e Ricerche e Museo Storico della Fisica Enrico Fermi, Roma
3. Roma Università di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Medicina dei Sistemi
Il termine generico demenza indica una disfunzione cronica, progressiva e generalmente irreversibile delle funzioni cognitive solitamente accompagnato da disturbi dell’umore, del comportamento, della personalità e ad una graduale perdita di autonomia. La diagnosi del disturbo prevede la compromissione della memoria e almeno un’altra capacità (tra cui l’efficienza intellettiva globale, la percezione, la rapidità del processo informativo, l’attenzione e concentrazione, le abilità prassiche e di riconoscimento, l’apprendimento, il linguaggio, l’orientamento, la capacità di problem solving ed il pensiero astratto) senza alterazione dello stato di coscienza.
La gravità di questi disturbi deve rappresentare un peggioramento rispetto al livello di adattamento psico-sociale precedente l’insorgenza della condizione ed essere tale da provocare una compromissione sostanziale del funzionamento lavorativo e sociale. In base alla natura del processo eziologico, si possono distinguere le demenze degenerative e le demenze non degenerative alcune delle quali potenzialmente reversibili. Nel quadro globale delle demenze degenerative, la malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD) è in assoluto la forma più frequente nella popolazione anziana (54% di tutte le demenze neurodegenerative), seguita dalla demenza con corpi di Lewy e dalla demenza fronto-temporale.
Il processo patogenetico dell’AD è stato largamente studiato negli ultimi decenni e, malgrado le numerose conoscenze accumulate, diversi punti rimangono da chiarire.
Secondo il modello multifattoriale dell’AD, alla base dei processi patologici della malattia c’è un’alterazione del metabolismo delle proteine con un accumulo di aggregati ad effetto neurotossico. Specificatamente, l’anomalo processamento enzimatico della proteina trans-membranica precursore della ß-amiloide (Aß), con conseguente sovrapproduzione di catene di aminoacidi neurotossici (peptidi beta-amiloidi), sarebbe il nucleo fondamentale dell’AD (Hardy J, Selkoe DJ Science 2002). Tali aggregati formano delle catene che danno origine a diversi tipi di corpi extracellulari con effetti distruttivi, denominati placche amiloidee o senili. Inoltre, la patogenesi dell’AD coinvolge anche la sintesi anomala della proteina Tau (su cui è largamente fondata la struttura dei neurotubuli che svolgono un ruolo determinante nel trasporto di sostanze vitali all’interno delle cellule nervose); la proteina Tau iper-fosforilata forma, infatti, degli aggregati (o ammassi) neuro-fibrillari che insieme alle placche bloccano il normale funzionamento neuronale e portano alla morte cellulare con conseguente atrofia cerebrale. A livello neurotrasmettitoriale è di centrale importanza la carenza dell’acetilcolina (ACh), dato il ruolo centrale che svolge per la memoria, il pensiero, il giudizio, la personalità ed altre funzioni superiori (Chopra K et al., Expert Opin Ther Targets 2011). Esistono attualmente diverse metodologie diagnostiche innovative che prevedono l’analisi dei cosiddetti biomarker e che possono svolgere un ruolo molto importante nell’ottica di una diagnosi precoce. I biomarker possono essere suddivisi in:
• Genetici: Diversi studi condotti negli ultimi due decenni hanno permesso di individuare alcuni geni associati alle diverse forme di malattia di Alzheimer. Per quanto riguarda le forme familiari, rare mutazioni in tre geni causativi (APP, PSEN1 e PSEN2), sono responsabili delle forme a trasmissione quasi esclusivamente autosomica dominante ad insorgenza precoce. Il gene per il precursore del ß-amiloide (amyloid precursor protein gene, APP) codifica per la proteina precursore dell’amiloide. APP è una proteina integrale di membrana e mutazioni nel gene APP fanno aumentare i livelli totali di Aß o solo quelli della forma Aß1-42, che è il principale componente delle placche senili (Di Fede et al., Science 2009). Altro fattore di rischio genetico è la presenza di uno o più alleli ε4 del gene dell’Apolipoproteina E (ApoE), proteina plasmatica, coinvolta nel trasporto del colesterolo, che si lega alla proteina amiloide (Corder EH et al., Science 1993). La variante polimorfica ApoE-ε4 è associata ad alti livelli di colesterolo nel plasma e si ritiene che predisponga all’aumento della deposizione del peptide Aß. Tuttavia la sua presenza fornisce un dato solamente indicativo e non basta da solo a elaborare la diagnosi, dal momento che quasi la metà delle persone affette non possiede questo allele.
