Demenza a Corpi di Lewy e Malattia di Parkinson con demenza: diagnosi e clinica
Ubaldo Bonuccelli, Giovanni Palermo, Roberto Ceravolo
UO Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa
Nel 1817 James Parkinson descrisse con il termine di “Shaking palsy” una delle più comuni malattie neurodegenerative età correlata presentandola come puro disturbo del movimento (“…la sensazione e l’intelletto sono preservate..”). Charcot – a cui si deve l’eponimo di “Maladie de Parkinson” (PD) – nell’ultima parte dell’800 descrisse pazienti con PD nei quali i sintomi motori si associavano a deficit cognitivi ed alterazioni di personalità; in seguito tali disturbi furono attribuiti a concomitante aterosclerosi o patologia amiloidea. L’evoluzione delle conoscenze ha portato successivamente, ad un ampliamento significativo dei confini della PD, riconosciuta oggi come una patologia neurologica complessa e clinicamente eterogenea in cui la triade sintomatologica bradicinesia, rigidità e tremore di riposo, espressione della degenerazione dei neuroni dopaminergici della sostanza nera mesencefalica, rappresenta solo la punta dell’iceberg (W. Langston, Ann. Neurol., 2006). Sono infatti altrettanto frequenti le manifestazioni non motorie che precedono, spesso di anni, l’esordio conclamato della malattia ed alla cui genesi sembrano concorrere altri sistemi neurotrasmettitoriali non dopaminergici e circuiti neurali diversi dalla via nigro-striatale.
Lewy nel 1912 aveva individuato all’interno della sostanza innominata e del nucleo motorio dorsale del vago di pazienti con PD quelle inclusioni eosinofile intraneuronali (che solo nel 1997 veniva scoperto essere costituiti in gran parte da α-sinucleina), a cui Tretiakoff – che all’epoca scoperse la discolorazione della sostanza nera – diede il nome di “Corpi di Lewy” (LB), divenuti poi in breve tempo l’elemento patologico patognomonico della malattia.
Sebbene lo stesso Lewy avesse nel 1923 localizzato i LB anche nella corteccia cerebrale, fu Okazaki nel 1961 il primo a correlare la loro presenza con una sindrome caratterizzata da demenza progressiva, allucinazioni e parkinsonismo. Negli anni successivi Kosaka ed altri autori giapponesi produssero numerose descrizioni di quadri di demenza cosiddetta atipica, caratterizzati dalla variabile combinazione di demenza e parkinsonismo in un quadro patologico di diffusa deposizione corticale di LB, per cui nel 1984 proposero una nuova entità nosologica definita Malattia a Corpi di Lewy diffusi. Dall’altra parte per giustificare il complicarsi più o meno tardivo della PD con una demenza si continuò a discutere su possibili cause tra le quali un possibile effetto neurotossico della Levodopa, oggi del tutto disconosciuto.
Il termine DLB (Demenza a Corpi di Lewy) fu coniato solo nel 1996, su impulso del gruppo di Newcastle upon Tyne, per definire quella categoria di pazienti in cui sintomi e neuropatologia differivano dalla Demenza di Alzheimer (AD) e dalla demenza vascolare. Nello stesso anno il DLB Consortium, superando un primo tentativo del gruppo di Nottingham del 1991, ne pubblicò i criteri diagnostici, presto adottati in tutto il mondo e revisionati nel 2005 (McKeith et al., Neurology 2005, Tabella 1). Da allora, la condizione ha guadagnato un interesse sempre più diffuso ed è riconosciuta oggi come la seconda forma più frequente di demenza degenerativa dopo l’AD con una stima pari al 10-20% dei casi di demenza sopra i 65 anni. Nella DLB tipicamente si verificano fluttuazioni del livello di attenzione nel contesto di un progressivo deterioramento cognitivo che comprende disturbi esecutivi e dell’attenzione, disturbi della memoria (specie di richiamo) e delle abilità visuo-spaziali. Tale profilo neuro-psicologico è simile a quello che caratterizza la Malattia di Parkinson con Demenza (PDD), termine entrato nell’uso comune altrettanto recentemente per identificare i pazienti con PD che sviluppano una demenza. La demenza è infatti uno dei sintomi non motori più comuni nei pazienti con PD, con una prevalenza che raggiunge nel lungo termine quasi il 100% ed una latenza media di comparsa dalla diagnosi di circa 10 anni (Hely et al., Mov. Disord. 2008).
I criteri diagnostici della PDD sono stati definiti nel 2007 (Tabella 2): la sindrome dementigena, progressiva ed insidiosa, deve svilupparsi nel contesto di una già stabilita diagnosi di PD, interessa almeno due domini cognitivi ed il declino cognitivo del soggetto deve essere di entità tale da compromettere le usuali attività della vita quotidiana (Emre et al., Mov. Disord. 2007). La demenza si manifesta prevalentemente nelle fasi avanzate della PD ma alterazioni cognitive settoriali e limitate sono rilevabili fin dall’esordio, in assenza di una ricaduta sull’autonomia personale e lavorativa del soggetto, a configurare l’entità Malattia di Parkinson con declino cognitivo lieve (MCI-PD) per la cui diagnosi sono stati pubblicati recentemente criteri specifici (Litvan et al., Mov Disord 2012.). Il MCI-PD può essere considerato uno stadio intermedio fra uno stato cognitivo normale e la demenza e la sua prevalenza è stimata intorno al 15-20% di pazienti PD di nuova diagnosi. Una sua presenza all’esordio (in particolare le alterazioni a carico della memoria semantica e delle funzioni visuo-spaziali) è predittiva di sviluppo più o meno precoce di demenza.
