Gli Alzheimer Caffè Una risorsa per l’assistenza
Luca Cravello, Daniele Perotta
Centro Regionale Alzheimer, ASST Rhodense, Via Settembrini 1 - Rho (MI)
Il primo Alzheimer caffè è nato in Olanda nel 1997 da un’idea del dott. Bère Miesen. Il progetto originale del dott. Miesen era quello di effettuare incontri mensili con gruppi di pazienti affetti da demenza ed i loro caregiver, con lo scopo di promuovere la formazione, lo scambio di informazioni, l’opportunità di socializzare e di condividere le proprie esperienze con altre persone coinvolte dallo stesso problema (Miesen B. et al; 2001). Tale idea, per molti aspetti ancora innovativa dopo 20 anni dalla sua nascita, si è sviluppata nel tempo dando origine ad un numero sempre più crescente di Alzheimer caffè in tutto il mondo.
Anche in Italia questa iniziativa ha preso il via già da alcuni anni, in un primo tempo fruibile in pochissimi centri specializzati ed ora disponibile nell’ambito di molte istituzioni locali e a carattere socio-assistenziale (Trabucchi M; 2012). Nell’ex territorio dell’ASL Milano 1 sono presenti, ormai da diversi anni, alcuni Alzheimer caffè coordinati dal Centro Regionale Alzheimer dell’ASST Rhodense: nel 2017 gli Alzheimer caffè sono arrivati ad essere sei, collocati in comuni diversi, coprendo il territorio di una popolazione di circa 120.000 abitanti. L’esperienza accumulata nel tempo ed il continuo feedback dato da pazienti e caregiver hanno permesso di sviluppare un unico modello che viene utilizzato in tutte le realtà.
Tale modello prevede degli incontri settimanali o quindicinali in cui pazienti e familiari effettuano le attività previste in due gruppi separati.
Le attività per i pazienti prevedono l’alternanza di diverse figure professionali: arteterapeuta, musicoterapeuta e fisioterapista.
Le sedute di arteterapia sono finalizzate alla costruzione di lavori riguardanti il proprio vissuto e alla condivisione delle proprie emozioni. Il lavoro svolto in comune ha poi lo scopo di stimolare i pazienti alla collaborazione consapevole e alla condivisione dei propri limiti. Il risultato finale del lavoro viene poi presentato ai famigliari e a tutti gli operatori nell’ultimo incontro, al fine di stimolare l’autostima del paziente.
L’intervento di musicoterapia è suddiviso in tre diverse fasi all’interno del percorso:
1) Ascolto. Lavoro basato sulla sola somministrazione di musiche preparate e selezionate dal musicoterapeuta, secondo gli incontri avvenuti;
2) Canto. Lavoro basato sulla propria conoscenza e sul ricordo di brani, dalla melodia al testo;
3) Produzione sonora. Lavoro basato sulla propria libera associazione di idee trasformate in musica.
Dalla nostra esperienza, la fase di ascolto e canto aiutano a far riemergere il senso delle parole e delle frasi all’interno di un contesto musicale: spesso i pazienti si ricordano i testi o le melodie delle canzoni proposte associando tale ricordo ad eventi della vita passata. Durante le sedute di musicoterapia si ha, inoltre, un forte impatto emozionale: capita, infatti, di avere sedute in cui, ascoltando le musiche proposte o il suono di uno strumento, si stabilisca un contatto non verbale, tra operatore e pazienti, fatto solo di espressioni di felicità e di benessere e, qualche volta, di lacrime di commozione.
Infine le attività di stimolazione motoria, proposte dal fisioterapista, vengono svolte in un setting strutturato ed hanno come obiettivi principali quelli di conservare e stimolare attività motorie residue, facilitare e recuperare sequenze motorie semplificate e di difficoltà crescente.
Contemporaneamente alle attività svolte dai pazienti, il gruppo composto dai familiari affronta, guidato da un medico specialista, da uno psicologo o da un infermiere, alcune tematiche relative alla malattia (ad es. il decorso e le caratteristiche della malattia, l’accettazione della diagnosi, la gestione non farmacologica dei disturbi del comportamento, il vissuto emotivo, l’utilizzo di strategie per favorire la più lunga conservazione possibile delle autonomie). Tale gruppo ha inoltre l’opportunità di condividere liberamente i propri pensieri, le proprie emozioni e sensazioni e la propria esperienza nel coinvolgimento delle attività di cura ed assistenza.
Gli incontri si concludono con uno spazio comune “il caffè” in cui pazienti, familiari ed operatori, tutti insieme, trascorrono un momento piacevole al fine di rafforzare le relazioni interpersonali e sociali, frequentemente a rischio a causa delle modificazioni causate dalla malattia e dello stigma notoriamente presente. •
- THE ALZHEIMER CAFÉ A Guideline Manual for setting one up (Original document entitled, ‘Handleiding Alzheimer Café’ by Bère Miesen and Marco Blom, 2001)
- Trabucchi M. Alzheimer Caffè, la ricchezza di un’esperienza. Unicredit Foundation Ed, Verona, 2012