• Liquorali: I livelli di concentrazione nel liquor cerebrospinale delle proteine Aß1-42, Tau e Tau fosforilata sono accurati marcatori biologici in grado di identificare la presenza di AD in pazienti con decadimento cognitivo lieve e in soggetti sani ad alto rischio e sembra riescano a predire anche il grado di declino cognitivo nel tempo in pazienti con AD lieve. Sembra infatti che bassi livelli di Aß1-42, alti livelli di Tau o Tau fosforilata, oppure un alto rapporto Tau/Aß siano associati ad un più rapido declino cognitivo nel tempo.
• Cerebrali: L’imaging strutturale basato su risonanza magnetica (MRI) è entrato a far parte dei metodi di valutazione clinica dei pazienti con sospetto AD. Nello specifico l’atrofia delle strutture medio temporali (ippocampo e corteccia entorinale) si è dimostrata sensibile (73%) e specifica (81%) nel predire se pazienti con decadimento cognitivo di tipo amnesico convertiranno in AD (Frisoni GB et al., Nat Rev Neurol 2010). La seconda classe di indagine è costituita dagli esami con tomografia ad emissione di positroni (PET), che viene eseguita in due modalità: con Fluorodesossiglucosio (FDG-PET), e con tracciante per l’amiloide (Amyloid-PET). Con la prima viene iniettato per via endovenosa una piccola quota di glucosio debolmente radioattivo (fluorodesossiglucosio) ed una serie di sensibilissimi rilevatori di radioattività permettono di quantificare l’utilizzo del glucosio da parte del cervello. È stato dimostrato come già in fase molto precoce di malattia, l’utilizzo di glucosio è particolarmente ridotto nelle regioni temporo-parietali e del cingolo posteriore, aree notoriamente coinvolte nelle funzioni cognitive superiori. La seconda invece permette di quantificare e localizzare l’accumulo/deposizione di ß-amiloide presente nel cervello della persona esaminata. Il tracciante si lega alle placche extracellulari di amiloide, che si accumulano patologicamente in soggetti colpiti dalla malattia di Alzheimer (Karl H et al., Lancet Neurol 2011). Studi effettuati su gruppi di soggetti hanno rilevato che l’accumulo è maggiore nei pazienti con Alzheimer rispetto ai soggetti sani, ma attualmente non è stata ancora definito un valore soglia di positività per distinguere questi due gruppi.
Il concetto clinico di AD ha subito una sostanziale evoluzione dalla proposta dei primi criteri diagnostici ad oggi. Nel 1984 il National Institute of Neurological and Communicative Disorders and Stroke (NINCDS) e l’Alzheimer’s Disease and Related Disorders Association (ADRDA) (McKhann et al., Neurology 1984) avevano formulato dei criteri che distinguevano la diagnosi di AD in certa (basata su riscontri neuro-patologici), probabile (definita su base clinica e confermata da test neuropsicologici, età d’esordio compresa tra 40 e 90 anni, ed assenza di disturbi di coscienza e patologie sistemiche) e possibile (presenza di deficit cognitivo isolato, progressivo e grave, presenza di elementi atipici nell’esordio, nella presentazione o nel decorso clinico, presenza di una patologia neurologica o sistemica concomitante in grado di determinare la demenza).
I criteri proposti nel 1984 per la diagnosi di demenza sono stati successivamente rielaborati da un gruppo di esperti (McKhann et al., Alzheimers Dement 2011) con lo scopo di individuare forme precliniche della malattia attraverso l’utilizzo combinato di esami clinici e strumentali e marker biologici. È stato quindi introdotto un nuovo lessico proponendo una classificazione che tenesse in considerazione gli stadi precoci della malattia (Dubois B et al., Lancet Neurol 2010). In quest’ottica sono state distinte due diverse fasi della condizione di demenza: una fase prodromica dell’AD (condizione precoce e sintomatica che precede la demenza vera e propria, caratterizzata da disturbi di memoria episodica e presenza di biomarker) ed una fase di demenza conclamata in cui i sintomi cognitivi sono sufficientemente severi da interferire con le attività di vita quotidiana.