Rimane tuttavia da chiarire quale sia il substrato neuropatologico della demenza nella DLB e nella PDD; la deposizione corticale di LB rappresenta il determinante comune del processo dementigeno ma l’azione sinergica tra sinucleinopatia ed elementi neuropatologici dell’AD (placche di ß-amiloide e grovigli neuro fibrillari di Tau) potrebbe essere il correlato principale dello sviluppo di demenza. Con la PET amiloide, da poco in uso nella pratica clinica, la presenza di patologia amiloidea è stata infatti dimostrata in entrambe le malattie ma nella DLB in quantità maggiore: l’amiloide potrebbe essere quindi un acceleratore nello sviluppo di demenza nelle sinucleinopatie. Sebbene siano stati descritti sia per PDD che per DLB pattern relativamente specifici di atrofia cerebrale in Risonanza Magnetica e di ridotto metabolismo alla FDG-PET c’è un’ampia sovrapposizione clinica, neuropsicologica e neuropatologica tra le due condizioni che ha reso necessario individuare arbitrariamente nell’intervallo temporale che lega la comparsa di parkinsonismo e di demenza il criterio principale distintivo tra le due entità: la diagnosi di DLB dovrebbe esser posta quando la demenza si manifesta prima, contemporaneamente o entro 1 anno dall’esordio del parkinsonismo (“1 year-rule”). In quest’ottica, PDD e DLB si collocano all’interno dello spettro delle sinucleinopatie, verosimilmente accomunate dal medesimo meccanismo eziopatogenetico. In alternativa DLB e PDD potrebbero esprimere due fenotipi clinici in un continuum patologico dalla sinucleinopatia “pura” al substrato lesionale AD predominante (Figura 1).
La difficoltà di tracciare un confine chiaro tra queste due entità viene confermata da un recente featured article della MDS (Berg et al., Mov. Disord. 2014) in cui è stata discussa la possibilità di una ridefinizione della PD, superando la regola di 1 anno ed accettando una diagnosi di PD anche in presenza di demenza: una nuova prospettiva che semplificherebbe l’approccio diagnostico con la scomparsa del concetto di PDD e l’identificazione di un fenotipo PD (destinato nella maggioranza dei casi a complicarsi con la comparsa di demenza nel lungo termine) rispetto ad un fenotipo PD-DLB, caratterizzato da un quadro dementigeno iniziale su cui si instaura secondariamente un parkinsonismo. La diagnosi differenziale di DLB e PDD si pone con le altre demenze degenerative in particolare AD e Demenza Fronto-Temporale (DFT): è facilitata dall’anamnesi nel caso della PDD ed è possibile rispetto all’AD con l’aiuto dei dati clinici, della SPET cerebrale con DATSCAN e dell’EEG che mostra spesso onde delta sulle regioni anteriori; meno facile talora nel caso di alcune forme di DFT in cui la SPET può essere alterata. Rispetto infine agli altri parkinsonismi degenerativi talora complicati da demenza, come le taupatie (Paralisi Sopranucleare Progressiva, Degenerazione Cortico-Basale) e l’Atrofia Multisistemica, altri esami di imaging come FDG-PET ed RM possono essere di aiuto. Ancora poco significativi da questo punto di vista sono i marcatori biologici liquorali ed ematici, sui quali tuttavia sono in corso intense ricerche.
La terapia delle due condizioni è del tutto sovrapponibile: per il parkinsonismo nella PDD con l’inizio della demenza, spesso preceduta da allucinazioni, si assiste infatti alla comparsa di una più scadente risposta alla Levodopa spesso con riduzione delle discinesie; nella DLB la risposta alla Levodopa è generalmente modesta e quasi assente nel 40-50% dei pazienti. Sono controindicati in entrambe le malattie i dopaminoagonisti che aumentano o favoriscono psicosi ed allucinazioni.
La demenza migliora con gli inibitori delle colinesterasi – rivastigmina e donepezil – secondo alcuni in modo più evidente di quanto avviene nella AD: l’effetto è significativo ma marginale dal punto di vista clinico con un range di 1-2,6 di miglioramento dello score MMSE. La memantina ha un effetto positivo soltanto sulla scala CGIC che misura l’impressione globale di cambiamento del clinico. La psicosi deve essere trattata con neurolettici atipici come quetiapina e clozapina a basse dosi: si inizia con 12,5 mg di quetiapina e 6,25 mg di clozapina in monodose serale, aumentando lentamente fino a 150-200 mg per quetiapina (controllo dell’intervallo QT per rischio aritmie) e 50-75 mg per clozapina (controllo emocromo per rischio anemia aplastica). Gli altri neurolettici inclusi gli atipici non sono consigliati per l’elevato rischio di incremento del parkinsonismo. Depressione ed ansia rispondono generalmente agli inibitori del re-uptake di serotonina (sertralina, paroxetina, citalopram, vortioxetina) e noradrenalina (venlafaxina, duloxetina, mirtazapina). Per la sonnolenza e l’apatia la caffeina a dosi di 100-200 mg/die (corrispettivo eventuale di 2-4 caffè) è il preparato più popolare fra gli specialisti.
Sono poi da valutare ma solo in prospettiva i disease modifying drugs come gli anticorpi anti-amiloide ed anti-sinucleina perché i relativi trials inizieranno probabilmente solo dopo l’acquisizione di risultati positivi nella AD e nel PD.
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