È tuttavia utile notare come, malgrado la presenza di placche amiloidi e grovigli neurofibrillari sia considerata legata alle manifestazioni cliniche più comuni dell’AD, le diverse costellazioni di sintomi rilevabili nella pratica clinica, fanno supporre che esistano distinte varianti della malattia. È possibile, infatti, imbattersi in pazienti con una fenomenologia clinica disesecutiva e comportamentale (variante frontale dell’AD), pazienti con difficoltà di natura linguistica (variante logopenica o afasia progressiva primaria), pazienti con una combinazione di deficit visivi, aprassia e acalculia (atrofia corticale posteriore) e pazienti con rigidità asimmetrica, aprassia, disfunzioni extrapiramidali e deficit da attribuirsi ad alterazioni delle cortecce temporali, parietali ed occipitali (degenerazione cortico basale). Nonostante le differenze esistenti, le varie forme di AD sono caratterizzate da spettri fenomenologici sovrapponibili. Tale sovrapposizione ha reso necessaria una maggiore sistematizzazione formale dei criteri diagnostici delle diverse varianti di AD. A tale scopo, grazie alla collaborazione tra l’International Working Group ed il National Institute on Aging-Alzheimer’s Association, sono stati recentemente pubblicati dei criteri avanzati di ricerca che chiariscono le differenze esistenti tra le divere varianti di malattia (Dubois B et al., Lancet Neurol 2014).
Sono state quindi descritte tre distinte presentazioni di malattia: AD tipica (alterazioni cerebrali a carico delle strutture temporo-mediali, dell’ippocampo e della corteccia entorinale, disturbo a carico dei processi di memoria e di un altro dominio cognitivo, positività ad uno o più biomarker), AD atipica (include sindromi focali corticali non-amnesiche, quali afasia progressiva primaria non fluente, afasia logopenica, atrofia corticale posteriore, variante frontale dell’AD ed evidenze in vivo di amiloidosi nel cervello o nel liquido cerebrospinale) ed AD mista (patologia Alzheimer in concomitanza con altre cause biologiche che determinano un declino cognitivo come la malattia cerebrovascolare). È stato infine descritto uno stadio preclinico dell’AD consistente in un lungo periodo asintomatico compreso tra l’instaurarsi dei processi patologici della malattia e la manifestazione dei primi sintomi clinici.
In tale contesto di dibattito scientifico e clinico circa i nuovi criteri da adottare per la definizione di AD, la Società Italiana di Neurologia delle Demenze (SINDEM) ha recentemente stilato un position paper nel quale viene criticata la scelta di incentrare la diagnosi sulla positività dei biomarker (Musicco et al., Neurol Sci 2011). I neurologi italiani si sono dichiarati d’accordo nell’individuare una diagnosi preclinica di AD ed una fase asintomatica a rischio di AD, ma hanno altresì sostenuto che le evidenze a favore dell’utilizzo di marker strumentali e di laboratorio sono a tutt’oggi non sufficienti per supportarne l’impiego nella routine della pratica clinica.
- Hardy J, Selkoe DJ. The amyloid hypothesis of Alzheimer’s disease: progress and problems on the road to therapeutics. Science. 2002 Jul 19;297(5580):353-6. Review. Erratum in: Science 2002 Sep 27;297(5590):2209. PubMed PMID: 12130773.
- Chopra K, Misra S, Kuhad A. Neurobiological aspects of Alzheimer’s disease. Expert Opin Ther Targets. 2011 May;15(5):535-55. doi: 10.1517/14728222.2011.557363. Epub 2011 Feb 11. Review. PubMed PMID: 21314231.
- Di Fede G, Catania M, Morbin M, Rossi G, Suardi S, Mazzoleni G, Merlin M, Giovagnoli AR, Prioni S, Erbetta A, Falcone C, Gobbi M, Colombo L, Bastone A, Beeg M, Manzoni C, Francescucci B, Spagnoli A, Cantù L, Del Favero E, Levy E, Salmona M, Tagliavini F. A recessive mutation in the APP gene with dominant-negative effect on amyloidogenesis. Science. 2009 Mar 13;323(5920):1473-7. doi: 10.1126/science.1168979. PubMed PMID: 19286555; PubMed Central PMCID: PMC2728497.
- Corder EH, Saunders AM, Strittmatter WJ, Schmechel DE, Gaskell PC, Small GW, Roses AD, Haines JL, Pericak-Vance MA. Gene dose of apolipoprotein E type 4 allele and the risk of Alzheimer’s disease in late onset families. Science. 1993 Aug 13;261(5123):921-3. PubMed PMID: 8346443.
- Frisoni GB, Fox NC, Jack CR Jr, Scheltens P, Thompson PM. The clinical use of structural MRI in Alzheimer disease. Nat Rev Neurol. 2010 Feb;6(2):67-77. doi: 10.1038/nrneurol.2009.215. Review. PubMed PMID: 20139996; PubMed Central PMCID: PMC2938772.
- Herholz K, Ebmeier K. Clinical amyloid imaging in Alzheimer’s disease. Lancet Neurol. 2011 Jul;10(7):667-70. doi: 10.1016/S1474-4422(11)70123-5. Review. PubMed PMID: 21683932.
- McKhann G, Drachman D, Folstein M, Katzman R, Price D, Stadlan EM. Clinical diagnosis of Alzheimer’s disease: report of the NINCDS-ADRDA Work Group under the auspices of Department of Health and Human Services Task Force on Alzheimer’s Disease. Neurology. 1984 Jul;34(7):939-44. PubMed PMID: 6610841.
- McKhann GM, Knopman DS, Chertkow H, Hyman BT, Jack CR Jr, Kawas CH, Klunk WE, Koroshetz WJ, Manly JJ, Mayeux R, Mohs RC, Morris JC, Rossor MN, Scheltens P, Carrillo MC, Thies B, Weintraub S, Phelps CH. The diagnosis of dementia due to Alzheimer’s disease: recommendations from the National Institute on Aging-Alzheimer’s Association workgroups on diagnostic guidelines for Alzheimer’s disease. Alzheimers Dement. 2011 May;7(3):263-9. doi: 10.1016/j.jalz.2011.03.005. Epub 2011 Apr 21. PubMed PMID: 21514250; PubMed Central PMCID: PMC3312024.
- Dubois B, Feldman HH, Jacova C, Cummings JL, Dekosky ST, Barberger-Gateau P, Delacourte A, Frisoni G, Fox NC, Galasko D, Gauthier S, Hampel H, Jicha GA, Meguro K, O’Brien J, Pasquier F, Robert P, Rossor M, Salloway S, Sarazin M, de Souza LC, Stern Y, Visser PJ, Scheltens P. Revising the definition of Alzheimer’s disease: a new lexicon. Lancet Neurol. 2010 Nov;9(11):1118-27. doi: 10.1016/S1474-4422(10)70223-4. Epub 2010 Oct 9. PubMed PMID: 20934914.
- Dubois B, Feldman HH, Jacova C, Hampel H, Molinuevo JL, Blennow K, DeKosky ST, Gauthier S, Selkoe D, Bateman R, Cappa S, Crutch S, Engelborghs S, Frisoni GB, Fox NC, Galasko D, Habert MO, Jicha GA, Nordberg A, Pasquier F, Rabinovici G, Robert P, Rowe C, Salloway S, Sarazin M, Epelbaum S, de Souza LC, Vellas B, Visser PJ, Schneider L, Stern Y, Scheltens P, Cummings JL. Advancing research diagnostic criteria for Alzheimer’s disease: the IWG-2 criteria. Lancet Neurol. 2014 Jun;13(6):614-29. doi: 10.1016/S1474-4422(14)70090-0. Erratum in: Lancet Neurol. 2014 Aug;13(8):757. PubMed PMID: 24849862.
- Musicco M, Padovani A, Sorbi S, Scarpini E, Caffarra P, Cappa S, Clerici F, Tabaton M, Caltagirone C, Bonavita V, Bruni AC, Bruno G, Federico A, Ferrarese C, Marra C, Nacmias B, Parnetti L, Pettenati C, Sorrentino G, Tagliavini F, Mariani C. Position paper of the Italian Society for the study of Dementias (SINDEM) on the proposal of a new lexicon on Alzheimer disease. Neurol Sci. 2012 Feb;33(1):201-8. doi: 10.1007/s10072-011-0825-8. Epub 2011 Nov 5. PubMed PMID: 22057264.